ORSI ITALIANI MAGAZINE


53550 (prima parte)

Un racconto di Billy Joe


Udii girare la chiave nella toppa della pesante porta di ferro della cella. Il secondino Giovanni entro' con un bloc notes:

-Numero 53550, ordine di trasferimento per il carcere di L-.

Massimo, il piu' odioso dei secondini della sezione che entro' dopo di lui mi appoggio' minaccioso il manganello sul petto

-Sei sordo? Muoviti!!!-.

Massimo mi aveva sempre detestato. Mi odiava, odiava quelli come me e aveva giurato di rendere la mia permanenza al carcere di P. un inferno. Purtroppo per lui veniva continuamente trasferito di settore in settore e solo saltuariamente aveva occasione di tormentarmi. Ora che il carcere stava chiudendo per sempre e noi venivamo trasferiti definitivamente altrove, doveva sentirsi molto frustrato. Anche a me dispiacque non avere a che fare con lui. Mi piaceva, era un bel maschio dominante e da quella volta che i nostri corpi si aggrovigliarono in una lite furibonda ed ebbi modo di assaggiare la potenza dei suoi pugni e del mio sangue mentre mi pestava, avevo sperato di tornare sotto le sue sadiche grinfie.

Scortato dai due, camminai lungo il corridoio del secondo piano e poi giu' dalle scale fino al magazzino del piano terra.

-Abbiamo ripulito la 215 dalla feccia che la occupava.- Disse spavaldo Massimo.

Firmai un modulo e il magazziniere mi lancio' un pacco avvolto in pesante carta marrone impolverata contenente un paio di jeans, un maglione di lana e un paio di scarpe da ginnastica, un orologio scarico da almeno quattro anni e un portafogli contenente i miei documenti scaduti e 24.000 lire in contanti.

-Lascia la divisa e rivestiti-.

Mi tolsi le infradito e mi abbassai i pantaloni depositandoli ben ripiegati sul bancone. Via la canottiera, via gli slip. Il mio corpo muscoloso, il petto peloso e le gambe robuste si offrivano per l'ultima volta agli sguardi dei miei carcerieri.

Non volevo rivestirmi troppo in fretta. Mi e' sempre piaciuto esibire il mio corpo, trovo eccitante l'idea che gli altri maschi possano immaginarmi in azione e spero sempre che dall'immaginazione si possa passare alla realta'.

Improvvisamente un colpo di manganello appena sopra i glutei mi proietto' in avanti contro il bancone. Scivolai a terra mentre altri fendenti mi raggiungevano alla schiena e alle braccia.

-Che cazzo stai facendo, vuoi finire dentro anche tu?- disse il magazziniere. Ma Massimo continuava a colpirmi come posseduto da un demone.

Cominciai a ridere nervosamente - Sei un vigliacco!!!- gli dissi per imbestialirlo di piu', finche' Giovanni lo trattenne per le braccia e mi urlo' - Stai zitto o non lo trattengo piu'-.

Massimo si fece da parte. Io mi rivestii mentre il sopracciglio mi sanguinava e dall'angolo della bocca un rivolo di sangue mi gocciolo' sul petto. Feci una smorfia di scherno a Massimo. - Non mi hai fatto niente, stronzo!- pensai.

Giovanni mi ammanetto' le mani dietro la schiena con molta durezza e mi spinse fuori.

Nel cortile anteriore che varcai la prima volta nel febbraio di quattro anni prima, c'era un furgone blu con i finestrini protetti dalla rete di ferro ed il lampeggiante acceso.

Il caldo pomeriggio di luglio era afoso e soffocante e io stavo cominciando a sudare sotto quel maglione pesante.

Il portellone posteriore si apri' e due giovani poliziotti in tenuta estiva, uno moro e grassoccio, con due visibili aloni sotto le ascelle, l'altro secco, rasato a zero e con gli occhiali, mi sollevarono di peso portandomi dentro e facendomi sedere fra di loro. Di fronte a me un'altra guardia piu' anziana, con sguardo severo, mi guardava insistentemente.

-Che cazzo hai fatto in faccia?-

-E' caduto- disse Massimo lanciandomi un'ultima occhiata.

-A me non frega un cazzo, non voglio guai e basta.- Il portellone si chiuse.

Il furgone si mise in moto ma non si mosse. Rimase sotto il sole del pomeriggio per parecchi minuti mentre il sudore mi stava rigando il volto e il torace. Sbuffai e cercai di mettermi comodo. Come accennai alla mossa, il poliziotto magro alla mia destra estrasse il manganello e mi blocco' il collo contro la parete soffocandomi.

- Calma, ragazzo - lo rimprovero' la guardia piu' anziana. Poi rivolgendosi a me disse: -Hai caldo?-

Annuii. -Allora magari potremmo toglierti il maglione, che te ne pare?-

-Grazie.-

Si avvicino' a me, mi sollevo' il maglione, mi fece passare la testa dalla scollatura dell'indumento scoprendomi le spalle e, lo incastro' dietro la mia schiena. Osservo' i lividi che cominciavano ad affiorare. - Ti hanno pestato?- Mi passo' la mano sul collo e sulle spalle, prese un fazzoletto di carta e lo bagno' con un po' di acqua minerale. Mi tampono' l'occhio dolorante e ripuli' il sangue che si stava coagulando sul mio viso.

Dopo oltre un'ora di viaggio durante il quale i due ragazzi ai miei fianchi parlavano di ragazze e di scopate, ed io tenevo gli occhi bassi, il furgone si fermo' ad un cancello e percorse qualche centinaio di metri ancora.

Il portellone si apri' e mi ritrovai in un androne molto piccolo. Il secondino che mi si presento' davanti osservo' il mio torace nudo e disse: -Cos'e' sta roba? Non siamo al mare, rivestitelo subito!! Vieni con me.- Percorremmo il corridoio fino al magazzino e li' riprese la solita solfa. Il poliziotto moro mi tolse le manette.

-Avanti, svuota le tasche.-

-Spogliati e deponi tutto in quella cesta.-

-Nome e cognome.- Ma il secondino porse al magazziniere una scheda.

-Ok, ce ne sbattiamo il cazzo del tuo nome, firma qua e basta.-

-Che taglia porti?-

-54.-

-Scarpe?-

-42.-

Il magazziniere spari' dietro uno scaffale e torno' con un paio di scarpe da ginnastica, una divisa grigia, un paio di slip e una canottiera bianca, il tutto palesemente usato e strausato. Le mise sul bancone e io feci per vestirmi.

-Chi cazzo ti ha detto di vestirti?-.

-Ascoltami bene- disse il pelato puntandomi il manganello in pieno petto -Qui non farai quel cazzo che vuoi tu, ma farai quel cazzo che vogliamo noi, quando te lo diremo noi. Mi sono spiegato?-

-Si.- E mi ammanetto' i polsi dietro la schiena. Poi prese sotto braccio il fagotto dei miei nuovi indumenti.

-Sara' meglio per te. Avanti.-

Percorremmo un corridoio senza porte, con tante finestrelle poste in alto su entrambe le pareti. Si scorgeva un bel cielo blu con tante nuvole bianche e lo spigolo del grande edificio color arenaria del supercarcere di L.

Il pavimento era fresco e odorava di candeggina. Due secondini dall'aria annoiata ci incrociarono toccandosi il basco con la punta del manganello ricevendo un cenno in risposta. Abbassarono lo sguardo e osservarono ridacchiando il mio attrezzo pendulo e rilassato. In fondo al corridoio una porta conduceva ad un pianerottolo e ad una scala. Salimmo di un piano, in infermeria. Il medico, un ometto raggrinzito e pelato, recuperato in qualche discarica per vecchi, con una energia incredibile, si stava spupazzando una giovane infermiera che si affretto' a ricomporsi non appena entrammo.

-Oh, buongiorno. Chi abbiamo qui? Come ti chiami, caro?-

Non ricevendo risposta, il poliziotto pelato mi dette una sberla sul coppino e consegno' una busta al dottore.

-Bene, bene, vedo che sei in buona salute. Ma che ti e' successo? Hai litigato con qualche tuo amichetto?- Si avvicino' a me ridacchiando.

-Fai palestra, vedo. Bel torace, complimenti, muscoli sodi, ottimo, sarai la gioia dei tuoi compagni di cella. Bene, bene e i denti? Ah, molto bene, ma c'e' una piccola carie laggiu' in fondo. Cosa ne dice signorina? Si avvicini, non avra' mica paura di questo baldo giovane, forza esegua un bel controllo genitale.-

L'infermiera arrossi', si avvicino' a me e si infilo' un guanto in lattice.

-Cosi', bene bene, palpi il testicolo come se fosse quello del suo fidanzato.- Sogghignarono. Io tenni gli occhi bassi per quei pochi secondi.

-No, aspetti, guardi me.- E mi afferro' con violenza le palle palpeggiandomele lungamente a mani nude. Trattenni il respiro. Poi soppeso' il mio pisello sul palmo della mano, me lo scappello' allargandomi il buchino con le dita.

-Bene, bene, piegati sul lettino adesso e allarga le gambe.- Mi mostrai riluttante ed i poliziotti mi furono addosso spingendomi in avanti e schiacciandomi il torace sul lettino. Io seguitai a dimenarmi inutilmente.

-Purtroppo caro, qui dentro non avrai molte occasioni di farti toccare da una donna. Ma piuttosto potrebbe capitarti piu' di frequente questo.-

Si infilo' un guanto e mi penetro' il culo con un dito. Emisi un gemito mentre quel dito si muoveva come un serpente esplorandomi le viscere e dilatandomi il buco con movimenti circolari. Mi penetro' con un secondo dito allargando ancora il buco.

-Bene, bene, ecco, ancora un momento- e continuava a ravanare nel mio orifizio.

Digrignai i denti in una smorfia di dolore.

-Rilassati figliolo, ti fara' meno male.- E avvertii una fitta molto dolorosa.

-Basta, la prego.-

-Preferisci un manganello della Polizia? Non hai che da chiedere- disse il pelato.

-Ho finito caro. Bene, bene direi che sei il benvenuto qui dentro.-

Il poliziotto moro chiese: - Possiamo andare dottore?-

-Si, si, ciao cari. E tu torna a trovarmi.-

Nell,anticamera dell'ambulatorio mi vennero tolti i braccialetti e ordinato di rivestirmi, cosa che feci immediatamente. Le spalle mi dolevano. Massimo non aveva lesinato, ma avevo resistito a molto di piu' e sarei sopravvissuto anche a questo.

Sempre accompagnato dal moro e dal pelato, raggiunsi il terzo braccio. Li' i due mi lasciarono al secondino, un energumeno di 1,90 con braccia robuste e petto pelosissimo, un vistoso braccialetto d'oro al polso ed un orecchino al lobo sinistro che masticava una gomma. Apostrofo' con sensuale accento romanesco il suo collega dall'altra parte del cancello.

-Oooohh!! Apri sta cazzo de gabbia. Ce n'e' un altro.-

Era un vero gigante, mi sarebbe piaciuto scoparmelo all'istante o farmi fottere per un po'. Aveva bellissimi capelli castani ricci e una forza erculea. Mi afferro' un braccio con la sua enorme mano e senza dire una parola lui e il collega mi accompagnarono alla cella 387.

Spalancarono la prima porta di ferro, poi aprirono l'inferriata e dissero con aria di scherno: -Si accomodi signore, benvenuto nel suo castello.- E richiusero le due porte rumorosamente.

Mi ci volle qualche secondo per mettere a fuoco l'ambiente. La cella era piuttosto buia, un lenzuolo blu di tela pesante copriva la finestra come una tenda. Un odore di sudore intenso, eccitante, maschio arrivo' alle mie vibranti narici.

Lungo la parete di fronte all'entrata erano collocati otto letti a castello, impilati due a due. A destra dell'entrata altri due letti erano appoggiati alla parete. In mezzo alla stanza un tavolino e un paio di sedie, nell'angolo una porticina dava in un localino adibito a latrina e cucinotto.

Dei dieci letti, sei erano occupati da una fauna assopita che si rivelo' presto incuriosita e bramosa di novita', e non solo di quella. Gli unici posti rimasti liberi erano i quattro in basso di fronte a me. Mi diressi silenzioso verso la prima branda.

-Ehi fighetta, non si saluta?- risuono' la voce di qualcuno dei miei nuovi 'amici' (Teschio). Quella voce rauca, con accento vivacemente partenopeo mi eccitava. Immaginavo l'uomo che l'aveva emessa. Era uno di quegli stupendi malavitosi del sud, cosi' maschi, cosi' uomini, magari arrestato per stupro, per aggressione. Che voglia di cazzo!! Incontenibile, travolgente. Ero pronto a sfidare la sua autorita'. Le ultime settimane passate da solo in cella erano state un digiuno forzato, la tortura piu' atroce che potessi subire. lo ero abituato a cacciarmi nei guai e a volte li rimpiango. Ora che scrivo dai miei arresti domiciliari la vita senza guai mi sembra vuota. Pazienza. I sonnacchiosi galeotti uno dopo l'altro si drizzarono seduti sulle loro brande, le gambe penzoloni. A me cominciava a drizzarsi altro. Mi trovai cosi' tra le due cosce cinquantenni di Teschio, pelose e sode aperte davanti a me. Alzai lo sguardo verso il cazzo e lo trovai deliziosamente abbondante in quegli slip un po' miseri e sfilacciati. L'energumeno panciuto, torso nudo, lanciava significative occhiate di intesa a quello che era dietro di me, nella sua stessa posizione. Aveva un volto sudato e severo, una barba di tre giorni e capelli ispidi, ma la cosa che piu' mi eccitava era una abbondante peluria brizzolata sul petto e sulla pancia, rotonda e ben fatta. Non male. Pensai che il destino forse cominciava a sorridermi. Fu molto rude e deciso, come piace a me.

-Qui sotto non puoi stare sorellina!!- e scuoteva la testa. Mi sarebbe bastato sferrare un cazzotto al suo cazzone per averli tutti addosso, ma preferii godere di quella attesa. Gli voltai le spalle. Avrebbe potuto saltarmi addosso, approfittare di me. Lo desideravo. Rimasi tenacemente fra le due brande e vidi in faccia il secondo individuo.

Era rasato a zero, volto sbarbato. Marco detto Rambo per le sue doti fisiche aveva un anno meno di me, ma sicuramente molta piu' esperienza carceraria. Il suo torace muscoloso e glabro, i pettorali gonfi e ampi con due capezzolini bruni e un sensuale piercing a quello di sinistra. Aveva solo un asciugamano appoggiato sui coglioni e un sorriso beffardo che mi faceva ben sperare.

Non feci in tempo a prendere possesso della branda sotto di lui. Quella montagna di muscoli balzo' a terra e mi si paro' davanti incrociando le braccia sul petto e facendo segno di no con la testa. Era qualche centimetro piu' basso di me. L'asciugamano non annodato ai fianchi scivolo' a terra lasciandolo completamente nudo. Contemplai con desiderio quel randello ben proporzionato che gli cadeva fra le gambe e dovetti tenere a freno le mie mani che cominciavano a tremare dalla voglia di toccargli la nerchia e la mia bocca che non vedeva l'ora di assaggiarlo. Gli altri non mi sembravano alla sua altezza, tutti o quasi ultra cinquantenni, magari orsi pericolosi, a cui fare un po' di compagnia nelle monotone notti da reclusi, paparini con i quali scendere a compromessi, ma che non mi sembravano in grado di soddisfare la mia straordinaria voglia. Insomma io volevo un bel nerchione come Rambo, uno scopatore infaticabile che mi avrebbe sbattuto giorno e notte, una fonte di sperma da succhiare fino a farne indigestione.

Vedendo che non mi schiodavo da li, mi afferro' per la camicia e mi spinse in mezzo alla stanza avanzando verso di me con il cazzo scappellato.

-Non siete curiosi di vedere com'e' fatto?- disse rivolgendosi agli altri.

-Forza- mi disse, -facci vedere come sei fatto, avanti spogliati-.

-Dai, coraggio pupone!- risuonava da piu' parti. Cominciarono a scendere dalle brande come lupi pronti a sbranare la preda. Riuscii a divincolarmi da qualcuno che mi aveva afferrato da dietro, era Lince (un quarantenne occhialuto che, malgrado l'aspetto, ebbe modo di darmi molte soddisfazioni) e cercai di allontanarmi, ma ovunque mi rivolgessi avevo gente attorno che sghignazzava e allungava le braccia nel tentativo di afferrarmi. Strinsero il cerchio attorno a me e mi afferrarono per la camicia. I bottoni saltarono e mi ritrovai a torso nudo. La cosa mi eccitava non poco. Non mi ribellai mentre mi afferravano i polsi tendendomi le braccia come se giocassero al tiro alla fune. Il mio pisello si stava rassodando velocemente e forse al momento buono sarebbe gia' stato al massimo della sua forma. Mi ritrovai con una federa da cuscino infilata in testa. Qualcuno mi sferro' tre o quattro pugni al volto e allo stomaco riducendomi quasi all'incoscienza. Mi fecero sdraiare a terra bloccandomi le braccia con le ginocchia e avvertii che qualcuno, malgrado la mia resistenza, volutamente scarsa, mi sfilava i pantaloni e gli slip. Tentai inutilmente di congiungere le gambe ma anche le caviglie erano bloccate a terra e le gambe erano molto divaricate.

-Adesso tenetelo fermo- grugni' la voce di Marco.

-Guarda guarda che bel bigolone che ha il fratellino- disse qualcuno.

Due mani forti e spietate mi afferrarono i coglioni mentre il mio cazzo si faceva sempre piu' sodo. Una mano mi afferro' la verga scappellandomela con inaspettata delicatezza. La stessa mano dal palmo ruvido e secco mi accarezzava la cappella e risaliva il mio ventre palpandomi gli addominali. Altre due mani cominciarono a pizzicarmi e tirarmi i capezzoli e vibravano forti colpi con le dita come se lanciassero due biglie sulla spiaggia. Era un dolore continuo ma piacevole.

-Si sta eccitando il bambino, ci hanno portato un bel frocetto per giocarci un po'.-

Era la bellissima voce di Teschio che impartiva gli ordini al gruppo.

-Aspetta!!! Stilo (chiamato cosi' per la sua magrezza) e' andato a prendere la scopa.-

-Orso (un nomignolo interessante), tienilo fermo.- E le mani che mi torturavano i capezzoli mi bloccarono improvvisamente la testa e il collo.

-Adesso ti presentiamo un amico nostro, si chiama Manico.-

Qualcosa si affaccio' al mio buco cercando di entrare.-

-Resistere non ti servira'.- E mi arrivo' una manata in pieno petto. Mi friggeva la pelle. Ne segui' una seconda, una terza, mentre quella cosa si sforzava di entrare.

-Apri il culo o te lo sfondo!!!!- urlo' Rambo e questa volta un calcio al fianco mi fece gemere e contemporaneamente il respiro mi si spezzo' e la mia ostinata resistenza venne meno.

Il manico della scopa entro' in me. La sua entrata fu indolore e rapida perche' ben lubrificato. Poi si fermo' e torno' indietro un paio di volte. Calibrando in questo modo la lunghezza del mio ano, il galeotto comincio' ad accelerare i movimenti accompagnando ogni entrata con un 'Ooooohhhh!!!!' di scherno. La cosa divertiva molto gli altri che sghignazzavano divertiti. Cercai di sollevare il petto un paio di volte solo per avere il piacere di farmi toccare rudemente il torace. A questo ci pensava Orso. Era proprio come ve lo immaginate voi. Lo osservai meglio nei giorni successivi. Aveva due polpacci delle stesse dimensioni delle mie cosce (e vi garantisco che ho due cosce da sollevatore di pesi), barba lunga, un pancione soffice con un ombelico enorme. Manone grasse e veloci nei movimenti e che fanno male quando colpiscono di brutto. Un arnese di tutto rispetto con una sborrata abbondante e saporita. Ad ogni mio tentativo, le sue mani piombavano sul mio torace e mi toglievano ogni velleita'. L'idea di quelle mani su di me mi eccitava, il cappuccio infilato in testa mi rendeva ostaggio inerme e indifeso di fronte agli appetiti dei galeotti e tutto questo me lo faceva indurire come il cemento. Aspettavo di sentire commenti e rantoli di eccitazione sul mio corpo, il mio narcisismo lo pretendeva. Ma speravo di assaggiare qualcosa di piu' di un manico di scopa. Ero ormai abituato a molto di piu'. Improvvisamente un rumoroso sbattere di chiavi provoco' un fuggi fuggi generale. Mi venne liberata la testa, sfilata la scopa dal culo e mi trovai improvvisamente faccia a faccia con Teschio.

-Se parli ti uccido- e schizzo' sulla sua branda.

La porta si apri' e due secondini entrarono.

-Che cazzo stai facendo a terra, stronzo!-

Uno di loro mi diede un calcio allo stomaco.

Alzati pezzo di merda!!!- E ci fece allineare tutti davanti a lui.

-Non mi frega un cazzo di quello che fate quando io non sono in servizio, ma finche' ci sono io qui si riga dritto, capito?-

-Signor si'- dissero in coro.

-E tu pezzo di merda hai capito?-

-Signor si'- risposi anche io.

Ci guardo' tutti in faccia e usci'.

Mi guardarono, Teschio mi lancio' addosso i pantaloni e la camicia e ognuno raggiunse la propria branda.

Mi avvicinai alla branda sotto quella di Rambo per rivestirmi.

-Con te non ho finito!- Mi minaccio'.

Mi rilassai per qualche ora in attesa della cena mentre sottovoce qualcuno canticchiava una canzoncina che compresi essere indirizzata a me. Era il professore (detto Prof, un simpatico uomo del nord che aveva sgozzato un allievo perche' lo sfotteva). Era una canzonetta in rima che mi preannunciava una notte di 'divertimento di gruppo'. Era ora che qualcuno pensasse a farmi divertire un po', avrebbero trovato una zoccola di prima categoria o uno stallone da monta a seconda dei loro desideri.

La cena venne servita alle 18:30, come nelle migliori famiglie. Lo stanzone del piano terra mi ricordava la mensa aziendale dove avevo spaccato la testa al mio caporeparto che aveva avuto il coraggio di dirmi che sarebbe tornato da sua moglie. Brutto stronzo!! Non ho mai accettato di essere secondo a qualcuno, nemmeno ad una moglie.

Mi fecero sedere tra Teschio e Lince. Di fronte avevo Rambo, l'unico della tavolata a torso nudo. Mangiava con il naso nel piatto e non alzo' mai lo sguardo. Io osservavo i suoi bicipiti, i fasci nervosi del suo collo taurino, le dita bellissime che brandivano il cucchiaio e spezzavano il pane ed il tatuaggio sul petto che si muoveva ad ogni scatto nervoso. Il professore parlava noiosamente di quando faceva scuola e interrogava le ragazzine con le tette dure e le gonne corte. Lanciai un paio di occhiate attorno agli altri tavoli e ne vidi di veramente interessanti. Riconobbi un tizio che era stato con me al carcere di P. e che francamente non ricordavo cosi' bello. Vidi un tizio di aspetto germanico con un pizzetto biondo e capelli a spazzola. Aveva un piercing al labbro, e mi fece ripetutamente l'occhiolino sorridendomi a lungo. Ricambiai con vistoso interesse. Mi sarebbe piaciuto incontrarlo sotto la doccia un giorno o l'altro e guardarlo nei suoi begli occhi mentre lo avrei spompinato a dovere. Il resto, da quanto potevo vedere, era piuttosto banale, ma alcune schiene robuste, ben fasciate da canottiere aderenti, mi facevano ben sperare.

Restammo confinati nell'area comune per un paio di ore. La televisione trasmetteva le solite noiosissime trasmissioni. Il biondo della mensa mi passo' davanti un paio di volte, prima disinvolto, poi mi apostrofo' nella maniera piu' banale del mondo.

-Hai una brasca?-

Accennai di no con la testa. -Mi dispiace non fumo.-

-Sei nuovo. Da dove vieni?-

-Dal carcere di P.-

-E perche' sei in gabbia?-

-Ho ammazzato il mio ex.-

-Il tuo ex? Minchia!! Allora ho visto giusto, sei un frocio. Non ti offendo mica, vero? Io adoro i froci, ogni tanto me ne capita qualcuno e ci divertiamo insieme per un po'. Ma ho una donna fuori di qui anche se ci scopo poco. Io ho sprangato un pulotto durante una rapina e quello stronzo e' crepato. Cosi' mi hanno dato l'ergastolo.-

Sorrisi e allungai la mano -Mi chiamo Ste.-

-Sono Alfio. Piacere.-

Il secondino urlo': -Forza signorine, rientriamo?-

Voci di disapprovazione si levarono dal salone e tutti si misero in fila per tornare in cella.

-Ci vediamo Ste.-

-Ci conto davvero- risposi.

(continua...)