Le recensioni (cinematografiche) di Emilio Campanella: Gennaio 2003

FAR FROM HEAVEN

OASIS

L'HOMME DU TRAIN

3 FILM SOTTO L'ALBERO

ACCIDIE DI CINEFILO

UNA SCELTA DI FILM DALLA LIX MOSTRA CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA


FAR FROM HEAVEN

Hartford, Connecticut 1957. Cathy e Frank Whitaker sono una coppia felicemente sposata ritratta anche nella pubblicita' dell'azienda di cui lui e' manager di successo. Hanno due bambini invidiabili, sono ammirati ed hanno un certo peso nella vita sociale della cittadina.

Solo, lui lavora troppo, e molto spesso rimane in ufficio sino a tardi, ovvero, dice di lavorare sin dopo l'ora di cena, anche se, in realta' lo seguiamo mentre si aggira per stradine solitarie e coglie un frammento di conversazione "in codice" fra due giovanotti che si dirigono verso un locale; dopo poco entrera', per trovarsi al centro di un incrocio di sguardi maschili mentre beve il suo drink. Siccome lavora troppo ed ha una moglie premurosa, se la vede arrivare in ufficio, una sera tardi con il vassoio della cena mentre, seduto sulla scrivania, e scamicato, si sta baciando perdutamente con un collega. Va da se' che il vassoio vola per terra e che lei rimane scioccata. Lui e' sconvolto ed annientato dai sensi di colpa (che gia' prima aveva) e con l'aiuto di lei ch'e' una donna comprensiva, cerchera' di risalire la china andando da uno psichiatra che gli garantisce una buona percentuale di guarigione (!) dopo aver esposto tutta una classificazione 'comportamentale' che se non fosse tragica sarebbe esilarante!

Nel frattempo lei fa la conoscenza con un nero alto, bello, affascinante, intelligente, istruito che una mattina si ritrova inaspettatamente in giardino e che la governante, nera anche lei (Viola Davis), le indica come il figlio del vecchio giardiniere defunto. Cathy ch'e' una donna democratica gli parla e si intrattiene a proposito di giardinaggio, ovviamente, e la governante premurosa gia' si preoccupa. Poi si rivedranno ad una mostra di pittura che, come ogni anno, lei ha organizzato e parleranno d'arte... gli sguardi degli astanti saranno perplessi.

Un'altra volta s'incontreranno nel giardino e dopo che la donna avra' uno scoppio di lacrime, Raymond (Dennis Haysbert) le proporra' di andare a vedere nelle serre fuori citta'. La gita le fara' bene, andranno a pranzo in un locale di neri (per una volta si sentira' in minoranza) ed all'usicta una delle "amiche" la vedra' e con un rapido giro di telefonate l'ostracismo avra' inizio e la donna piu' invidiata diverra' la piu' aborrita... e non vedevano l'ora! Si sa, LE AMICHE, SE NON ESISTESSERO, BISOGNEREBBE INVENTARLE, LE AMICHE!

Una vacanza rinsaldera' la coppia, ma un bel giovanotto molto determinato sedurra' il maritino e tutto saltera' per aria. Ritornati in citta' lui tornera' a casa ubriaco e dopo disgustose accuse le mettera' le mani addosso. E' la fine e si arrivera' al divorzio anche perche' il ragazzo ha le idee molto chiare e tutta l'intenzione di dividere la sua vita con Frank. Le rimarra' sola con i suoi rimpianti e con il sogno di rivedere il suo, castissimamente, amato Raymond che si e' ormai trasferito dopo che la figlia e' stata aggredita da compagni di scuola bianchi.

Il film e' scritto magnificamente, ed altrettanto ben montato, girato con colori accesissimi che sono tutto un omaggio/riferimento dichiarato a Douglas Sirk (la fotografia per cui la pellicola e' stata, fra l'altro premiata per il contributo individuale e' di Ed Lachmann), accuratissimo anche nell'ambientazione e nella scelta dei costumi. Tutto e' molto formale, elegante, raggelante... insomma, gli anni '50, e' tutto detto. I personaggi sono molto ben delineati ed ognuno e' al "suo posto" a parte i devianti, ma se lui lo e' maggiormente, anche se in maniera 'sommersa' e non ne riceve grandi danni, anzi, forse solo vantaggi, alla fine dei fatti, lei, invece, piu' coraggiosa ed incosciente, e, comunque, con un maggiore senso dell'ingiustizia, paga piu' pesantemente per cio' che NON fa, mentre il marito NON paga per cio' che fa. E se e' giusto per lui che non ha colpa, a parte essere stronzo, maschilista, egoista, razzista (ma li' non e' una colpa), insomma, un uomo, e' profondamente ingiusto per lei che rimane sola. Vero e' che se il film fosse stato veramente girato 50 anni fa or sono (la vicenda sarebbe stata certamente MOLTO meno esplicita) entrambi, e lui piu' di lei, avrebbero fatto una pessima fine.

Ottime interpretazioni di Dennis Quaid e Julainne Moore (Coppa Volpi quale migliore interprete).

emilio campanella


OASIS di Lee Chang-dong

Era stato preceduto da un certo battage riguardante un approccio quasi scandaloso relativo ai rapporti sessuali fra un uomo ed una donna disabile. Come sempre alla Mostra: si va, si vede, si giudica , e cosi' ho fatto, e come molti altri, trovandomi di fronte ad una bella sorpresa, infatti si tratta di una vicenda, a modo suo anomala, infatti si inizia con l'uscita dal carcere di un tipo un po' scentrato che si trova in maniche corte in pieno inverno che ci fa pensare a certi "picchiatelli" un po'randagi che s'incontrano per le citta',e, frequentemente con i 'vestiti sbagliati' relativamente alla stagione. Il suo caso e' diverso: in carcere c'e' stato, presumibilmente, un bel po', per aver ucciso un uomo investendolo con l'auto, in stato di ubriachezza, ed evidentemente all'atto dell'arresto era estate.

Poco a poco verremo a sapere che un po' "strano" lo e' da sempre e che fin da piccolo ha costituito un problema per la famiglia, che non ha provocato l'incidente con l'aggravante del'omissione di soccorso, ma che, invece ha coperto il fratello addossandosi la colpa, tanto, per lui, che gia' aveva avuto problemi con la giustizia, fare un po' di galera per mantenere intatta la reputazione dell'altro, non sarebbe stato un gran problema... Comunque nessuno sa che sia nuovamente libero, rintracciare i parenti che hanno traslocato e' un problema e comincia ad arrabattarsi per tentare una sorta di reinserimento; frattanto cerca anche di ritrovare la famiglia della sua "vittima" per farsi perdonare e scopre che si tratta di una coppia di sorelle, una delle quali, spossata, che sta per traslocare (anche lei) lasciando l'altra, disabile, affidata alle cure (si fa per dire) di una vicina. Gong-Ju e' una donna con grandi problemi motorî, di grande sensibilita' ed intelligenza sottile imprigionate, in un corpo martoriato dai problemi neurologici. Jong-Du riesce ad introdursi in casa per portare un omaggio di fiori e frutta e rimane colpito dalla ragazza tanto da cercare di violentarla, e provocandone l'indicibile e ben comprensibile terrore. Prima di allontanarsi le lascera' il numero telefonico dell'officina del fratello con il quale collabora. Dopo qualche giorno lei si fara' viva ed iniziera' una graduale conoscenza che portera' ad un affetto molto forte costruito poco a poco con le tenerezze e le buffe attenzioni di lui che si scopre veramente innamorato (al primo incontro, dunque, si era reso conto che qualche cosa di importante gia' stava accadendo) e lei, sempre, praticamente, vissuta fra le mura di casa, esperimenta cose nuove che neppure avrebbe osato sperare come andare al ristorante, in giro per la citta' in automobile ( il veicolo sara' un inconsapevole prestito da un cliente, beccandosi poi una serie di sberloni dal fratello mentre il proprietario sara' piu' comprensivo capendo che c'e' di mezzo una ragazza). Il culmine e' l'arrivo dei due alla festa di compleanno della madre di Jong-Du, che getta nello sconforto tutta la famiglia che si comporta malissimo vedendo come Gong-Ju cerchi, con mille difficolta', e stressatissima, di stare a tavola come gli altri. Alla fine se ne andranno, lasciando dietro di loro; tutti, nella costernazione piu' totale. Usciranno dall'esperienza amareggiati, ma anche rafforzati: lei molto ferita, ma comprendendo come lui abbia agito con le migliori intenzioni. Una volta a casa lei gli domandera' di restare la notte, e, naturalmente arriveranno sorella e cognato (che la lasciano regolarmente sola dato che i vicini non ci sono mai) e la situazione avra' la conclusione peggiore, infatti lui verra' incriminato per violenza ad una donna che non puo' difendersi mentre lei dira' cio' che gli altri vorranno capire e non gia' cio' che sta cercando di dire: l'amore di una donna che per la prima volta e' stata considerata tale, con tutte le difficolta' acuite dall'agitazione e del dolore per l'accaduto, e cio' che sembrano comprendere verra' inteso come il delirio di una "povera donna" sconvolta.

Nell'ultima scena sentiamo fuori campo la voce di Jong-Du che legge una lettera inviata dal carcere mentre Gong-Ju fa le pulizie, lui parla del loro amore e di quando si ritroveranno, lei ha un viso luminoso, e si comprende come Jong-Du, pur lontano, sia lo scopo della sua vita e la ragione per cui, tenacemente, si occupa della sua casa e di se stessa.

Un film, sotto molti aspetti, coraggioso, ben scritto e ben montato, con una buona dose di humour e che, almeno una decina di volte, rischia di cadere nel cattivo gusto, ma fermandosi abilmente in tempo. Simili situazioni in mano ad un regista meno abile avrebbere potuto far crollare tutta la costruzione drammaturgica. Gli attori sono molto bravi: SOL Kyung-gu (Jong-Du), MOON So-ri (Gong-Ju), lei duranti i primi minuti mi ha lasciato perplesso, poi mi ha conquistato con una interpretazione forte e decisamente molto esteriore, ed e' questo che mi ha lasciato perplesso all'inizio, ma e' una scelta intelligente visto che si tratta di una attrice che lavoro "dall'esterno" ed onestamente lo dimostra. Ha avuto un bell'applauso al termine della proiezione per la stampa ed ha ampiamente meritato il premio Mastroianni per un attore emergente in aggiunta a quello speciale per la regia.

emilio campanella



L'HOMME DU TRAIN di Patrice Leconte

E' un film misterioso ed al tempo stesso troppo esplicito, doppio come le vite diversissime dei due protagonisti che s'incontrano casualmente al termine (?) della loro esistenza, o perlomeno, in un momento particolarmente cruciale per entrambi. L'avventuriero (Johnny Hallyday) arriva in una cittadina di provincia per rapinare la banca locale da li' a tre giorni, il professore di francese in pensione che incontra in farmacia (Jean Rochefort), dovra' farsi operare, quello stesso giorno, alle coronarie. Il primo, per una spiata, viene impallinato come un fagiano all'uscita dell'agenzia di credito, il secondo morira' sotto i ferri... oppure no? E' solo una proiezione ed entrambi riaprono gli occhi guardando in macchina? La storia riprende scambiando i ruoli come entrambi sognano da sempre: il rapinatore, in pantofole, a dar lezioni di poesia francese, come fa veramente quando il prof dimentica l'allievo, e se la cava egregiamente, oltreche' con molto spirito. Il padrone di casa, che lo ospita siccome l'unico albergo e' chiuso in inverno, il quale, dopo aver scoperto le pistole dell'altro, fara', da allievo, ovviamente, lezione di tiro con un maestro molto esperto.

Sono due uomini molto differenti, non piu' giovani e che si domandano se veramente le loro scelte siano state le migliori per loro, o se cio' che hanno sempre un po' sognato non avrebbe portato loro maggiori soddisfazioni.

I due attori straordinarî sono, come detto sopra: Jean Rochefort (Manesquier) e Johnny Hallyday (Milan), il primo, notissimo ed amatissimo interprete di tanto cinema francese, e non solo, con alle spalle la Comedie Française, l'altro, altrettanto bravo, rock star d'oltralpe di grandissimo successo.

Non avevano mai lavorato insieme, ma da interviste del regista pare che si stimassero molto, e fossero un po' intimoriti alla vigilia di girare insieme, specialmente sapendo che Leconte stava scrivendo la sceneggiatura proprio sulla loro personalita'. Scommessa vinta, certo; la vicenda e' interessantissima proprio per la costruzione dei due personaggi abilmente tratteggiati, e da come si studiano e sono attratti ed incuriositi dalla loro reciproca diversita' e dalle loro vicende. Milan azzardera' dei consigli sulla vita sentimentale di Manesquier, e questi gli dara' dei pareri sull'azione che l'altro si appresta a compiere.

Il film non e' troppo parlato anche perche' se il prof e' giustamente logorroico ed innamorato della sua casa mausoleo intasata di oggetti e di ricordi, l'altro e' laconico... ma si sbottonera'... E' anche il gioco dei cliche's che ognuno dei due incarna.

Un'opera, di quelle veramente ispirate, di un regista altalenante nei suoi esiti, ma da tenere sempre d'occhio.

Ci sono alcuni personaggi di contorno e certi episodî decisamente impagabili: il rapinatore che pronuncia una sola frase, lapidaria ed oracolare, al giorno sempre alla medesima ora, e l'episodio della panettiera.

emilio campanella


3 FILM SOTTO L'ALBERO

Tre film sulle diversita', ognuno a modo suo ed in maniera piuttosto interessante, tutti.

Il primo: FAR FROM HEAVEN di Todd Haynes, rivisto al Lido di Venezia in una delle nuove sale del riaperto cinema Astra, dopo una breve chiusura, e con il divertimento di ritrovare negli spazî trasformati, i luoghi di antiche (ma non antichissime) porcellerie finocchie...

Ritornando sul film, ho ritrovato la qualita' formale assolutamente ineccepibile, tanto per la regia, il montaggio abile e preciso, la fotografia a colori che rimanda a Douglas Sirk: un colpo di vento con foglie rosse che volano e' un omaggio chiarissimo a COME LE FOGLIE AL VENTO, appunto. Gli abiti di J.Moore sono perfetti per modelli, taglio, colori, e non solo i suoi, in un solo apparentemente eccessivo formalismo. Va da se' ribadire la qualita' dell'interpretazione della protagonista (Coppa Volpi all'ultima Mostra del Cinema), ma bisogna dire che anche Dennis Quaid fa un ritratto particolarmente credibile di un omosessuale represso di quegli anni.

Quanti ne ho conosciuto, ch'erano bambini all'eta' dei figli di questa coppia, ancora intrisi di misoginia, e che consideravano/considerano la donna come una rivale. Ancora, purtroppo, sussiste questa mentalita', ed e' molto dura da estirpare.

La vicenda ha una struttura doppia, essendo due le "storie" che s'intrecciano: quella delle pulsioni represse del marito, e quella della "simpatia" di lei per il giardiniere nero (figlio del vecchio giardiniere), colto, intelligente, sensibile, affascinante... E se la vicenda di lui rimane sommersa, quella di lei, in realta' assolutamente platonica, diventa lo scandalo della cittadina (Hartford 1957), e se lui viene aiutato dalla comprensione della moglie che lo incoraggia e lo appoggia a mettersi nelle mani di uno psichiatra (che orrore... sembra di rileggere le mostruosita' di Bergler!) lo accompagnera' anche in vacanza dove, pero' ci sara' il "fatale" incontro con un bel giovanotto (praticamente uscito da PHYSIQUE PICTORIAL) molto determinato che lo sedurra', e con molta decisione lo portera' a chiedere il divorzio per dividere con lui la sua vita.

Lei, quindi, cornuta, e' proprio il caso di dirlo, e mazziata, rimarra' sola con i figli, e con il suo sogno di andare a fare una visita al suo innamorato trasferitosi dopo varie sgradevoli vicende come l'aggressione subita delle figlie, da parte di alcuni compagni di scuola bianchi. Parlando con qualcuno ho registrato reazioni perplesse relativamente all'omofobia sottile e strisciante del soggetto... e' vero, il marito 'gay', mica tanto poi, dato il carattere cupo, e' decisamente negativo, maschilista, razzista (come tutti li'), vigliacco etc., mentre lei e', tutto sommato un personaggio positivo, o per lo meno che tenta di esserlo in un contesto simile. Che poi un film che fa un bel ritratto femminile possa essere proprio omofobo, non mi sembra automatico, anzi, peraltro, in questo film "in stile" e realizzato con molto STILE, la cui sceneggiatura e' di qualita' rara, il marito finocchio non si ammazza, non viene linciato, non va a sbattere casualmente e definitivamente contro un albero con l'automobile, cosa che cinquant'anni orsono era la regola per gli "irregolari"... lei, invece sarebbe finita dritta in un limbo manicomiale.....

Molto peggio il nostro pur pregevole IMBALSAMATORE la cui vicenda reale viene manipolata e resa assolutamente antiomosessuale grazie al tratteggio del protagonista "particolarmente ambiguo", nano (quasi), brutto, malvagio e camorrista, quindi giustamente "giustiziato" dall'etero (?!) alto e bello ed insidiato; "purtroppo" il film e' molto interessante e l'attore principale, memorabile... per fortuna nella realta' gli assassini sono in galera.

Il secondo film sotto l'albero e' L'UOMO SENZA PASSATO di Aki Kaurismaki, con l'immancabile Kati Uotinen, giustamente premiata a Cannes, e' la storia di emarginazione indotta di un uomo appena arrivato ad Helsinki (non sappiamo nulla di lui) con la bella faccia perplessa, misteriosa di Markku Peltola, che viene aggredito da tre naziskin e ridotto in coma... si risvegliera'... inaspettatamente ed insospettabilmente e senza memoria (il risveglio e' un omaggio all'horror piu' classico con la lunare, dissacrante ironia di K.). Il nostro uomo non esiste siccome non sa nulla di se', ma essendo un bravo cristo, e molto positivo nel suo porsi con gli altri trae il meglio degli incontri talvolta strampalati, pericolosi (il poliziotto maneggione con "cane da guardia" sono impagabili), poetici, e C.Chaplin mi e' venuto in mente molto spesso. Ricava una sua vita nuova e provoca un rivolgimento in quella degli altri, come nel caso della biondina dell'Esercito della Salvezza con la quale c'e' un "coup de foudre" poi frenato da timori, pudori, tenerezze esilaranti (il telefono in comune del dormitorio delle ragazze viene da Buster Keaton) finche' i due sbandati, dopo la ricostruzione della vita di lui (la moglie da cui ha divorziato si fa viva, e l'incontro con il nuovo futuro marito e' geniale) si ritrovano e durante un concerto di canti religiosi a ritmo di rock, si prenderanno per mano e si allontaneranno: FINE

Terzo ed ultimo: SOGNANDO BECKHAM di Gurinder Chadha, non e' la solita commedia etnica, genere pur apprezzabile, ma qualcosa di piu' perche' assomma diverse tematiche e le costruisce bene, infatti c'e' cultura indiana in Inghilterra ed un sontuoso matrimonio; i diritti delle donne, e non solo indiane, poiche' l'amica inglese che spinge la protagonista-dotatissima- nella squadra di calcio femminile ribadisce le difficolta' di affermazione anche in occidente. Naturalmente il sesso e' all'ordine del giorno, e se la sorella lo pratica abitualmente con il suo promesso sposo, le due ragazze vengono tacciate di lesbismo; il cugino di Jesse fa il suo "coming out" con lei decantando Beckham (mito gay, pare...) e del suo allenatore, Frank Harper, un biondino molto soft che puo' sicuramente piacere a molti, e che, come tutti e' un ottimo attore. I temi s'intrecciano, si annodano, si snodano e fra oppressi (irlandesi e indiani) una comprensione e' possibile. Ottimi attori, dicevo; le due madri, quella indiana, sempre un poco sopra le righe, come da telenovela di classe, infatti segue quelle hindi; con delle bellissime mani che parlando si muovono in continui mudra; l'altra, l'inglese e' straordinariamente eccessiva, tutta una smorfia ed una esagerazione: una drag-queen ma non di quelle belle... e sarebbe troppo anche per Almodovar, imperdibile! I padri invece sono due magnifici orsi (FINALMENTE! direte voi!) l'indiano, una meraviglia, elegantissimo con la sua divisa dell'aviazione ed il turbante oltre ad un pelo (GASP!) foltissimo che s'intravvede dal colletto aperto della camicia (Archie Panjabi, tenete a mente!); l'inglese, tutt'altro genere, ma veramente un bell'orso grigio rotondo e molto simpatico.

emilio campanella


ACCIDIE DI CINEFILO

Bisognera' bene, prima o poi, che mi decida a stendere le note relative all'ultima Mostra del Cinema poiche' siamo alle solite: passa il tempo e continuo a vedere davanti a me la pila dei materiali senza consultarla!

Questo pensavo sino a qualche giorno fa, ed ancora:

Quest'anno potrei cercare un approccio diverso e seguire uno o, piu' facilmente, piu' fili tematici.

Si puo' cominciare dicendo che un direttore di grande esperienza come De Hadeln si e' trovato a dover organizzare una rassegna con pochissimo tempo a disposizione riuscendo a portare a segno alcuni colpi notevoli ed a non far rimpiangere troppo l'ottimo Barbera.

Infatti si puo' dire che per certi versi e' una mostra che molto ha disturbato; e qui possiamo partire dai premi per fare un excursus differente dall'abituale. Leone d'oro a MAGDALENE di Peter Mullan. Film molto scomodo e che ha disturbato moltissimo le gerarchie ecclesiastiche chiamate in causa direttamente, ma non solo quelle, si sa; i benpensanti, quando si scoprono orrori in luoghi di "santita'" s'indignano di cio' che non hanno voluto vedere. Detto questo, il film, pur accurato ed interpretato benissimo e' costruito con qualche impaccio, specialmente nella parte centrale che affastella episodî non indispensabili ai fini narrativi e che, specialmente ne appesantiscono lo svolgimento; fortunatamente verso l'ultimo terzo riprende velocita' e si conclude, quasi, con la forza dell'inizio. Speravo meglio dopo il bell'esordio di Orphans di due anni orsono, che aveva una bella carica dirompente, pur con le acerbita' ed asperita' dell'opera prima; qui certe cose sono limate, ma c'e' ancora molta strada da fare, anche se, come opera seconda (passo solitamente pericolosissimo) saimo ad un risultato piu' che lodevole.

Il Gran Premio della Giuria e' andato all'inutile, trombonesco, superficiale, picaresco, rutilante LA MAISON DES FOUS di Andrej Konchalovsky. Lo definerei un'occasione assolutamente perduta che in mano a qualcun'altro avrebbe potuto diventare qualcosa di veramente memorabile dato il soggetto di interesse notevole: un ospedale psichiatrico alla frontiera fra Russia e Cecenia, abbandonato dal personale all'arrivo della guerra (il press book parla di episodio reale). Attori bravissimi fra i quali alcuni disabili; memorabili orsi e lo straordinario Vladas Bagdonas con altri della compagnia di Nekrosius, decisamente sottoutilizzati.

Premio speciale per la regia e Premio Mastroianni per un attore emergente ad OASIS di Lee Chang-dong, protagonista Moon So-Ri. A mio avviso sarebbe stato un meritatissimo leone, e' un film molto coraggioso e corre almeno dieci volte sul filo del rasoio proponendo una vicenda d'amore fra uno sbandato ed una donna spastica e fermandosi a un pelo dal baratro del cattivo gusto, ed abilmente, ogni volta, senza cascarci dentro, ma provocando con molta intelligenza.

Premio per il contributo individuale ad Ed Lachman e Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile a Julianne Moore per FAR FROM HEAVEN di Todd Haynes di cui parlero' a parte.

Il Premio speciale della Giuria e' andato a SNAKE OF JUNE di Shinya Taukamoto, opera sull'immagine fotografica realizzata in uno straordinario bianco e nero, e sul voyeurismo (sport diffuso in Giappone) che vede al centro una coppia un po' spenta e che si rispetta, composta da un uomo d'affari di mezza eta' ossessionato dalle pulizie casalinghe e da una bella donna piu' giovane, psicologa che si occupa di consulenze telefoniche in un centro di igiene mentale. Salvera' un uomo dal suicidio e questo, di rimando, comincera' ad ossessionarla con telefonate ricattatorie non per denaro e con l'invio di foto molto intime ed anche un po' compromittenti di lei. Il gioco si fa vieppiu' pesante quando anche il marito viene coinvolto, ed il "maniaco" che si dice condannato dal cancro, dopo aver compromesso l'equilibrio della coppia ed aver avvertito la donna di un tumore intravisto sulla pelle di lei sviluppando un'immagine (ed avra' ragione) le rendera' tutti i negativi e scomparira'. Film rigorosissimo, per alcuni anche troppo formale, ma secondo me, interessante, colto, dal ritmo incalzante e della durato ideale di 77' mi ha fatto molto pensare a certe "storie" di Tanizaki.

Menzione speciale a PUBLIC TOILET di Fruit Chan, come sempre, originale, ma questa volta, affastellato, caotico e troppo lungo, infatti i 102' di durata sembrano molti di piu'. I miei appunti "a caldo" lo avevano definito: un geniale casino!

Premio Venezia Opera Prima a DUE AMICI di Spiro Scimone e Francesco Sframeli che ho trovato piuttosto interessante, nonostante qualche ingenuita', ma con una qualita' interpretativa notevole e delle atmosfere "pinteriane" molto azzeccate.

Altri premi non citati si riferiscono a film che non ho, per una ragione o per un'altra, visto.

emilio campanella

 

 

 


UNA SCELTA DI FILM DALLA LIX MOSTRA CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA

Come accennato nell'altro articolo, dedicato ai premi, il nuovo direttore e' riuscito ad organizzare una rassegna di tutto rispetto nonostante il poco tempo a disposizione ed infilando alcuni "colpi" notevoli, primo fra tutti, il film di Mullan, poi anche premiato con il massimo riconoscimento.

La mia avventura quest'anno si e' iniziato con LILJA 4ever di Lukas Moodysson, deludente in confronto ai precedenti, c'e' qualche bel ritratto, come quello del deuteragonista, la protagonista molto meno.

ROAD TO PERDITION (Era mio padre) e' un film inutilmente perfetto, o se volete, perfettamente inutile, e l'ho detestato, se possibile, piu' di American Beauty, falsi l'uno come l'altro, seppur per motivi differenti. Tutto e' a posto: luci, regia, montaggio, interpretazioni (si', anche se non certo emozionanti), fotografie, scenografia; tutto su di una tonalita', anzi un BASSO continuo, ma molto basso, non vola, si spella la pancia per terra!!! Pare che prima Sam Mendes facesse del buon teatro, peccato che sia passato al cinema per farne di cattivo!

AIKI di Tengan Daisuke e' il primo film sulla disabilita' visto in ordine di tempo e piuttosto interessante, in cui un giovanissimo perde l'uso delle gambe in un incidente motociclistico e dopo un periodo nero di discesa all'inferno, anche grazie ad alcuni incontri "giusti" come uno yakuza buonissimo e simpatico ed una sorta di geisha intelligente, e specialmente un maestro di arti marziali un po' "magico", riuscira' a risalire la china ed a diventare campione di una sorta di lotta soprattutto mentale che gioca sullo sbilanciamento dell'avversario. L'appunto immediatamente dopo la proiezione recita: interessante, appassionante percorso doloroso. Subito prima il corto PUGNI di Andrea Adriatico (Teatri di vita) intrigante e seduttivo oltreche' ironico.

PONIENTE di Chus Gutie'rrez, un film onesto ed utile sul rapporto con la terra d'origine, quello con la natura, il lavoro, l'immigrazione, e con Jose' Coronado... poi mi direte!!!

UN HONNÊTE COMMERÇANT di Philippe Blasband e' un notevole esercizio formale intrigante ed appassionante con buoni attori ed il sempre ottimo Philippe Noiret: solo 93'!

FÜHRER EX di Winfried Bonengel, preceduto da un battage scandalistico relativo alla tematica neonazista, e' solo un pasticcio pretenzioso.

MEILI SHIGUANG (The best of Times) di Chang Tso-chi... dispersivo..

MON HUAN BU LUO (Sogno tribale) di Wen-tang Cheng, mi ha lasciato molto perplesso e non mi ha convinto anche per la struttura macchinosa dei suoi 93' che sembrano il doppio.

BEAR KISS di Sergei Bodrov. Dimenticatevi il Prigioniero del Caucaso e poi pensate a Bigas Luna, e non illudetevi di ritrovare i delirî di Tourneur... gli orsi sono bellissimi e la ragazza bravissima con loro... un po' poco!

ZMEJ di ALEKSEJ Muradov: 75' di foto sgranata in bianco e nero, una situazione di emarginazione, degrado, una famiglia distrutta, un bimbo non deambulante, l'attesa di una operazione, intanto il padre esegue materialmente le condanne a morte. Durissimo, radicale ma notevole.

MIZU NO ONNA di Hidenori Sugimori ha intanto una raffinatissima colonna sonora che accompagna questa ch'e' quasi una ballata in cui una ragazza detta 'la donna dell'acqua' come da titolo, gestisce un bagno pubblico e si occupa di tanto in tanto di una folla gentile che dice di essere sua madre ed e' un misto fra la pazza di Giraudoux ed un personaggio uscito dritto dritto dal 'buto'. Un incendiario verra' assunto come guardiano della caldaia dello stabilimento, cosi', come tutto cio' che tocca la fanciulla, volge in positivo anche la distruttivita' del fuoco. I quattro elementi, la mitologia, ma tutto molto quotidiano, credibile ed al tempo stesso affascinante.

DOLLS di Takeshi Kitano. Che dire? Kitano, che non amo e che, a parte le magnifiche scene (vorrei vedere!) di Bunraku all'inizio ed alla fine, non mi ha convinto neanche per un minuto: troppi colori perfetti, troppi abiti firmati, troppe ricercatezze, e questo non basta a ricreare un certo mondo corrispondente all'Ukiyo-e (che si riveda Misoguchi, semmai!).

11'09''01 SEPTEMPER 11. Come tutti film ed episodî, ed alti e bassi, e comunque con alcuni veramente notevoli. Questo e' stato un altro dei film "scandalo" della Mostra, per fortuna!

THE TRACKER di Rolf de Heer. Piu' o meno un western classico, con i caratteri piu' o meno scolpiti, con alcuna preziosita' (i quadri, il bellissimo aborigeno che fugge il cattivo della storia ancora piu' bono -Gary Sweet, il nativo e' Noel Wilton-) ed una colonna sonora insopportabile. Cambia solo il fatto ch'e' ambientato in Australia e sta dalla parte dei nativi; gia' un'ottima cosa, ma da un regista come lui, un po' poco, mi aspettavo che andasse oltre.

DIRTY PRETTY THING di Stephen Frears. Un altro film "sovversivo" che sta dalla parte degli immigrati, forse con i buoni troppo buoni ed i cattivi troppo cattivi (ma Sergi Lopez e' un malvagio perfetto); costruito con molta abilita' e ritmo e' un prodotto molto riuscito e nella buona media del regista.

CLOWN IN KABUL di Enzo Balestrieri e' uno dei documentarî piu' strazianti che ricordi in cui la forza dei medici clown, Hunter "Patch" Adans in primis si scontra contro la realta' spaventosa dei bambini dilanianti dalle bombe o dalle mine anti-uomo. Una scena per tutte: una bimba molto piccola completamente ustionata e medicata senza anestesia il cui, pianto disperato a poco a poco si calma stremata mentre la dottoressa clown con i suoi giochi e le sue buffonate quasi riesce a farla ridere mentre il suo sguardo sotto il trucco pesante ed il sorriso dipinto e' dello smarrimento piu' grande.

UN MONDE PRESQUE PAISIBLE di Michel Deville. Francia 1946, la guerra e' finita, il mondo e' in pace (?), i reduci sono tornati (quelli che sono tornati), i pochi ebrei anche, ed hanno ripreso la loro vita, ma le ferite sono profonde nel corpo di qualcuno, nella mente di qualcunaltro. Il mondo e', infatti, quasi pacifico; tutto e' quasi a posto come nel cinema sempre attentissimo di Deville.

APRIMI IL CUORE di Giada Colagrande: IMBARAZZANTE sotto tutti gli aspetti!

ADDIO DEL PASSATO di Marco Bellocchio. Un documentario quasi perfetto su ed attorno all'opera, i luoghi storici, i teatri, le voci, le evocazioni di Traviata.

L'HOMME DU TRAIN di Patrice Leconte merita un articolo a parte.

 

emilio campanella