Le recensioni di Emilio Campanella

Maggio 2006


4.o FESTIVAL INTERNAZIONALE DI DANZA CONTEMPORANEA

LUCIO FONTANA ALLA COLLEZIONE GUGGENHEIM


4.o FESTIVAL INTERNAZIONALE DI DANZA CONTEMPORANEA

Ismael Ivo, al suo secondo mandato come direttore del settore danza della Biennale (ne avremo un terzo il prossimo anno), ha deciso di aprire la rassegna, anche questa volta, con un simposio che porta il medesimo titolo del festival (8-25/6/2006).

Primo spettacolo e' stato Illuminata, una nuova creazione dello stesso Ivo, prodotta dal Teatro Comunale di Bolzano. Parte da un episodio realmente accaduto al coreografo: un gravissimo incidente automobilistico, a causa del quale ha rischiato di rimanere paralizzato, il percorso di recupero, la ripresa insperata di una vita normale. E' uno degli incubi tipici dei danzatori, quello di perdere l'uso delle gambe, di fratturarsi, non poter piu' danzare, e percio' stesso, estremamente interessante e profondo poteva essere un discorso dall'interno, ed infatti, la primissima parte, quella di prepararsi al peggio e' piuttosto forte, ci sono episodî in cui i quattro danzatori, bravissimi, respirano, amplificati da microfoni, riempiendo della loro ansia l'ansito di vita, lo spazio teatrale, poi pongono la mano a sentire il cuore del pubblico, letteralmente, anche se un po' troppe volte, sino ad un momento magnifico di Ivo con un suo "doppio" giovane (il mio corpo, il corpo dell'altro, il mio corpo giovane, il mio corpo di uomo che invecchia, io prima, durante, dopo il trauma) solo, che tutto si ferma a due o tre episodî, il resto si trascina in una plaga di vaghezza, nonostante il bell'impianto scenico (una parete specchiante semovente) e sacchi di sabbia che trasformano il palco in un deserto, si', certo, molto visto, ma molto ben fatto. Un'orchestra ed una cantante di qualita'. Tutto e' molto rigoroso e coerente, ma dopo poco si finisce "fuori tema" ed ogni cosa risulta un po' fine a se stessa.

Secondo appuntamento: D.D.D. di e con Takao Kawaguchi. Una specie di scommessa al limite della resistenza fisica, molto vicina alla performance / improvvisazione con i suoi lati estremi, quasi un cercare una strada (non facile da trovare) oltre il buio. Tutto si svolge sopra ed attorno ad un tavolo, talvolta sotto luci violente e musica assordante. Il danzatore, agli stimoli del musicista, reagisce, ora ieratico, rigoroso, suggestivo, fluido ed ipnotico. Tecnicamente quasi mirabolante quando, completamente nudo, sotto un filo d'olio che gli cola addosso, cade, si rialza, gira, salta, striscia con un controllo straordinario del movimento: suggestioni kafkiane, baconiane.

Jin Xing ritorna, invece, dopo il pessimo spettacolo presentato al Malibran, a Carnevale, con The Closest - The Furthest, un solo elegante, calibrato, ironico ed evocativo, insigne ad una musicista di gu qin (un po' parente del koto giapponese) e si dimostra padrona della scena, bella ed enigmatica: non certo grande coreografa (in questo momento non ce ne sono a parte i "grandi vecchi" che ancora lavorano), ma di notevole personalita' teatrale, oltreche' umana.

L'Istanbul Dance Theatre ha proposto Mahrem, imbarazzante rifrittura a livello di saggio di scuola di non eccelso livello, e Kimlikler, una stilizzazione della violenza maschile sulle donne: c'e' un po' di tutto, dall' hammam, alla lavanda dei piedi, ma con legazioni vecchiotte, anche se il significato generale e' molto alto, solo, manca la giusta sintassi.

E' di Accrorap: Les corps e'trangers, in cui, gruppi compaiono, si disfano, lentamente, in penombra; si sale, si va in alto, poi si scende. Pian piano aumenta il ritmo, gli stili si confondono, s'incrociano, c'e' un'esplosione dinamica. Anche un amore durante il sonno degli altri. Siamo al piacere del movimento, quasi danza pura. Talvolta sonni "pericolosi", brevi, come letargie: la tragedia e' dietro l'angolo, poi la scena avanza, e retrocede, respira, vive. Poi, pero' si continua con altri 20' di cose belle ma inutili, viene aggiunto un ulteriore pseudo-finale. Si deve fare, a tutti i costi un'ora di spettacolo, anche se con 40' si sarebbe detto gia' tutto, e bene!

Il 16 giugno mi sono assentato dal festival per andare al Comunale di Ferrara, attratto dall'allestimento del Dido and Aeneas di Henry Purcell, con l'orchestra notevole dell'Akademie für alte Musik, ben diretta da Attilio Cremonesi, che ha ricostruito la partitura, con l'apporto dello straordinario Vocalconsort Berlin. Gli interpreti vocali, meglio non citarli. La coreografia e la regia di Sasha Waltz, e l'interpretazione danzata della sua straordinaria compagnia, potrei fermarmi qui, data la delusione molto forte e la riconferma di una coreografa che non e' altri se non un'epigona che bluffa e viene scambiata per grande in un momento di vuoto. Certo, il prologo in acqua e' suggestivo, puntuale e non troppo didascalico, facile, certo, ma via! Sino ad un terzo lo spettacolo, piu' o meno funziona, anche se su binarî previsti, ma corretti e fluidi, poi, dopo un "masque" coloratissimo, si continua con inutili 'sadismi' da "Tanztheater", un lungo, lunghissimo momento di noia, un solo di nessun interesse, tutto in silenzio, e dopo, finalmente! di nuovo la musica! Qualcuno, oltre al resto, dovrebbe spiegare alla signora, che il masque e' un genere difficilissimo, e, se gia', la prassi esecutiva e' un problema quasi insolubile, non meno lo e' la messa in scena, per cui e' indispensabile il colpo di genio, ma non e' il caso nostro. Ah, un'altra cosa, non bisogna far sbattere i cantanti, come forsennati, per la scena, a detrimento delle gia' scarse doti vocali!

Dopo il Pride torinese mi ripromettevo di vedere un Ballo in maschera al Carlo Felice di Genova, mentre uno sciopero ferroviario mi ha costretto ad un rientro anticipato per non perdere tre degli spettacoli del festival veneziano, due dei quali, secondo me, i migliori della rassegna. Smadar Yaaron (Acco Theater Center) ha presentato Wishuponastar -una storia d'amore fatale, in cui l'attrice-performer, di grande personalita' e coraggio, come si dice, una vera "bestia da palcoscenico", canta, recita un testo, debbo dire, macchinoso e fumoso, parla, straparla, si parla addosso mentre la colonna sonora propone, coraggiosamente, Liszt ed anche Wagner. Una stella di David ballonzola grande ed incombente, ci sono anche delle presentazioni in platea, che ci saremmo risparmiati. "Israele e' il mio corpo". Stradisinvolta, si fa anche possedere dalla stella su cui si arrampica, gioca l'acrobatico. Lo spettacolo talvolta non e' elegantissimo.

Di seguito la Beijing Modern Dance Company ha presentato Oath (midnight rain). Si tratta di sei personaggi introdotti da una figura ammantata di rosso: il primo, in blu, danza in maniera ricercata ed estremamente estetizzante che pare fine a se stessa, ma che nel "secondo tempo" svela una sua speciale qualita' minimale di mani e di "movimento di tradizione", alla fine, poi, ipnotico. Una lei ancora piu' espressionista, con una gamba rossa, mentre l'altro aveva le mani di quel colore, s'ingarbuglia, sgarbuglia abilmente, pericolosamente in una frusta. Un'imperatrice "re'venant", fantasma pazzo e violento, fragile e deduttivo, abito e trucco sontuosi: Lady Macbeth, Clitennestra, Medea, Lilith, magica e pericolosa danza di maniche. Una specie di re drago dalla barba rossa, con le ali, dapprima tenute, sostenute da lontano, un gestire lento e ieratico "doppiato" da un attore d'opera, su percussioni moderne, tolta la barba diventa meccanico, poi, rimessala, dinamicissimo; infine, su di una struttura mobile (un lungo tubo e tre corde), piedi rossi, nuota, corre, si libra, sospesa, lenta, velocissima, inquietante creatura, non si sa di quale specie, con un costumino da soubrette estremo orientale anni '20. Da ultimo la figura rossa ritorna e porta con se', tutte le creature, legate da una "corda rossa". La morte (rossa) li invita a una danza coniugando Poe ed il Bergman de Il settimo sigillo. Ognuno ripropone il suo personaggio come evocato da una vita ormai lontana, saluti elegantissimi e sontuosi, grandi applausi, e agli interpreti di grande livello, ed alla brava coreografa Gao Yanjinzi.

Giusto il tempo di rimettersi dall'emozione: eccoci in attesa di entrare allo spazio Fonderie (gli spettacoli erano, come sempre, all'Arsenale: Teatro alle Tese, Tese delle Vergini, Piccolo Arsenale, oltre a quello gia' citato, ed al Teatro Malibran), ideale per gli assoli, di buone proporzioni fra sala e palcoscenico. Adattissimo per la concentrazione. Qui Ko Murobushi, punta di diamante del festival, seconda generazione del buto, anche lui, ormai storico patriarca, ha presentato Quick Silver in cui si presenta, dipinto d'argento, in soprabito e cappello, anche molto beckettiani, dopo aver introdotto la pie'ce con il suono assordante ed ingombrante di una lamiera quando toglie il soprabito e' come un vermicello, una larva, si trascina faticosamente, e' una variazione molto piu' inquietante dei neonati che, da sempre, questo stile di danza propone, e' una creatura che cerca di trovare / ritrovare la percezione del proprio corpo. Imprigionata in una luce come di eclissi, riesce faticosamente a mettersi seduto, ci guarda, ricade, mugola, riprova, non si regge, ricade. Dopo essere riuscito ad alzarsi, crolla pesantemente. Un girono, un sospiro, un gemito come in Munch, come nei disegni, ma tragicamente ironico. Coraggiosissimo (fino all'autolesionismo, rotolandosi nel sale), esigentissimo anche con il pubblico terrorizzato dal silenzio lunghissimo in cui il suo corpo di uomo anziano, fragilissimo e vigoroso, si da' in pasto agli sguardi di chi gli sta di fronte - e' l'unico, a detta e sensazione di tutti che sia andato veramente "sotto la pelle"come in una incisione di Vesalio. Ho visto lo spettacolo il 21/6, e parlando, la sua assistente mi ha assicurato che, la sera precedente, lo spettacolo era completamente diverso, egualmente forte e teso, ma adatto ad un pubblico, ovviamente, differente, alla temperatura, emotivamente diversa, della sala.

ACCCA / Sadler's Wells Company of Elders (Portogallo / Regno Unito) ha presentato Natural, su coreografia di Clara Andermatt. Un lavoro dal fortissimo debito bauschiano (essenzialmente Kontakthof con signori anziani) in cui i signori e signore (in nero con qualche colore: una blusa, un gilet, una cravatta), avanti negli anni, agiscono sotto belle luci , fra una fila di sedie ed un grande tavolo (un biliardo coperto?), come in una riunione mondana un po' da patronato. Spiccano delle belle personalita' in un lavoro creato in due settimane (cosi' dalle parole della coreografa) e non destinato alle scene, che comunque, merita pienamente. Gli interpeti sono bravi tout court, non relativamente all'eta', e questo e' cio' che conta: non e' uno zoo, sia chiaro!

Il festival si e' concluso con il Laboratory Dance Project coreano, compagnia di tutto rispetto che ha danzato su tre lavori creati per l'occasione: Active Zone (Mina Yoo), molto vecchio e molto visto; No Comment (Shin Chang-Ho), un po' meglio, drammaturgicamente quasi motivato, e coreograficamente piu' costruito, con magnifiche luci, ma anche qui con la solita coda inutile! Fragment (Ismael Ivo) un tentativo poco riuscito di riproporre Medea Material di Heiner Muller, con fumosita' da teatrodanza, e, talvolta, anche, per fortuna, quella che puo' sembrare danza pura, ma si riconosce poco il coreografo.

emilio campanella


LUCIO FONTANA ALLA COLLEZIONE GUGGENHEIM

Estate 2006, a Venezia quattro mostre di arte moderna e contemporanea: una scelta della collezione Pinault al riaperto Palazzo Grassi; un'altra di quella di Pontus Hulten a Palazzo Franchetti; Jean Arp e signora al Museo Correr, e Fontana alla Collezione Guggenheim. Una delle quattro e' assolutamente imperdibile e vale da sola il viaggio, anche se non avevate in programma un salto in laguna. Inaugurata il 3/6, l'accuratissima mostra e' intorno ad un ristrettissimo periodo del lavoro di Lucio Fontana, tra il 1961 ed il 1962, quando creo' opere (esposti espressamente la mostra ragione delle opere stesse) in cui interpreto' le sensazioni che la citta' lagunare gli suggeriva subito prima del volo oltreoceano, per cogliere quelle che l'isola di Manhattan gli evocava: da un'isola all'altra, il raffronto emozionante della esposizione, che mette a confronto le preziosita' dell'oro e dell'argento materico steso sulla tela insieme con frammenti di vetro colorato muranese (gli scarti di lavorazione: i "cotissi") per rendere gli "specchietti riflessi" (miroiter) e bagliore, come l'abbaglio solare e "devastante" della piazza, a mezzogiorno, brulicante di gente, tutt'altra cosa per New York, in cui la ricerca risulta molto piu' ardua (a detta dello stesso artista), ma non meno riuscita, per rendere l'effetto specchiante, e come di immani cascate di luce dei grattacieli, del vetro e dell'acciaio. E questo e' proprio il centrale della mostra Venezia - New York, questo raffrontare due visioni di citta' diversissime, da parte di un sommo artista che coglie, di ognuna il particolare riflesso di e con la luce: piu' morbido ed antico, quello veneziano, "conscio" delle antiche preziosita'; piu' "duro" e "violento", quello americano, di cui Fontana subisce la fortissima "colonizzazione" e fascinazione. Grande merito, ancora una volta, di un curatore attento come Luca Massimo Barbero, quello di aver cercato (in un lavoro durato due anni), radunato, tenacemente trovato, le opere scelte e proposte per un percorso di grande, attenta, partecipata, emozionata esperienza d'arte.

 

emilio campanella


 




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