Le recensioni di Emilio Campanella

Febbraio 2006


LE MERAVIGLIE DELLA PITTURA TRA VENEZIA E FERRARA

CAROLYN CARLSON - SUSANNE LINKE

URLO DI PIPPO DELBONO

SLAVA'S SNOW SHOW

PAOLO FARINATI


LE MERAVIGLIE DELLA PITTURA TRA VENEZIA E FERRARA

Le meraviglie della pittura tra Venezia e Ferrara, cosi' si chiama la mostra inaugurata, in gran pompa, al Teatro Sociale, sabato 21 gennaio, e visitabile sino al 4 giugno, a Palazzo Roverella a Rovigo, si', perche' si tratta di questa citta' che gli organizzatori intendono valorizzare proponendo un'amplissima scelta delle collezioni locali dell'Accademia dei Concordi e della Pinacoteca del Seminario Vescovile, oltre ad altre nutrite presenze da differenti collezioni, da chiese della zona, nel palazzo suddetto (del Rossetti) appena restaurato. E' una buona, anzi ottima occasione per vedere con attenzione una scelta di opere di tutto rispetto.

Certo e' che se manifesti e copertina del catalogo citassero anche la citta' che ospita l'esposizione, oltre che, stabilmente, la maggior parte delle opere, sarebbe meglio. Il sottotitolo recita: da Bellini a Dosso a Tiepolo, e si tratta di nomi grossi, di sicuro richiamo, ma fra le oltre cento opere esposte ce ne sono altri, e di tutto rispetto. Va premesso che l'esposizione, distribuita con respiro, su due piani, si presenta come molto impegnativa, dato il percorso che spazia dal '400 al '700, ma, sara' per l'importanza degli artisti, per quella delle opere, non risulta faticosa come si potrebbe temere; non ultimo perche' il criterio cronologico e' un po' come in un buon museo, ed anche per i quadri noti, e questo aiuta sempre a non disperdere l'attenzione.

I nomi sono molti: Antonio e Bartolomeo Vivarini, passando per Bellini (anche il Cristo portacroce, per lungo tempo attribuito a Giorgione), Alvise Vivarini, Marco Bello, tre magnifici Palmezzano (la sua 'personale' e' a Forli' sino al 30 aprile), Palma il Vecchio, Palma il Giovane, Cicognara, Garofalo, Mazzolino, Dosso, Girolamo da Carpi, Veronese, Tintoretto, Bastianino, specialmente il suo Cristo morto sorretto da due angeli, Scarsellino, Orbetto, ottimo (Cristo alla colonna), Strozzi, Fetti, Ponzoni, Pietro Vecchia, Forabosco, Mazzoni, Liberi, Zanchi, Crespi, Carlevarijs, Fra' Galgario, Rosalba Carriera, Pittoni, Piazzetta, Giambattista Tiepolo (lo straordinario ritratto di Antonio Riccobono, manifesto della mostra e copertina del catalogo), Longhi, Zais, Fontebasso, Giandomenico e Lorenzo Tiepolo, e non sono tutti.

Insomma una magnifica occasione per passeggiare fra una scelta di opere d'alto livello.

emilio campanella

 

 


CAROLYN CARLSON - SUSANNE LINKE

Sfogli distrattamente il giornaletto locale, e cosa scopri? Che Susanne Linke danzera' Im Bade Wannen al Teatro Comunale di Treviso l'11 gennaio... Strabuzzi gli occhi, ti pulisci le lenti, eh, no! Hai letto bene! Telefoni subito e prenoti. Questo accadeva qualche settimana fa.

Puntualmente prendo un trenino da Venezia, scendo, faccio 'quattro passi' e mi trovo davanti al, finalmente restaurato Teatro Comunale di Treviso. Ho perso il conto degli anni trascorsi dall'ultima volta in cui sono entrato in questo bel teatro all'italiana.

Il pubblico arriva pienamente, ma a cinque minuti dall'inizio, eccoci tutti seduti, pelliccette, abitucci neri, scialli con gli strass e completini giacca-cravatta, compresi. Certo e' che, al di la' di tutto, l'occasione era da non perdere, infatti il programma proponeva quattro notevoli personalita' della danza contemporanea in un involucro-evento, progetto esclusivo per Treviso, intitolato: Carolyn Carlson - Susanne Linke, le due donne del teatro-danza e i loro uomini.

Equilibrata, definirei, la divisione in due tempi introdotti da brevi documentari: la prima parte con il prologo Meine Männer, ritratto affettuoso per la regia di Urs Dietrich, che riprende la Linke alla vigilia della partenza per una tourne'e: la sbarra, il training, i bagagli, gli ultimi sguardi alla casa, la porta che si chiude, e giu' dalle scale, in attesa poi dell'auto. Un breve tratteggio che coglie la personalita' di Frau Linke, il suo sguardo attento sulle cose, l'introspezione del carattere, l'attenzione al mondo ed alle persone che la circondano, che chi la conosce non puo' non ritrovare.

Poi Urs Dietrich danza Chronisch da Tanz-Dis-Tanz, un estratto da un lavoro piu' ampio, come sempre, di grande rigore formale ed attenta astrazione: uno spazio fisico/mentale con concetti molto elevati, altissima qualita' scenotecnica in un preciso giocho di ombre, pur con alcune legazioni gia' viste. Superficialmente avrebbe giovato una maggiore stringatezza, ma non si puo' giudicare non avendo il riferimento della coreografia nella sua interezza.

Dopo una pausa, ecco, in penombra s'intravvede la vasca, la tazza su cui e' seduta la signora, sola nell'intimita' del suo bagno; le note delle Gymnope'dies, ed ecco Susanne che si alza, passa dietro la vasca, la tocca, l'accarezza con l'asciugamano, vi volteggia attorno, sopra, dentro, la fa ruotare, rollare, beccheggiare come una barca, l'abbatte, vi si rifugia dentro, fugge fuori, cade, si rialza, si accoccola. Buio!

Era dall' '87 (al genovese Teatro della Tosse) che non vedevo questo storico pezzo (1980), ed ho ritrovato l'immutato rigore, la sobrieta', la precisione, maggiormente apprezzate, questa volta, avendo, anni orsono, lavorato con la coreografa.

Dopo l'intervallo il video Mes hommes di Massimiliano Siccardi, che non si e' sforzato molto ed ha usato anche immagini da Citta' d'acqua.

Poi, Adesso di e con Lario Ekson, e le musiche dal vivo di Paki Zennaro, bravissimo, come sempre, mentre le eleganti fumosita', fortunatamente, di breve durata, di Ekson, non mi hanno convinto ne' punto, ne' poco. Poi ho saputo ch'era arrivato tre giorni prima, e si trattava di un'improvvisazione, secondo me, neanche troppo ispirata. Ekson ha una grande personalita', ed un notevole carisma, puo' permettersi molto... non tutto, pero'!

In chiusura Giotto des vices et des vertus, di e con Carolyn Carlson, da un'idea di Gianni De Luigi, su magnifica musica di Gavin Bryars. Si tratta di un solo di estremo rigore formale in cui Carlson da' vita ad affreschi giotteschi riprendendone attitudini ed espressioni su di un praticabile incorniciato color paglierino e con un magnifico abito (ancora una volta) del medesimo colore. Ieratica e sensibilissima, totemica e vibratile come una farfalla. Grandi applausi, a tutti, ovviamente!

emilio campanella


URLO DI PIPPO DELBONO

Il Teatro Toniolo di Mestre ha ospitato, il 31 gennaio, lo spettacolo Urlo di Pippo Delbono.

Ogni volta, con questo regista e' la medesima cosa: sei come investito dalla forza delle immagini, dalla carica emotiva, viscerale, dall'energia dirompante, e, talvolta, dissacrante di certi momenti. Ci metto sempre un po' a rimettermi, lasciando che i materiali si depositino sul fondo della memoria, per poi risalire in superficie e riaffiorare man mano, assumendo ognuno la sua prospettiva, il suo rilievo.

E' ancora una volta un affresco, un mosaico animatissimo di situazioni e personaggi, con la consueta tecnica compositiva fittamente episodica, e come con una sorta di montaggio alternato cinematografico, e di avvicendamento di situazioni diverse e contrastanti.

Si inizia con la voce di Bobo' che grida le sue sillabe gutturali nel buio, poi due uomini molto alti ed eleganti nei loro abiti scuri, la accompagnano e, gia' incoronato e con manto regale lo siedono su di un alto trono; poi c'e' un ricevimento/cena/party/riunione di persone tutte bendate; successivamente una cena molto esclusiva in cui una fascinosa viene servita dai due elegantoni di prima (quasi Sayrig in Marienbad), ma poi lei comincia a piangere disperatamente e senza respiro; intanto una grassa cantatrice arriva dal fondo per essere sostituita da una bambinaccia fumatrice e sadica che brutalizza un uomo a torso nudo e pantaloni di pelle. La piagnona di prima decide di farla finita cercando di tagliarsi la gola con il rossetto, con un effetto violentissimo.

Ed e' solo l'inizio: e' un continuo, una sarabanda d'immagini, situazioni, stimoli aiutati anche dal regista che un po' di leggi'o (quello ch'era di Orsini nella versione primitiva) come da uno studiolo di antico sapiente, commenta, cita anche Ginsberg.

Giuro che quasi 40 anni orsono quando ho letto per la prima volta questo poeta che ho sempre molto amato, e che continuo ad amare, non avrei mai immaginato di ascoltare, uomo di mezza eta', il suo Howl in uno spettacolo.

Poi ci sono scene ecclesiastiche, una discoteca anni 60/70. Una banda che talvolta passa, forte ed inquietante, con ritmi funerei ed incantatorî, e ci sono lupi umani, e forse una suora esorcista.

Tutto si svolge in una baraccopoli (le scene sono di Philippe Marioge), mentre Pippo va e viene. Poi ci troviamo su di una spiaggia (Bordighera?) anni '60, e tutti ballano e mimano sulle note di 'Stessa spiaggia, stesso mare' (qual'era, poi, il titolo? mah!), mentre Bobo' e' Topolino in frac, si', questa volta, quasi si perde il conto dei suoi personaggi.

Ginsberg viene reinterpretato, mentre forme sofferte, s'intravvedono, agiscono, spariscono, come sogni, incubi, evocazioni della mente del regista (cio' che e', in effetti!).

C'e' un santo martire con la sua banda; tutta un'atmosfera di santita' varie, le grida di Bobo', ancora, e santo anche lui, si viene guidati alla santita', incalzati dalla banda inesorabile. Genet non e' lontano!

Poi ci sono esemplificazioni di varî poteri forti, e variamente violenti ed assassini. Ognuno caccia i fantasmi del proprio incubo. Appare un altissimo vescovo semimummificato. E' tutto un alternarsi di atmosfere piu' cupe con altre maggiormente distese e solari, all'apparenza, quando poi, a ben vedere, le seconde sono piu' tragiche delle prime.

Uno spettacolo richissimo anche senza la presenza di Giovanna Marini, ed affollatissimo, con questa magnifica banda sempre perfettamente al passo, che incede, entra, esce, avanza, indietreggia con grande precisione drammatica, e tutto attorno il mondo pazzo e geniale di Pippo Delbono, composto da oltre venti persone, con in scena un gran traffico sempre diretto con precisione.

Lo spettacolo invitato nella stagione di teatro contemporaneo del Teatro Aurora di Marghera, e' coprodotto da: Emilia Romagna Teatro Fondazione, Maison de la Culture de Bourges, Festival d'Avignon, Teatro di Roma, Sce'ne Nationale Du Havre-Le-Volcan, The'âtre de la Cite', The'âtre Nationale de Toulouse, Sce'ne Nationale de Se'te, Spielzeit Europa Berliner Festspiele, in collaborazione con la Fondazione Orestiadi di Gibellina.

emilio campanella


SLAVA'S SNOW SHOW

Che dire, e che aggiungere a quanto e' stato scirtto attorno a Slava Polunin ed il suo Slava's Snow Show a Bologna e Udine nelle scorse settimane? Ben poco, invero, forse, pero', si', che il suo spettacolo (visto al Teatro Nuovo Giovanni da Udine il 29/I) e' di grandissima abilita', e soprattutto, furbizia. Termine, questo a doppio taglio che, nel caso di Polunin, grandissimo talento, potrebbe anche essere fortemente negativo per la straordinaria capacita' di questo clown. Di stare, essere in scena, anche senza far 'nulla', per cosi' dire. E' di quello che quando compaiono (al di la' della fama, meritatissima, che lo precede) creano gia' un evento. Qualita', questa, pero' pericolosa, che fa passare al gigionismo, quasi, senza accorgersene. Non e' pero', questo il caso, poiche' lo spettacolo si mantiene sempre su di un livello di qualita', molto alto.

Ci sono, comunque, appunti da fare, e li faccio subito, cosi' da lasciare le note positive alla fine. Intanto, certe musiche, purtroppo, molto ascoltate ed abusate, forse perche' il lavoro arriva qui (guarda caso!), con molto ritardo, e poi l'utilizzo di certi effetti non nuovi come la grande ragnatela della fine della prima parte, ed altre cose alquanto prevedibili. Bisogna, pero', dire che lo spettacolo e' rivolto molto ai giovanissimi, e con loro funziona perfettamente, e questo e' un gran risultato poiche' tutti sappiamo quanto esigente sia il pubblico infantile.

Ci sono poi, alcuni, non moltissimi, grandi, imperdibili momenti, disposti con equilibrio in un insieme estremamente gradevole di cose anche molto viste.

Si sono fatti grandi nomi letterarî per le suggestioni di Asysiai (questo il nome del personaggio) che ne rimane (a detta di Slava), non poco imbarazzato. Vero e' che il pubblico spesso ti dice cose, del tuo spettacolo, che tu stesso non avevi ancora pensato.

Io faccio solo un nome: Beckett, inevitabile e legittimo, peraltro.

Uno dei momenti piu' alti e' nella prima parte: Slava/Asysiai con la sua tuta gialla informe, le sue soffici, enormi scarpe rosse come la sciarpa ed il nasone, il viso da 'classico' clown ridente ed una parrucca 'esplosa' rossiccia, entra in scena, trapassato da tre lunghe bianchissime (ovviamente!) frecce sul concerto di Aranjuez di Rodrigo, musica gia' baraccona di suo, che gli permette di danzare con la sua morbida leggerezza, come di gommapiuma, una morte eroica, consapevole di una storia teatrale e ballettistica lunga secoli, infarcita di tic, tormentoni, risate e calde lacrime di grande equilibrio ritmico e formale. Molto spesso a lui si contrappone un coro di signori di varia statura (Fyodor Makarov, Artem Zhimolokov, Yuri Musatov, Georgiy Deliyev, Tatiana Karamisheva, Oleg Sosnovikov), con lunghe palandrane verdastre, lunghissime scarpe nere ondeggianti, cappello con speci di ali mobili nel movimento, tutti, uno piu' pazzo dell'altro, come usciti da incisioni di Callot. Anche loro, lunari e dispettosi, cattivelli ma non troppo, giusto per esigenze teatrali.

L'inizio della seconda parte e' all'insegna del 'Grand pas de deux' di ascendenza classica, d'altronde, se Polunin ha mosso i primi passi nell'allora Leningrado, eh beh! Allora, l'atmosfera del Kirov l'ha certamente respirata. Quindi, eccolo qui insieme al suo Pierrot... oops! Beh! No, non e' proprio un clown bianco, ma neppure lui lo e', insomma, come due 'Augusti', come due 'demi caracte'res', invece di 'Bianco e l'Augusto', 'danceur noble et demi caracte're'. Insomma, come due bassi comici perplessi e tenerissimi, maldestri ed elegantissimi.

emilio campanella


PAOLO FARINATI

Giusto a ridosso della chiusura, mi e' riuscito di fare una visita attenta alla mostra che il Museo di Castelvecchio (VR) ha dedicato a Paolo Farinati (1524-1606), poliedrico maestro locale, dal 17 ottobre 2005 al 29 gennaio 2006.

Una mostra 'piccola' (i pezzi sono, comunque, piu' di duecento, fra dipinti, sculture, disegni, incisioni), ma preziosa che raccoglieva tele, bozzetti, fogli a tema architettonico e di ornato, in un'unica sala con un allestimento (Filippo Bricolo) estremamente funzionale, ed, illuminotecnicamente ammirevole: erano accostati, prospetticamente, disegni preparatorî e tele finite, opere provenienti da svariati musei (Parigi, Copenhagen, Amsterdam, Roma, Pavia, Venezia, Reggio Emilia) proponendo differenti versioni degli stessi temi.

Paolo Farinati aveva un'avviatissima bottega familiare e spaziava fra varî impegni anche di realizzazioni architettoniche, come di decorazione d'interni, si direbbe oggi. Molto attento a cio' che gli accadeva intorno (allievo di Giolfino, e non lontano da Veronese), pur restando legato alla propria citta'. Alcune opere sono state lasciate in sito nelle sale del museo da cui proviene anche la maggior parte del corpus di disegni esposto. La visita poteva continuare in alcune chiese e palazzi della citta' e dei dintorni che portano la sua firma per architetture ed affreschi.

Da ultimo e' da sottolineare ancora una volta l'attenzione con cui il Museo di Castelvecchio propone e realizza le sue mostre, in questo caso, di uno dei tanti dotatissimi maestri che il '500 ha prodotto.

 

emilio campanella

 


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