ORSI ITALIANI


Le recensioni di Emilio Campanella

Luglio 2009


LA SANTA CON I PATTINI A ROTELLE: ALCUNI RICORDI DI PINA BAUSCH - THE WASTE LAND Biennale Danza - MOSTRE FIORENTINE: DA PETRA A SHAWBAK e ROBERT MAPPLETHORPE, LA PERFEZIONE DELLA FORMA



La scorsa settimana Pina Bausch se n'e' andata. Discretamente, e' uscita di scena la 'santa con i pattini a rotelle' come la defini' Federico Fellini.
La sua compagnia e' stata al Festival dei due Mondi di Spoleto nei giorni scorsi, per presentare BAMBOO BLUES, ma senza di lei. Non ci saranno piu' suoi nuovi spettacoli, anche se il suo vastissimo repertorio verra' sicuramente tenuto in vita dai soi validissimi danzatori e dai collaboratori.
Per fortuna non ho visto tutti i suoi moltissimi 'stucke' , e potro' ancora commuovermi, stupirmi, divertirmi con il suo geniale teatro; potro' rivedere le cose che conosco e che amo, ancora - spero - tante volte, ma lei non potra' piu' aggiundere nulla, e questa e' la grandissima perdita.
Riandando indietro con la memoria al 1983, a quella data risale il mio 'shock Pina Bausch', come lo chiamava il mio maestro di danza Roger Ribes.
E' uno spettacolo che mi si e' stampato nella memoria: '1980', visto al Nouveau Théâtre de Nice; poi gia' a Venezia da due anni, e vivendo immerso nella danza, avevo vissuto l'emozione del festival a lei dedicato dal Teatro La Fenice in collaborazione con la Biennale, nel 1985, con otto titoli straordinari.
Alcuni mesi dopo, a Parigi, la fortuna di vedere VALZER(1982) al Théâtre de la Ville, esaurito - ma come figurante - seduto in palcoscenico, grazie alla professione, quindi proprio dentro lo spettacolo.
In quegli anni lavoravo e studiavo moltissimo, facendo anche tre stages di fila, a Parigi con il mio maestro, a Genova con Malou Airaudo, a Venezia con il patriarca Jèrome Andrews.
Ma e' appunto genovese lo straordinario ricordo di Malou Airaudo, gia' allora direttrice del Folkwang Tanzstudio, donna forte e bellissima, vera forza della natura, che vista correre come il vento durante una lezione mi aveva fatto ricordare la potenza dinamica delle DONNE CHE CORRONO SULLA SPIAGGIA di Picasso.
In seguito poi gli spettacoli inseguiti qua e la' per l'Italia. NELKEN(1983) in una delle sue tante versioni al Festival Oriente Occidente di Rovereto nel 1990, in piedi in un Teatro Ponchielli esauritissimo, gomito a gomito con un critico del settore conosciuto in quell'occasione e divenuto uno dei miei migliori amici.
PALERMO, PALERMO (1989), potentissimo e scioccante, pochi mesi dopo al Lirico di Milano.Il ritorno alla Fenice con VICTOR (1986), il magnifico primo 'pezzo' dedicato a Roma, ritratto affettuosissimo, feroce, graffiante, esilarante della citta' nel 1992.
Pochi mesi dopo la memorabile ripresa dell'IFIGENIA IN TAURIDE, con Malou Airaudo nuovamente nel ruolo del titolo come alla creazione (1974); lavoro fondamentale per comprendere il percorso registico coreografico dell'artista, al Regio di Torino.
Nel 1994 ORFEO ED EURIDICE (1975) altra ripresa memorabile con un monumentale Dominique Mercy, al Carlo Felice di Genova.
Ancora DER FENSTERPUTZER (Il lavavetri 1997) al Comunale di Bologna nel 2000 e la settimana successiva O DIDO (1999) all'Argentina di Roma, secondo capitolo romano dell'atlante mondiale danzato della coreografa. Ancora NUR DU nel 2002  al San Carlo di Napoli, stipato con altre otto persone in un palco!
KONTAKTHOF con signore e signori oltre i 65 anni (2000) al Comunale di Ferrara, e qualche mese dopo al genovese Teatro della Corte, insieme con il mio compagno madrelingua tedesco, che si e' divertito enormemente con le miriadi di storie buffe raccontate dai protagonisti, e cosi' bravo da farmi anche la simultanea! Era il 2003, e spero di riuscire presto a vedere l'edizione con gli adolescenti. Ancora alla Fenice nel 2005:  PER I BAMBINI DI IERI, DI OGGI E DI DOMANI (2002), una delle sue pièces piu' belle e struggenti degli ultimi anni.
Ultima in ordine di tempo, per me, AGUA (2001) ancora alla Fenice nel 2007...
Stendere queste righe e' stato possibile, grazie al mio archivio ricco di programmi di sala, immagini, libri su Pina Bausch.
Per qualche giorno rimarra' tutto sul tavolo dello studio, poiche' ho voglia di riguardare con calma queste cose, prima di riporre tutto quel prezioso materiale.

emilio campanella


Quando entriamo, la magnifica architettura sansoviniana del Teatro alle Tese e' immersa in una nebbiolina che s'infittisce all'abbassarsi delle luci di sala.
Un forte fragore minaccioso (il progetto sonoro omonimo dello spettacolo e' di Andreas Bick), nella penombra arrancano figure in controluce, poi il movimento accelera, cambiano le luci ed i quindici ragazzi del corso di Ismael Ivo, ideatore, quest'anno, del progetto GRADO ZERO, Biennale Danza (che ha creato questo THE WASTE LAND), peraltro di notevole livello tecnico-espressivo, sono in piedi, di spalle, sotto docce di luce; un lungo momento riflessivo che risente, talvolta, del BUTO, come di altre influenze.
I rumori sono sempre molto minacciosi, e diventano sempre piu' forti, sino a fermarsi repentinamente, e su un cambio illuminotecnico, vediamo sul fondo della scena, accatastati anche troppo ordinatamente, dieci grandi tubi, mentre le riconoscibilissime note de le Sacre stravinskiano influenzano gli interpreti.
La partitura si snoda, individuiamo un'eletta, episodi solistici, a canone, di gruppo, non narrativi, od anche troppo; sempre un senso di minaccia incombe, fino all'ultimo episodio in cui un interminabile fiotto di un'acquaccia nerastra investe la poveretta di cui sopra, e comincia ad allagare il palcoscenico che scopriamo essere una vasca in cui si dibattono e sguazzano i danzatori: pesci agonizzanti, operai avvelenati, creature mutanti, inquinate, morenti, un finale che si scolpisce nella memoria, immagini indelebili sotto luci perfette.
Se tutto lo spettacolo fosse a questo livello, sarebbe veramente un salutare pugno nello stomaco poiche' ci sono alcune idee veramente notevoli, ma anche momenti che non convincono, e sono la maggioranza.
Peccato, forse aver messo due parti cosi' differenti... la partitura di Bick ha una sua forza, e l'inferno ecologico una sua validissima motivazione, meglio forse, quindi, sarebbe stato, rimanere su quella linea.
Lo spettacolo visto il 30 Giugno, una delle rappresentazioni aggiunte, date le richieste del pubblico, e' stato dedicato a Pina Bausch, inaspettatamente scomparsa quella stessa mattina.

emilio campanella

DA PETRA A SHAWBAK

Un percorso archeologico fra due mari (Mar Rosso e Mar Morto) il viaggio in un territorio dell'osservazione e non di scavo, e poi l'allargamento agli scavi, partendo dall' archeologia medioevale, e poi andando  anche piu' indietro, e considerando il sistema dei castelli dell'epoca dei crociati ; dopo quel periodo la riappropriazione dei luoghi - parzialmente demoliti quelli non piu' utili - ad eccezione di Shawbak, quale contraltare medioevale a Petra.
Shawbak non e' un castello riutilizzato, ma una nuova citta'.
Da queste premesse parte la mostra DA PETRA A SHAWBAK, archeologia di una frontiera, aperta al pubblico il 13 Luglio, e visitabile sino al 13 Ottobre alla Limonaia di Palazzo Pitti. Una esposizione a meta' strada fra allestimento didattico ed approfondimento per appassionati, e che spazia dall'epoca nabatea, fino al medioevo crociato ed oltre.
Una suggestiva occasione per solleticare il desiderio di conoscere o ritrovare le antichita' della Giordania, anche grazie alle missioni archeologiche fiorentine che molto hanno lavorato nella regione.
Il percorso espositivo e' costellato di reperti e di grande bellezza, e di notevole interesse. Trascurabile il catalogo edito da Giunti.

emilio campanella


ROBERT MAPPLETHORPE, LA PERFEZIONE DELLA FORMA

Una scommessa vinta al cento per cento, quella costituita dalla mostra ROBERT MAPPLETHORPE, LA PERFEZIONE DELLA FORMA, alle Gallerie dell'Accademia di Firenze, e visitabile sino al 27 Settembre; vista l'11 Luglio dopo il vernissage di DA PETRA A SHAWBAK alla Limonaia di Palazzo Pitti. Si articola in alcune sale e stimola alla visita di tutto lo spazio museale.
Consta di cinque sezioni: Mapplethorpe e il Rinascimento. La geometria della forma. Il frammento come forma. La forma si sdoppia. La forma scultorea, e dall'itinerario che ho seguito il primo incontro e' stato con il Ratto delle Sabine del Giambologna cui e' stato accostato il 'trio'  KEN LIDIA AND TYLER del 1985; nella stessa sala un autoritratto, e di fronte un teschio (1988) .
Gia' questi due temi molto presenti nella cultura rinascimentale, cosi' come lo specchio e tutto cio' che riconduce alla caducita'…
Nella sala dei prigioni i 'tondi' di Thomas si confrontano con le grandi sculture: il Prigione che si ridesta con una fuga di linee; il Prigione giovane, con le tensioni del corpo; l'Atlante con angoli netti; il Prigione barbuto con la verticalita'.
Sorprendente e' il forte contrasto fra il marmo 'ruvido e petroso' ed il magnifico corpo nero liscio e terso, la prorompente energia delle figure michelangiolesche che si dibattono ancora nel blocco di marmo, e l'apollinea bellezza dei muscoli perfetti neri guizzanti.
Successivamente si affrontano geometrie nei corpi e nei disegni del Maestro; ritratti ed autoritratti insieme ad un piccolo bronzo di dio fluviale, sempre di Michelangelo; ma anche la foto di un busto neoclassico accanto a Man Ray (Venus restaurata).
Ci sono dettagli di Warhol, ed il confronto di grande forza fra la VENERE (ben nerboruta) E CUPIDO di Pontormo/Buonarroti, con due immagini di Liza Lyon ai lati.
A concludere, il David fra quattro fotografie di Ajitto: di fronte, di spalle, lato destro, lato sinistro. Girando intorno alla grande statua, e guardando 'da tutti i lati' il soggetto ritratto, a ribadire la vocazione scultorea della fotografia di Mapplethorpe.
La mostra consta di una scelta di 93 scatti. Ci sono anche alcuni fiori straordinari, quasi piu' sensuali dei corpi, ma quella ch'e' centrata, come si diceva, e' 'l'ambientazione'  rischiosa data la forza delle opere presenti nel museo, ma l'ispirazione del fotografo e' tale, e cosi' strettamente legata alla scultura da essere estremamente naturale accanto alle opere antiche.
Peraltro egli stesso affermava come sentisse il proprio, un modo per rendere, nel suo tempo, la scultura; ed infatti scatti del primo periodo hanno come soggetto, proprio opere a tutto tondo di epoca rinascimentale, anche dalla sua collezione. In effetti ben nota ed ulteriormente ribadita in questa occasione e' la sua capacita' di rendere morbidi o durissimi, grazie alle luci attentamente calibrate, i corpi come gli oggetti.
Ottimo il catalogo edito da teNeues

emilio campanella

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