Le recensioni di Emilio Campanella

Maggio 2006


CALLAS

IL REGISTA DI MATRIMONI di Marco Bellocchio


CALLAS di Reinhild Hoffman

Reinhild Hoffman con la compagnia Maggiodanza, del maggio musicale fiorentino, ed in coproduzione con il Teatro Comunale di Ferrara, ha ricostruito la sua pie'ce CALLAS (1983) a ventitre' anni dalla creazione. Abbiamo visto lo spettacolo, il dodici maggio, a Ferrara.

Giusto che sia questa citta' a coprodurre, data la sua attenzione, da lunghi anni, al tanztheater, ed interessante la riproposta di uno spettacolo accolto, gia' al suo apparire, con giudizî contrastanti, se non fortemente critici, ragione per cui non mi ero preoccupato, allora, di vederlo. Oggi, pur affidato ad una compagnia con formazione molto lontana, ma giudata, per l'occasione, dalla stessa coreografa, presentava un motivo di forte interesse.

Diro' subito che la scomessa e' riuscita solo parzialmente, e specialmente poiche' la compagnia (e' vero che era solo il debutto), non e' ancora entrata nello spirito di questo tipo di teatro. E', peraltro, il lavoro stesso ad essere, non solo episodico - e questo non e' un difetto - diviso com'e' in nove scene / capitolo, ma ha proprio momenti particolarmente riusciti, direi anche magnifici, alternati ad altri poco o punto ispirati.

Certo e' che uno spettacolo su Maria Callas era una sfida molto rischiosa, resa piu' ardua ancora dalla "colonna sonora" di livello eccelso, come si puo' capire, essendo composta quasi integralmente da brani interpretati dalla grande diva. In questo modo si crea una aspettativa che se non ha riscontro nella desiderata tensione scenica, accade che si ascolti, data la qualita' musicale, a detrimento della parte coreografica. Qui e' accaduto varie volte, e per differenti motivi. Cerchero' di analizzare ordinatamente certi episodî.

Si inizia con ALL'OPERA, in cui due spettatori in abito da gran sera disturbano una platea attenta vestita di lunghi abiti del rosso tipico dei velluti delle poltrone dei teatri: le situazioni sono varie e movimentate da legazioni di grande effetto e rigore, anche se gia' da qui si tradiva qualche imprecisione che risultava esteticamente molto grave.

DUE DONNE IN BIANCO su arie di Macbeth aveva momenti di grande tensione nel contrasto fra le due personalita', lo sporcare le scarpe, bianche di rosso con uomini in frac che rotolano ai piedi della lady (?) e vengono espessionisticamente uccisi con le medesime calzature brandite in ciascuna mano; grande forza, ma anche particolari tecnicamente poco precisi.

ADDESTRAMENTO: un lungo, troppo lungo episodio in cui le fruste, come in dressage circense, la fanno da padrone: forse il punto fragile dello spettacolo.

PIANOFORTE A CODA: un lui in veste di diva, con differenti abiti giustapposti, la sagoma di un pianoforte a coda, variamente mossa, sul quale poi verra' portato in alto, per poi precipitare ed essere, sembrerebbe, ucciso come Cesare...

COSTUMI D'OPERA, quasi un defile'e di abiti della divina, ricostruiti ed esibiti, e qui mancava assolutamente la tensione drammatica.

IL PUPAZZO E LO SPECCHIO: un breve, intenso momento con una donna delle pulizie che sogna appoggiandosi al petto l'abito della primadonna, come Anne Baxter in ALL ABOUT EVE: breve, troppo breve! Dopo, una lunghissima scena di pupazzi, donne, uomini, abiti femminili su strutture piatte specchianti: eterno!

RICEVIMENTO: una delle parti piu' alte, ed anche, in parte, meglio rese: un gruppo di eleganti invitati si muove nello spazio, a contatto di gomito, morbidamente, fluidamente, poi, allontanandosi, fra loro, si crea un lunghissimo tavolo da pranzo ufficiale. Lei salira' e vi camminera' sull'aria piu' nota dell'Orfeo di Euridice di Gluck: il momento e' straordinario, magico, peccato che si vedano un poco gli "ingranaggi" e troppe mani che febbrilmente si tendono, lavorano per svolgere il lungo velo ed aggiustare le pieghe dell'abito, ma poi la tensione si disfa letteralmente, non per responsabilita' della compagnia, pero', insomma non accade cio' che avremmo sperato.

DOPO L'OPERA, qui viene riproposta l'aria ascoltata in apertura, ma nella folle interpretazione di Florence Foster Jenkins. L'idea e' molto buona, ma questa specie di orgia un po' felliniana alla Dolce Vita, risulta un po' telefonata. Per fortuna la conclusione: L'ALTALENA, ultimo episodio decisamente trascinante in cui la tecnica analitica delle libere associazioni funziona perfettamente, mentre in precedenza le rispondenze erano, a dir poco, intermittenti. Qui, una donna con un bell'abito verde bottiglia con seggiola incorporata si muove per la scena, e, travolta, tormenta il sipario ch'e' sul fondo, mentre un'altra si lascia cullare su di un'altalena: spinta, trattenuta, imprigionata, liberata da un gruppo di uomini, sulle note del Trovatore.

Lo spettacolo, e', per quanto altalenante (appunto!) ricchissimo di suggestioni, ed anche nei momenti meno riusciti, di grande approfondimento, per cui direi, decisamente consigliabile. Sara' a Firenze dall'8 al 13 giugno.

 

emilio campanella


IL REGISTA DI MATRIMONI di Marco Bellocchio

Franco Elica, affermato regista, sta facendo il casting per una nuova versione de "I promessi sposi" - lo avevamo appena incontrato al matrimonio della figlia, situazione stranissima in cui viene esortato da un'invitata, a prendere una videocamera e riprendere, subito seguito, come un coro, dallo stuolo degli altri operatori che ne imitano ossequienti, il supposto piano-sequenza. Cerimonia iperritualizzata e condotta da un giovanissimo sacerdote inquietante, falso, entusiasta, contraddittorio, trendy! In mezzo al rituale una donna quasi afferra Franco ribadendo che non lo dimentichera' mai, mentre la figlia sembra ignorarlo, ed il genero proprio non lo conosce. I provini continuano con una Lucia invasata e febbrile, prima che una bellissima donna entri in campo e domandi insistentemente di vedere il maestro; dovra', pero', passare il "filtro" dell'infido aiuto regista (Maurizio Donadoni, perfetto) che le ventila scenarî di sesso ben poco allettanti (se non spontanei!) nulla accadra' poiche' lei, inseguita da due "bravi", peraltro onnipresenti, e che Elica incontrera' anche troppo spesso, sara' costretta a fuggire. Subito dopo, una bellissima ragazza lo accusera' di violenza carnale su povere ragazze ingannate con miraggio di una parte. Ariveranno anche i carabinieri...

Ritroviamo Elica seduto sulla spiaggia di Cefalu'. Con aria assente guarda il mare, quando un "regista di matrimoni" si avvicina, lo riconosce, lo apostrofa e gli chiede aiuto nella sua ispirazione; dopo alcune esitazioni accetta, come accettera' la sua ospitalita' nella bella casa sul mare (dalle finestre, le luci di Guccione). Con fughe di porte a vetri e corridoi; con la bella famiglia borghese, la bellissima moglie che sembra essere stata modella di Antonello.

Il "nuovo film" e' decisamente un po' spagnoleggiante, ma forse, piu' Berlanga/Ferreri che non proprio Buñuel, anche se la madre della sposa mi ha molto ricordato la Vukotic "ispanica". Insomma, il nostro regista -ormai lo abbiamo capito- sempre in fuga, si trova catapultato (autocatapultato!) in Sicilia e fara' la conoscenza del principe di Gavina (Samy Frey, insinuante e piuttosto pericoloso) che lo ingaggera' per filmare il funerale (d'interesse) della figlia, come dice, con un interessantissimo lapsus, al posto di matrimonio: quando gli verra' fatto notare osservera' che in fondo si tratta della medesima cosa...

Il gioco si inizia, dopo tanti inizî del film, che continueranno parallelamente intersecandosi, incrociandosi, alternandosi al proseguire delle tematiche, una delle quali e' l'ossessione visiva, tanto che, certe immagini, ritornano come riprese da telecamere nascoste, quindi un po' seranate e grigio-bleu. Al nome del principe del palazzo (Villa Palagonia) Elica trovandovisi davanti decide di entrare nel parco, tanto piu' che al suo avvicinarsi il cancello si apre: comincia ad esplorare sino all'arrivo di due minacciosi (?) cani neri che poi lui seguira' -sembrerebbero loro, in effetti, esortarlo; sino a trovarsi in un salone del piano nobile dove quasi gioca e parla con loro, fintantoche', questi, come ad un misterioso segnale si alzano e corrono via per una fuga di stanze. Il sopravvenire di un custode gattopardesco lo dissuadera' dal continuare la visita, accompagnandolo cortesemente e risolutamente verso l'uscita.

L'incontro con la principessa avverra' in una chiesa, e dopo la messa lei si fara' seguire nella cripta dove ci sara' un approccio amoroso, non capiamo sino a che punto, approfondito: secondo il principe MOLTO. E gia' cominciano a scontrarsi i punti di vista, come avevamo gia' previsto, in un film dove piu' o meno tutto viene ribadito e negato, detto e contraddetto, mostrato e messo in discussione, dialetticamente, visivamente in un continuo contrasto (?) fra realta' quotidiana ed onirica, ogni cosa sfaccettata. La tecnica del montaggio alternato aumenta il senso di suspense. Tutto cio' che e' ritualizzato, come sempre in Bellocchio, sia esso, comportamento borghese, legato alla famiglia, come, ed ancor piu', alla religione, e' accuratissimo e di estrema precisione. Le rispondenze oniriche sono moltiplici, e se, la vicenda, verso la fine, si disfa in direzione di una soluzione aperta: sono fuggiti? viaggiano assieme? viaggiano separati?, un campanellino suonato in treno, da un funzionario (un cameriere del ristorante?) ci sveglia, e qui, veramente, ci fa volutamente pensare a Buñuel, ma non e' solo questo. Ci sono le reinvenzioni di Manzoni e la caparbieta' di S.Orsola (quella della agiografia tradizionale): gli orologi pazzi, prima fermi, e poi in funzione tutti insieme, in una sala della villa, il delitto in chiesa (reale, immaginato, sognato, proiettato, e poi, da chi?), ed ancora il regista morto/vivo Orazio Smamma (Gianni Opvina) omen nomen, poi aspirante suicida, ma forse no, che agisce come un re'venant. Il barrire di una sirena, e poi, l'inferno di fuoco, in cui si trova Elica (sulla torre, fuochi artificiali), prima di andare a cercare la principessa scomparsa, e come nelle favole sa dove andare, e come in Sade, dopo mille difficolta', la trovera' aprendo la prima porta in un corridoio di convento abbandonato in cui troneggia l'abito nuziale vegliato da due mansueti cani bianchi. Lei si sveglia al suo bacio: c'e' tutto: anche Perrault! Lui e' Castellitto, misuratissimo e molto sottile che ha, a suo dire, tenuto presente la lezione di Fernando Rey, perche' no? Sia come sia, e' uno dei nostri attori migliori.

Lei e' Donatella Finocchiaro, bravissima, bellissima, che fila la sua tela a distanza, gia' a Roma, e poi lo attrae fra gli incantesimi ed i mostri della villa.

A me, non e' bastato vedere il film una sola volta, tanto e' ricco di particolari e denso di significati, credo, comunque che tornero' a vederlo.

 

emilio campanella




ORSI ITALIANI MAGAZINE