ORSI ITALIANI


Le recensioni di Emilio Campanella

Marzo - Aprile 2017


ROVIGO A CONEGLIANO - IL RINASCIMENTO ELETTRONICO DI BILL VIOLA - SPLENDORI DEL COLLEZIONISMO - IL MONDO ANCESTRALE DI PIERRE CASE'- NUOVO CORSO RODIGINO - SERENISSIME TRAME - L'ARCHEOLOGIA SUBACQUEA DI DAMIEN HIRTS - NELLE STANZE DI ETTORE SOTTSASS - RAMAYANA - TIZIANO AL CANDIANI - VIK MUNIZ - LaCHAPELLE LOST+FOUND
La cosa da premettere, iniziando a parlare della bella mostra: Bellini e i Belliniani, Dall'Accademia dei Concordi di Rovigo, curata da Giandomenico Romanelli per Palazzo Sarcinelli, dove la si potra' visitare sino al 18 Giugno prossimo, e' che si tratta dell'unica esposizione intorno a Giovanni Bellini, in occasione dell'ormai appena trascorso cinquecentenario.

Preparata da alcuni mesi, anche attraverso  diverse conferenze di presentazione tematiche, in varie citta', giunge a Conegliano, forte di una notevole risonanza d'informazione e di un approfondimento precedente all'esposizione stessa.

Prima di questa occasione, "soltanto" episodi isolati di prestiti anche importanti come: L'ebbrezza di Noe' da BesanÁon, che chiudeva la mostra delle Scuderie del Quirinale, curata da Giovanni C.F. Villa nel 2008-2009, al Museo Correr di Venezia; la Trasfigurazione dal Museo di Capodimonte, a Palazzo Leoni Montanari di Vicenza; la Pala dell'Assunta dalla Chiesa di San Pietro Martire di Murano, al Museo Diocesano di Venezia.

Si sono distribuiti de'pliants informativi sulle presenze belliniane in tutta la regione, ma non si e' allestita una mostra dedicata al grande pittore.

Benvenga, dunque questa iniziativa che considera l'argomento da un'angolazione inedita quanto, anche un po' trascurata: Bellini e dopo di lui, il suo stile che ebbe grande successo, i modi riconoscibili anche in importanti pittori.

Uno dei temi principali e' quello delle Madonne con bambino, di grande diffusione in tutte le epoche e che in questo periodo raggiunse uno dei vertici di eleganza stilistica dalle molteplicit variazioni ed adattissimo ad una diffusione rivolta anche molto alle committenze private per devozioni famigliari.

Ci sono poi le devote meditazioni, che sono domestiche meditazioni, le quali una volta venivano definite Sacre Conversazioni, ma siccome nessuno parla e gli sguardi sono eloquenti, ecco la nuova definizione, decisamente più calzante, coniata dallo stesso curatore. Due esempi di Marco Bello: due Circoncisioni, quella dell'Accademia dei Concordi (ultimo decennio del XV sec.) ed accanto, l'altra, di collezione privata da Treviso (secondo decennio del XVI sec.) affiancate e raffrontate e cosi' stilisticamente vicine alla Presentazione di Gesu' al Tempio, belliniana della Fondazione Querini Stampalia di Venezia, a sua volta debitrice di quella mantegnesca di Berlino, Staatliche Museen zu Berlin Gemaldegalerie.

Ritornando rapidamente a Conegliano ed al bell'allestimento concentrativo e luministicamente ineccepibile; rimanendo poi sempre in tema, ecco la: la Madonna con bambino e il donatore fra i Santi Giovanni Battista, Francesco, Gerolamo e Sebastiano di Gerolamo di Santacroce, originario di Bergamo e del secondo decennio del XVI sec. elegante ripresa tematica della tavola belliniana detta: Sacra Conversazione Dolfin, nella Chiesa di S.Francesco della Vigna a Venezia.

Grande presenza, e non solo per la metratura, e' quella della movimentata, ariosa pala intitolata: Madonna in trono con il Bambino e i santi Gerolamo, Pietro, Paolo, Antonio Abate, Nicola da Tolentino, del quarto decennio del XVI sec. dei ferraresi Dosso e Battista Dossi. Imago Christi e' il passo successivo, ed in questa sezione cito la magnifica eleganza teatralmente perfetta della Flagellazione di Cristo di Jacopo Palma il Vecchio; sempre dello stesso mi ha colpito una piccola tavola nella sezione Metamorfosi: una Danae stranamente vestitissima!

E poi la sezione Teste e Ritratti che conclude il percorso con pregevoli presenze e volti fra cui spicca il magnifico Ritratto di Studioso di Domenico Capriolo, 1528 c.a . Marsilio ha pubblicato l'ineccepibile catalogo.

emilio campanella

Il fiorentino Palazzo Strozzi celebra, sino al 23 Luglio uno dei maggiori esponenti della videoarte, mettendo a confronto le videoinstallazioni con le opere antiche che le hanno ispirate, in un allestimento di altissima suggestione ed amplissimo respiro che coinvolge tanto il piano nobile, quanto La Strozzina dove sono esposte, nella maggior parte le opere degli anni settanta, giustamente "underground".

La manifestazione s'intitola: Bill Viola, Rinascimento Elettronico.

La presentazione alla stampa dello scorso otto Marzo e' stata, come sempre, affollata, condotta con una buona regia, ma funestata dal pessimo funzionamento dei microfoni, non indisensabili, data la dimensione della sala, ma tant'e', ci si e' ostinati a far sopportare sgradevoli scariche sonore, che talvolta impedivano la comprensione degli interventi coordinati dal Direttore Generale della Fondazione Palazzo Strozzi, cocuratore della mostra, con Kira Perov, direttore esecutivo del Bill Viola Studio, e compagna di vita dell'artista e che ha fatto un lungo, ben articolato ed interessante intervento di presentazione, mentre il dedicatario si e' limitato ad ascoltare ed approvare silenziosamente.

Dopo alcune domande poco interessanti, ed altre, veramente poco intelligenti ci si e' diretti tutti verso l'esposizione scendendo le importanti scale sino al primo piano per inoltrarci negli spazi in penombra abitati dalle opere modernissime e da quelle antiche.

Nella prima sala: The Crossing del 1996: al centro due grandi schermi addossati, sul primo un uomo si avanza guardandoci, si ferma, e lentamente ed inesorabilmente prende fuoco sino a scomparire, dietro, lo stesso uomo compie la medesima azione e viene investito da una cascata d'acqua sempre più violenta, che poi rallenta fino a ridursi a poche gocce, lui è scomparso, ritornerà poco dopo ed il ciclo si ripeterà... entrambi continueranno indefinitamente a prendere fuoco ed essere annegati.

Premetto che questa e' una  esposizione in cui si puo' restare giornate intere senza stancarsi; nella seconda sala: The Greeting, 1995 e su un'altra parete: Visitazione di Pontormo, 1528-29, olio su tavola, Carmignano, Pieve di S.Michele Arcangelo.

Per la prima volta le due opere si possono vedere assieme; alla mostra dedicata a Pontormo e Rosso Fiorentino, sempre qui, nel 2014, il lavoro di Viola era in una saletta separata, a fine mostra. E' molto interessante vederle accanto per apprezzare l'attento studio cromatico, i movimenti minimi delle attrici che interpretano i ruoli, in quello che e' il risultato di una vera e propria produzione cinematografica, ma con un intento ben differente.

L'accurato catalogo edito da Giunti porta anche molte immagini dei backstages e dettagli sulla realizzazione delle riprese. Il percorso continua con The Path, 2002:  lungo il sentiero di un bosco molte persone di ogni genere, età, colore, complessione passano davanti ai nostri occhi da sinistra verso destra, su un lungo schermo, non sappiamo dove vadano, tantomeno da dove vengano, camminano di buon passo in mezzo alla natura.

La lontana ispirazione e' dalle Storie di Nastagio degli Onesti di Botticelli da Boccaccio, ora al Prado. Nella sala quattro: Surrender , Four Hands e Catherine's Room. Tutte e tre le opere sono del 2001; di fronte all'ultima: Andrea di Bartolo (Siena, doc. 1389-1429) Caterina da Siena fra quattro beate domenicane (Giovanna da Firenze, Vanna da Orvieto, Margherita da Citta' di Castello, Daniela da Orvieto)e scene delle vite 1394-1398 circa, tavola, Gallerie dell'Accademia, Venezia. Il dipinto rappresenta, nella parte superiore le cinque beate, prima ancora del processo di canonizzazione, dunque, e nella predella le quattro piccole stanze con le monache.

Viola ha creato in risposta, quattro scene separate di stanze che ricordano fortemente celle monacali in cui la stessa attrice (Weba Garretson) compie piccole azioni quotidiane, dalla finestra in alto si vede la differenza di stagione grazie al ramo di un albero, ed il cambiamento della luce.

Nella sala 5, Emergence del 2002 e Cristo in pieta' di Masolino da Panicale, 1424, affresco staccato, Empoli, Museo della Collegiata di S.Andrea. Anche in questo caso la creazione dell'artista che reinventa l'opera antica raggiungendo una forte suggestione grazie alla "messa in scena" di fortissimo impatto emotivo provocato anche dalla precisissima definizione delle immagini, l'urgenza di cio' che accade, il pathos degli interpreti, ancora una volta, la presenza dell'acqua che deborda con l'emersione del corpo bianchissimo del giovane che viene pietosamente raccolto e sostenuto dalle due donne.

 Nella sala sei: Diluvio universale e recessione delle acque, Paolo Uccello Paolo di Dono 1439-1440, affresco staccato, Firenze, Musei civici Fiorentini, Museo di S.M.Novella, Chiostro Verde. Posto in altro, come sovraporta prima dell'ingresso stretto che permette l'accesso alla visione di The Deluge, 2002. Come The Path, fa parte di Going Forth By Day, ciclo in cinque parti in riferimento ai polittici antichi, creato per Deutsche Guggenheim Berlin.

Anche questo ha alle spalle un grosso impegno di produzione e realizzazione cinematografica, anche qui 150 comparse coinvolte e travolte dal diluvio che fuoriesce sempre più violento dalla facciata classica del palazzo ed inonda tutto e tutti invadendo la strada. Nella sala sette, lo sconvolgente Inverted Birth del 2014.

Su un grande schermo verticale, un uomo sopporta sulle proprie spalle un liquido scuro, e' inzuppato e sconvolto, poi l'immagine e' quella di tutta una serie di liquidi e fluidi legati alle fasi della vita, che si risollevano velocemente provocando anche in chi guarda, una forte sensazione di spiazzamento.

Ultima sala, la numero otto, con Adamo, Eva di Lucas Cranach del 1528, tecnica mista su tavola, dalle Gallerie degli Uffizi di Firenze. Accanto: Man/Woman, 2013 in cui su schermi separati, un uomo ed una donna guardano ed esplorano il proprio corpo invecchiato. Questa la prima parte della mostra, si scende nel cortile, si scende ancora nel sotteraneo: La Strozzina, dove sono stati esposti lavori degli anni settanta, e molti realizzati a Firenze, quando Viola era direttore tecnico della art/tape22 di Maria Gloria Bicocchi. Il percorso e' anche fortemente documentario ed un poco, suggestivamente labirintico.

Si inizia con The Reflecting Pool del 1977-9, opera che pesca nell'immaginario , nell'esperienza profonda dell'autore, e proprio con il suo rapporto diretto ed autobiografico con l'acqua; cito Presence del 1995 installazione sonora, a dir poco suggestiva, e lo storico Il Vapore del 1975. A conclusione Martyrs series del 2014: Earth Martyr, Air Martyr, Fire Martyr, Water Martyr.

Questo lavoro è stato scelto come conclusione per creare la chiusura di un cerchio stilistico emotivo iniziato al piano superiore, e proprio per questo il desiderio e' di rivedere tutto, reimmergersi in emozioni, suggestioni, angoscianti provocazioni...consiglio di non resistere e di seguire quell'impulso.

La mostra si estende in altre sedi ed in regione: al Museo dell'Opera del Duomo, al Museo di S. Maria Novella, alla Galleria degli Uffizi, e  ad Empoli, al Museo della Collegiata di S. Andrea.

emilio campanella

Al Museo Correr di Venezia, e' stata presentata, venerdi 17 Marzo, la nuova mostra che il pubblico potra' visitare sino al 4 Giugno prossimo: Da Poussin a Cézanne, Capolavori del disegno francese dalla Collezione Prat; una collaborazione fra i Musei Civici Veneziani, l'Alliance Française di Venezia e la Fondation Bemberg di Toulouse, che ospitera' l'esposizione dopo le date veneziane.

Centonove fogli, centodieci disegni, da una collezione che Veronique e Luis Antoine Prat, intenditori e studiosi d'arte stanno da decenni indirizzando con molta precisione limitandosi al disegno francese dal XVII secolo, alla fine del XIX, privilegiando la qualita' sul numero; attendendo con pazienza l'occasione di acquisire fogli di particolare importanza storica ed esecutiva, mantenendo "lacune" di autori di grande interesse, quando non siano disponibili opere del livello artistico desiderato.

Qui, risulta chiaro come ogni collezione sia fortemente differente dalle altre, per le scelte, gli intendimenti, gli obbiettivi finali, senza dimenticare l'avventura continua delle occasioni di acquisto, l'inseguimento di lavori desiderati, che ne fanno una vera caccia al capolavoro.

Non bisogna dimenticare che dietro tutto questo ci sono importanti case d'asta internazionali, ed in particolare, qui, Christie's ed altri studiosi di fama mondiale ed esperti collegati al mercato dell'arte.

A Venezia, la scelta di circa meta' della collezione, e' stata operata da Pierre Rosenberg ex direttore del Louvre e Presidente dell'Alliance Française di Venezia, con l'attenta collaborazione del Presidente dei Musei Civici Veneziani Gabriella Belli, e l'attiva partecipazione dei collezionisti che generosamente condividono con il pubblico i loro fragili tesori e che tanto alla conferenza stampa come nelle visite e prima e dopo, hanno dimostrato una gioviale disponibilita' a raccontare il loro amore per alcune opere scelte, la loro storia, la loro acquisizione.

L'esposizione e' ospitata, come abitualmente, al secondo piano del museo, e' allestita ed illuminata con la doverosa attenzione del caso. Si compone di otto sezioni accompagnate da esaurienti pannelli informativi che danno, anche a chi non ne sia esperto, sintetici cenni di storia dell'arte francese di quei secoli.

Attentissime sono anche le indicazioni che accompagnano esaurientemente ogni disegno, cosa che da' modo, a chi lo desideri, di approfondire adeguatamente la propria visita.

Per gli appassionati si consiglia il catalogo edito da Magonza (Arezzo 2017) nuova edizione accresciuta che riporta nuove acquisizioni e tutti quei fogli, circa una ventina, che in questa occasione vengono esposti al pubblico per la prima volta. Come sempre quando si tratta di disegni, consiglio una visita attenta, lenta ed accurata per cogliere i particolari stilistici di ogni artista.

Si parte da François Stellaert detto Stella (1563-1605), Il Colosseo. Penna e inchiostro bruno, acquerello bruno e si arriva a Paul Cézanne: I grandi alberi. Pennello ed acquerello su matita, che si e' meritato la copertina del catalogo.

Ho notato alcune opere in particolare, che segnalo: Jean Baptiste de Champaigne (1631-1681), Cristo morto con studi di mani e della testa. Penna gesso bianco, sfumino su carta grigio beige. Jacques Louis David (1748-1825), Testa di Marco Attilio Regolo... uno dei fogli piu' amati da Monsieur Prat che mi si e' avvicinato quando l'ho fotografato e me ne ha raccontato la storia: il particolare si lega ad un grande disegno dell'artista, in possesso dell'Art Institute di Chicago, preparatorio di una tela mai realizzata: Ritorno di Attilio Regolo a Cartagine.

Pierre-Paul Prud'hon(1758-1823): La Fortuna. Matita nera, gesso bianco su carta azzurra, che rappresenta, in qualche modo, il portafortuna dei collezionisti. Eug'ene Delacroix.(1798-1863) Amleto e sua madre:"Un topo!" (L'omicidio di Polonio), Pennello ed acquerello bruno su matita. Odilon Redon (1840-1916) Testa appesa ad una catena. Carboncino su carta beige.

Questa  una piccola scelta personale... e non bisogna dimenticare un buon numero di opere di Victor Hugo e due rarissime di Charles Baudelaire. A conclusione un raffronto un po' ardito: il disegno sta al dipinto, come il lied puo' stare all'opera lirica.

emilio campanella

Il mondo ancestrale di Pierre Case', fino al 30 Aprile, a Venezia, ai Magazzini del Sale n.5 alle Zattere.

Il Bestiario, del locarnese Pierre Case'. Nel lungo, altissimo capannone, corridoio in mattoni a vista sotto le antiche capriate di legno, ambientate ed illuminate con grandissima cura, le opere magico/sacrali dell'artista svizzero anche gia' direttore della Pinacoteca Casa Rusca di Locarno, nella sua lunga storia artistico professionale.

Presente spesso a Venezia e cosi' attento ai problemi dell'ambiente, della natura, degli animali. Denuncia il degrado ambientale, l'incuria, l'indifferenza attraverso i suoi elaborati cenotafi che in questo luogo speciale, quasi un antro sull'acqua, colpiscono particolarmente e vengono esaltati, come se la possanza dello spazio architettonico antico aggiungesse forza al grido di allarme e di dolore che Case' affida alle sue opere come tante stanze poetiche di un percorso di sensibilizzazione.

I lavori, come capitoli, sono dedicati ognuno ad un animale specifico, anche della Valle Maggia nel Canton Ticino di cui e' originario e dove vive. Sono come pagine di metallo arugginito costellato di filo spinato, con piccole sagome ritagliate e teschi degli stessi animali, memoria antica e divinizzata della creatura cui sono appartenuti.

Animali domestici ed animali selvaggi, animali d'allevamento ed animali da compagnia, tutte quelle creature che nei piccoli centri, in campagna, nei boschi montani, accompagnano, purtroppo sempre meno, la vita delle persone. Il ritmo dei pannelli disposti con angolazioni speciali, crea come ambienti di riflessione e meditazione profonda.

Ci s'interroga sui materiali, sulla loro scelta, sulle proporzioni precise degli elementi che ne compongono ogni parte. In fondo al lungo corridoio come un'abside, il sacrario dedicato all'uomo, ed al centro un grande libro con una scelta di poesie dedicate alla natura di Angelo Case' (1936), fratello di Pierre (1944) e deceduto nel 2005.

E' specificato chiaramente nel bel, ampio, documentatissimo catalogo pubblicato da Fidia Edizioni d'Arte di Lugano, che alcun animale ha perso la vita per queste creazioni artistiche. Conoscendo Case', cio' e' anche ridondante ribadirlo, ma e' sempre meglio per evitare inutili dubbi, e di conseguenza nessuna persona cui appartennero i teschi esposti e' stata uccisa, e questo oltre che ovvio aggiunge riflessione all'ultima parte dell'esposizione in cui l'uomo responsabile di tanti disastri che ci circondano incombe sui visitatori.

Oltre la mostra, inoltrandosi ulteriormente, in una saletta ritagliata con cura, il documentario: Come in una favola. Pierre Case', Maggia, Ticino, di Rene' Prandis e Thomas Radlwimmer, 2016, che verra' presentato ufficialmente il 24 Marzo prossimo, alle 18, a Palazzo Trevisan degli Ulivi, sede del Consolato Svizzero a Venezia, e che la scorsa settimana e' stato teatro del Sesto Festival di Cinema Svizzero.

Questa riproposta ampliata del lavoro di Case', gia' presentato alla Scuola Grande della Misericordia nel 2011, nell'ambito della Biennale: I misteri del Sotoportego; successivamente a Castelgrande di Bellinzona: Dalla Laguna a Castelgrande, si completa qui, di teorie di animali su pannelli, sempre in ferro, in rilievo, come rivisitazioni di pitture rupestri, e di un certosino lavoro di formelle con parti in cera, dedicate alla graduale estinzione delle api, a causa dell'inquinamento. Ritorno alle Origini, Il Bestiario, e' la continuazione di quel percorso, non credo il completamento, perche' il lavoro di ricerca, creazione, meditazione estetica, evidentemente, continua.

emilio campanella


Dopo anni di arti figurative ed approcci colti ma anche frivoli alla pittura, Palazzo Roverella, a Rovigo propone la sua prima mostra fotografica, promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, con la collaborazione del Comune di Rovigo e dell'Accademia dei Concordi: Pietro Donzelli. Terra senz'ombra. Il Delta del Po negli anni Cinquanta, sino al 2 Luglio prossimo.

Milanese, per quanto nato  Monte Carlo, Donzelli (1915-1998) fu fra coloro che crearono una sensibilita' italiana nei confronti della fotografia, anche facendone conoscere grandi nomi internazionali.

La mostra riguarda un momento specifico della sua carriera, dedicata ad un luogo preciso: quel Polesine martoriato dalla miseria e dalle alluvioni, cosi' spesso nella sua storia.

Spazi, silenzi, luoghi di desolazione, solitudini in immagini di grande rigore formale e profonda umanita', al contempo; le luci fortemente contrastate della Bassa, gli oggetti di vite povere, masserizie accatastate, interni desolati, volti intensi e drammaticamente colti.

Uno sguardo molto vicino a quello del cinema coevo, l'occhio del neorealismo. I luoghi sono proprio quelli di Ossessione di Visconti, quelli de Il Grido di Antonioni, ma anche di Rossellini, di Pietrangeli.

Alcune immagini potrebbero sembrare tratte da questi film, date le perfette corrispondenti ambientazioni... ambienti veri, persone vere, lavoro vero, le povere insegne di tristemente commoventi esercizi commerciali in un'Italia ancora in ginocchio, che faticava a risollevarsi dopo il ventennio e la guerra devastante con il suo strascico di orrori dell'occupazione.

Gli artigiani ed i poveri clienti che possiamo ben immaginare per il sarto colto nel suo poverissimo laboratorio: qualche immagine di moda, un manifesto del Sindacato Manifatturieri, il suo tavolo da lavoro in legno grezzo, lui con il ferro, colto dal riflesso dello specchio (la foto è: Il sarto barbiere di Scardovari, 1954).

Confesso di essere tornato all'infanzia, di aver riconosciuto abiti, modi, oggetti che conosco e che fanno parte di un mondo ormai molto lontano, ma indelebile nella mia memoria bambino di allora.

In queste immagini, nei campi lunghi come nei primi piani, le case, i paesi, i tanti canali, la laguna, la vita sull'acqua, il grande fiume. I primissimi inizi dell'industrializzazione, l'emigrazione, veicoli d'altri tempi...

In margine alla manifestazione, il catalogo bilingue pubblicato da Silvana Arte.

Nelle stesse date, a Palazzo Roncade: Il Novecento Recente, dalla Collezioni della Fondazione CARIPARO, Castellani, Pozzati, Munari ed altri nomi importanti.

emilio campanella

Sino al 23 Luglio prossimo, a Venezia la  Galleria Franchetti alla Ca' D'oro, Museo Nazionale, propone una mostra estremamente stimolante e colta intitolata: Serenissime Trame, Tappeti della Collezione Zaleski e dipinti del Rinascimento, che si potra' visitare sino al 23 Luglio.

L'idea nasce dalla collaborazione fra il Polo Museale del Veneto, la bresciana Fondazione Tassara, cui Roman Zaleski ha donato 1.325 tappeti della propria collezione... e non sono tutti. 

L'esposizione e' curata da Claudia Cremonini, Moshe Tabibnia, Giovanni Valagussa.

Con l'occasione verranno restaurati quattrodici tappeti della collezione Franchetti, al momento nei depositi, tre dei quali esposti, e che facevano tutti parte degli allestimenti museali degli anni venti e trenta del Novecento.

Questo crea un punto di contatto fra collezionismo privato e pubblico. Quello di accostare tappeti e dipinti e' un argomento affrontato gia' negli studi fra Otto e Novecento, e piu' recentemente, in maniera molto approfondita, alla mostra bergamasca dedicata a Lorenzo Lotto del 1998: Lorenzo Lotto, Il genio inquieto del Rinascimento, all'Accademia Carrara.

Per quanto riguarda la presenza di tappeti a Venezia, si parla di turchi, anatolici ed anche persiani, per quanto le documentazioni parlino di provenienze turche ed egiziane. Generalmente si trattava di doni ufficiali, specialmente nel caso del Doge Grimani.

Venezia era il principale centro d'importazione di tappeti, grazie alla presenza della comunità ebraica, che li prestava alla Serenissima per occasioni ufficiali, venivano poi  resi alle botteghe dove chi desiderava poteva acquistarli.

Sono in mostra tappeti molto grandi, sicuramente provenienti da moschee, ma altri, altrettanto sicuramente da chiese transilvane, con un interessante, importante, inaspettato incrocio, sovrapposizione di sacralita'. I motivi senza fine, come si sa, si legano all' infinita irrappresentabilità del divino dai mille nomi. La presenza dei tappeti nella pittura italiana s' inizia dal Duecento, con Giotto, e con la pittura senese di Ambrogio Lorenzetti, ad esempio.

Poi nel primo Quattrocento, nel Veneto, a Ferrara, Bellini, e poi man mano di seguito per un utiilzzo decorativo, ma non solo, dei tappeti nelle pale d'altare, sotto i troni delle maestà, nelle stanze, sulle balaustre...usanza questa che ancora dura in certe zone, durante le processioni. La bella esposizione Ë accompagnata da un ottimo, agile catalogo edito da Marsilio.

In mostra ventinove tappeti, alcuni della metà del Quattrocento, tutti in uno stato di conservazione praticamente perfetto e sei dipinti antichi (Foppa, Carpaccio, Dosso Dossi, Francesco Beccaruzzi, Gerolamo dal Libri, i prestiti sono da Milano, Pinacoteca di Brera; Bergamo, Accademia Carrara; Firenze, Galleria degli Uffizi; Verona, Museo di Castelvecchio) accostati con grande gusto ed illuminati con molta cura.

emilio campanella


La Fondation Pinault ospitera' dal 9 aprile al 1° dicembre prossimo, il faraonico progetto di Damien Hirst: Treasures from the Wrek of the Umbelievable Damien Hirst, negli spazi della Punta della Dogana ed a Palazzo Grassi a Venezia.

Progetto caldeggiato dal collezionista da lungo tempo legato all'artista, il quale puo', per primo, avere i cinquemila metri quadri di spazi della fondazione a propria disposizione.

E' sempre interessante una mostra personale, e quando come in questo caso si tratta di un progetto unico costruito man mano, per anni su un mito, l'interesse per l'intelligenza dell'operazione e' indubbio. Premetto che sto parlando di un'artista che non ho mai amato, ma che questa volta e' riuscito a sorprendermi con un'idea inaspettata, e non sono il solo ad esserne rimasto colpito, ma anche positivamente per l'abilita', la furbizia, certo - che in Hirst non manca mai- ma anche per la disinvoltura e la cultura che stanno dietro all'idea.

Molti nomi vengono citati per il gioco di riferimenti fra antico e moderno, falso antico, copia, citazione: Coleridge, come Ovidio, Orson Welles come Shakespeare e Borges. Bene; per parte mia ho i miei miti ed i miei riferimenti, e vedendo una mostra che ricostruisce il presunto naufragio, di una supposta nave carica di tesori, che un liberto ricco sfondato  stava trasportando per allestire ed arricchire un tempio solare in oriente, penso ad un falso antico che amo molto: Le Argonautiche di Apollonio Rodio, storia mitica di un viaggio, che completa di un tassello mancante i Poemi Ciclici pre omerici, scritto dal tutore di Tolomeeo III Evergete  e "conservatore" si direbbe oggi, della Biblioteca di Alessandria. Coltissima opera ellenistica di un greco egiziano che reinventa un poema di molti secoli prima.

La nave dei tesori, mi fa, poi, pensare a quella del feroce Lica del  Fellini Satiricon, che razziava opere preziose da portare all'imperatore. Ora, a Venezia, città d'acqua, di mare, di marinerie, di pirati, e di saccheggi compiuti  per impreziosire la Serenissima di splendori d'oriente, si finge una mostra archeologica di ritrovamenti sottomarini.

Con documentazioni fotografiche molto abilmente realizzate, esponendo opere gigantesche ed anche minime, paccottiglia e preziosismi ricercatissimi, miti di oggi e di ieri; tutto l'immaginario archeologico anche del nuovo mondo, senza escludere alcuna suggestione anche fra sogno ed incubo, in un'operazione molto colta e molto sapientemente baraccona.

Se ci si lascia andare al gioco intelletuale ed anche sornione di Hirts, e consiglio di farlo, il piacere sara' assoluto, basta non approfondire troppo, un po' si, ma non troppo, mi raccomando!

Ci si puo' beare del lavoro certosino di creazione di falsi reperti rimasti, apparentemente, secoli sotto il mare, dei materiali anche preziosizzimi, un vero invito a nozze per chi ami l'archeologia e sappia giocare con i gadgets falso antichi ed il loro divertimento.Aggiungo un'ultima suggestione mutuata da Edgar Reisz e ad Heimat Tre con il museo segreto di Ernst, l'avventuriero della famiglia Simon. Tornando a Palazzo Grassi ed al colosso che occupa, torreggiando, la corte del palazzo: lo si puÚ vedere dalla terrazza del terzo piano dove sembra quasi ancora più gigantesco... in una grande sala dello stesso piano, il modello ricostruito della nave perduta con il suo carico, gli ospiti a banchetto sottocoperta, i marinai, la grande vela spiegata...un elegante omaggio alla storica mostra dedicata in questo palazzo, ai Fenici, in anni, ormai molto lontani... Alle pareti, bellissimi disegni "all'antica" che qualche linguaccia dubita possano essere di chi li firma.

Molto bello e giustamente faraonico anche il catalogo pubblicato da Marsilio Venezia, con Other Criteria, Londra, in tre edizioni: Italiano, Francese, Inglese.

emilio campanella


La nuova tappa della ricognizione intorno al mondo del vetro di Murano e non, e' dedicata ad Ettore Sottsass, nel centenario della nascita e nel decennale dalla scomparsa, quindi Le Stanze del Vetro alla Fondazione Cini dell'isola di San Giorgio a Venezia, con l'ormai abituale collaborazione di Pentagram Stiftung, propongono: Ettore Sottsass, il Vetro, curata dal Direttore dell'Istituto di Storia dell'Arte della Fondazione, Luca Massimo Barbero che per la prima volta cura una mostra sul vetro, come diceva all' agile, elegante, interessantissima, divertente presentazione.

La mostra sara' aperta al pubblico dal 10 Aprile al 30 Luglio prossimo. Viene considerato un arco di tempo, dalle primissime opere approccio con questo materiale, del 1947, al 2007. La mostra consta di 220 opere fra oggetti e disegni, questi ultimi, lavori grafici di tale precisione da poter essere consegnati ai mastri vetrai che su quella base realizzavano manufatti perfettamente rispondenti all'idea dell'artista.

Con la consueta cura di allestimento e luci veramente perfette, in sette sale e l'aggiunta del corridoio, il percorso abituale, dunque, il curatore ci accompagna con attenzione precisa e divertita, attraverso le avventure di sperimentazione, le provocazioni, le idee di rottura che l'architetto designer Ettore Sottsass proponeva nella sua ricerca, decisamente ardita, non si puo' negarlo.

Nella prima sala, la serie Memphis degli anni ottanta, realizzata presso la Toso Vetri d'Arte, il momento del grande "scandalo" della proposta della colla fredda, per unire le varie parti degli oggetti, invece della tradizionale fusione a caldo. Un grande scaffale  a griglia, metallico e sottile, occupa un 'intera parete e molti oggetti colorati illuminati da dietro; molte realizzazioni differenti e diverse versioni.

La stanza 2, dal 1992 al 1995, Big and small works, un titolo d'autore, come gli altri, presenta opere di difficile definizione, non vasi, sculture dai basamenti in materiali contrastanti, si, e creazioni come Asparagi sacri (1994), prefigurazione dei Lingam prodatti dal CIRVA (Centre International du Verre et Arts Plastiques).

Stanza 3, Esercizi, 1997-1998, Luna (1997) vaso in tre varianti cromatiche, prodotto da  Gino Cenedese e Figlio a Murano, e come nella serie che dao' il titolo alla sala, accostamenti marmo/vetro.

Stanza 4, Capricci, una serie di sedici elementi, prodotti dalle Gallerie Marina Barovier  (Venezia) e Bruno Bischofberger (Zurigo).

Stanza 5, 2004-2006, Kachina, realizzate a Marsiglia ed Amsterdam, ispirate alle bambole degli indiani Pueblo.

Stanza 6, 1999-2006 sono gli anni dei vasi Lingam e degli Xiangzheng, dal cinese, simbolo, i vasi, se vogliamo definirli cosi', gli oggetti, le sculture hanno parti all'interno, di colori contrastanti, o legate, appese all'esterno, grazie a fili di ferro.

Stanza 7, 1999-2005, i vetri destinati alla Millenium Hause di Doha,realizzati da Gino Cenedese e Figlio a Murano, creati come un'un'unica installazione, hanno basamenti in marmo pieno e sono curiosi per la frequente inclinazione che li contraddistingue. Sono esposti per la prima volta al pubblico. Nel corridoio un ex cursus di oggetti dal 1947 al 2003.

Completato il percorso si puo' ricominciare da capo compulsando l'accurato catalogo pubblicato da Skira.

emilio campanella


Ramayana, al Terzo piano di Ca' Pesaro, a Venezia, ha sede il Museo (Nazionale) di Arte Orientale. E' ospitato nel palazzo, da oltre un secolo, da quando Ca'Marcello, sede originaria, chiuse per restauro.

Ricordo che molti anni fa riaprì, con grande gioia di tutti, dopo una chiusura decennale, per restauro, anche questa sede provvisoria.

Ora si parla di un imminente trasferimento in sede definitiva (fra due anni, ci ha detto Daniele Ferrara, Direttore del Polo Museale del Veneto) che e' stata anche indicata: l'ex Chiesa di San Gregorio, ad un passo dalla Salute, sede prestigiosissima in un punto strategico della citta', densissimo di importanti luoghi espositivi: La Punta della Dogana, il Museo Manfrediniano, la Collezione Guggenheim, Palazzo Cini, le Gallerie dell'Accademia.

L'occasione di questa bella notizia che dovrebbe realizzarsi in un lasso di tempo inaspettatamente breve, ci e' stata data durate la presentazione di una piccola e veramente molto interessante esposizione dedicata a maschere teatrali lignee legate a sacre rappresentazioni, potremmo dire noi europei, per capirci un po', di episodi del poema indiano Ramayana.

Opera letteraria sterminata, fluviale, sacrale, mitica, magica, ipnotica. L'esposizione che sara' aperta al pubblico sino al 10 Settembre prossimo, s'intitola: Ramayana. The divine poem as revealed by Rajbansi masks.

Strano titolo inglese per una collezione francese ed una mostra prodotta da ICI Venice e L'Association pour le Rayonnement des Cultures Himalalayennes. E' curata da Marta Boscolo Marchi e François Pannier e patrocinata da UNESCO, Universita' di Ca' Foscari ed ICOO, Istituto di Cultura per l'Oriente e l'Occidente.

Storicamente attribuito al saggio Valmiki (fine II - I sec a.C), in realtà pare che il nucleo sia stato composto fra il VI ed il III sec. a.C. e, però, nei primi secoli della nostra era trovò la sua forma come più o meno la conosciamo attualmente.

Le magnifiche maschere esposte, di produzione fra India e Nepal, sono perÚ, nella magior parte, ottocentesche ed anche del ventesimo secolo. Sono rappresentazioni di dei, demoni, eroi, animali, personaggi buoni e cattivissimi della lunghissima vicenda che investe molteplici visioni della vita umana e soprannaturale.

Il materiale e' il legno dipinto; sono anche molto grandi, ed alcune, pesantissime.

Esposte ed illminate con gusto, hanno una sala a loro disposizione. Il collegamento con le collezioni del museo, e' nell'ultima sala dove ci sono altri esempi di arte teatrale legata al poema come le ombre e le marionette dell'isola di Giava del Wayang Kulik e Wayang Goleb.

Il catalogo che accompagna l'esposizione, ricco di immagini e testi, e' edito a cura del collezionista Alain Rouveure che ha prestato i suoi tesori per la mostra veneziana.

emilio campanella

Corto Circuito parte seconda: Attorno a Tiziano, L'Annuncio e la luce, verso il Contemporaneo, Garofalo, Canova, Fontana, Flavin. Il tredici Aprile, e' stata presentata la nuova mostra che si potra' visitare al Centro Culturale Candiani di Mestre, sino al due Luglio prossimo.

Il notevole ritardo dell'inizio della conferenza stampa, e' stato riscattato dall'agilita' degli interventi e dall'atmosfera di rilassata cordialita' che ha contagiato tutti i presenti.

L'operazione espositiva risulta piu' ambiziosa della precedente, anche per le istituzioni coinvolte, quindi non solo il Centro Candiani che ospita ed i Musei Civici Veneziani, ma la Scuola Grande dell'Arciconfraternita di S.Rocco, La Fondazione Giorgio Cini, la Gipsoteca di Possagno, la Fondazione Lucio Fontana. L'impressione a caldo e' che la piccola magia della prima mostra non si sia rinnovata.

Sappiamo tutti che opere importanti non fanno necessariamente una mostra riuscita. Bisogna ammettere poi che l'allestimento sobrio, nuovamente firmato da Pier Luigi Pizzi lascia alcune perplessita', peraltro dovute all'infelicita' dello spazio, si pensi che la pala di Benedetto Tisi, Garogalo, magnificamente restaurata e mai esposta  a Palazzo Cini, risulta leggermente scentrata, posta in fondo al corridoio che dovrebbe valorizzarla, a causa delle dimensioni.

Meno infelice la situazione del Tiziano che si e', pero' dovuto scegliere di esporre senza cornice, per lo stesso tipo di difficolta'. Ma questi sono problemi meno gravi della sensazione che ho colto; come un troppo netto stacco fra antico e moderno, troppo duro, e non parlo di Fontana accanto a Canova, giocando con molta intelligenza sul bianco grigio monocromo, ma di una sensazione generale, come se i curatori Gabriella Belli e Luca Massimo Barbero non fossero riusciti a creare un percorso senza scossoni non voluti... non provocazioni o shock utili al pubblico, ma una non comunicazione... non certo il corto circuito, ma piuttosto dei cali di tensione.

Procedendo con ordine bisogna ammettere che la scelta del Giovedi Santo, per l'inaugurazione risulta particolarmente suggestiva, contraendo la storia umana di Cristo, da prima della nascita alla Resurrezione della Domenica di Pasqua, in quattro giorni, anche se la data in cui si ricorda l'Annunciazione Ë il 25 Marzo, tradizionalmente considerato come di fondazione di Venezia. Il percorso e' introdotto da un agile, ovviamente, Mercurio bronzeo di Giambologna, dalla Galleria Franchetti alla Ca' D'Oro: il messaggero degli dei, come prefigurazione dell'Angelo Annunciante.

S'inizia con magnifiche pagine miniate dalla Fondazione Cini; a seguire,  opere devozionali di grande qualita' esecutiva, il bel Trittico attribuito a Lazzaro Bastiani, dal Museo Correr. La pala di Garofalo appena citata, con lo stipo aperto al centro della scena: due piani, due nature morte.

Un libro aperto, due chiusi, un coltello, delle forbici, quattro ciliege, una penna nel suo calamaio; sotto, un vaso con una pianta verde, un altro in vetro veneziano riconosciuto dai collezionisti, in cui garofani posano agonizzandoc nell'acqua, ed una clessidra quasi alla fine del suo tempo. Sopra il mobile, un leggio con un altro libro aperto. Una giovane colta.

Diversa la scena in Tiziano; anche qui la ragazza stava leggendo, il giovanotto alato che le annuncia la decisione divina e' delicato, trepido, si direbbe, lei e' gia' compresa del suo ruolo, concentratissima, ai suoi piedi il cestino del lavoro, anche lei "all'opre femminili intenta" e' stata colta di sorpresa dalla visita inaspettata, ma non e' spaventata dalla possanza dell'angelo, come nella pala di S.Salvador, di molti anni sucessiva.

Si noti che il prestito dell'Arciconfraternita ha un vero carattere di eccezionalita' siccome e' il primo in assoluto in terraferma, di una organizzazione assistenziale che operava anche qui, da e per secoli. Il tema viene affrontato in molte versioni incise originali, come da grandi autori, per arrivare a: Sole in Piazza S.Marco di Lucio Fontana ( Collezione privata ), con quell'oro magmatico in cui sono "casualmente" incastonati, frammenti di vetro colorato di Murano.

A conclusione tre opere di Don Flavin: Untitled( to Don Judd colorist )2, 4, 3, 1987 (Mendrisio, Panza Collection)...come un Golgota con tre croci colorate al neon che si vede affacciandosi ad una specie di finestra abilmente creata da Pier Luigi Pizzi. Poco lontano: Deposizione di Gaetano Previati, matita su carta del 1901, da Ca'Pesaro, straordinario disegno dove la luce proprio non c'e' piu'.

La storia e' finita. La mostra ha un audiovisivo di montaggio cinematografico curato, anche in questo caso, da Gian Piero Brunetta, ed un piccolo catalogo pubblicato, nuovamente da Lineadacqua.

emilio campanella


Palazzo Cini a S.Vio, a Venezia propone per la sua stagione di apertura annuale ( sino al 15 Novembre), una mostra personale del Brasiliano Vik Muniz, che si divide fra New York e Rio de Janeiro.

La mostra s'intitola: Afterglow, Pictures of Ruins. Personalita' poliedrica, presenta otto "quadri", otto disegni, una installazione. Quest'ultima, dal titolo: Quantum Leap (2017, Courtesy Berengo Studio)e consta della riproduzione ingigantita di un bicchiere settecentesco del Museo Vetrario di Murano, solo che l'oggetto e' in frantumi ed il vino e' versato sul pavimento, sulla parete alle spalle: Allegorical scene from Dosso Dossi, una situazione violenta, da bettola, ed infatti l'opera originale s'Intitola: La zuffa, circa 1521-22, e si può vedere al piano inferiore.

Il gioco ironico e' sottile, una sala e' solo per questa strizzata d'occhi d'arte, ad arte! L'esposizione, curata da Luca Massimo Barbero, ha una perfetta illuminazione, indispensabile, in particolar modo per queste opere sottovetro giocate su spessori e profondita'.

Si tratta di d'après, in un certo modo, in cui Muniz rifa', ricrea, reinventa quadri del passato, da Guardi a Constable, da Canaletto ad Hubert Robert, da Friedrich a Giovanni Paolo Panini.

E' inevitabile che sulle prime non si riesca a comprendere che cosa si sta guardando, infatti i lavori sono un po' come dei collages, mi si passi il termine semplicistico, che giocano molto abilmente con la tridimensionalita', la luce, i cromatismi piu' precisi ed attenti.

Per far comprendere, si ha a che fare con delle complessissime ed elaborate giustapposizioni  usando frammenti di libri d'arte. Un' altra sala e' dedicata ad otto disegni "alla Piranesi", ulteriore omaggio alla Fondazione Cini che possiede l'intero corpus dell'artista settecentesco, del quale e' esposta, in apertura della mostra, una magnifica incisione. La manifestazione e' prodotta in collaborazione con Ben Brown Fine Arts di Londra, da cui provengono tutte le opere "fotografiche" esposte, tutte inedite e del 2017.

Marsilio ha pubblicato il catalogo, al solito, accurato nelle riroduzioni cromatiche, in questo caso, decisamente impervie da rendere dati i giochi di rilesso e quasi di trompe l'oeil dei "quadri". Tutte le opere sono riprodotte, e nel testo dell'intervista a Muniz, di Luca Massimo Barbero, come si sa, anche Direttore dell'Istituto d'Arte della Fondazione, immagini di arte antica cui Muniz si e' ispirato per questo suo nuovo ciclo.

Una sorta di artista musivo attirato dai reperti, dalle rovine- una tendenza vieppiu' diffusa- come un ripiegamento sul passato, un ripensamento intorno a valori, secondo alcuni, in crisi, ma sicuramente minacciati. Un cercare e ritrovare, mangiare l'arte per rivomitarla ricreata rigenerata e fatta propria...forse anche fisicamente ed infantilmente gastrica, certo.

Ma pure una grande discarica organizzata di fogli colorati frammentati e frantumati, volatilizzati e che dopo una deflagrazione, tornano a posarsi lentamente riorganizzandosi con precisione per creare altro...consiglio una visita attenta a questi lavori che si possono osservare anche per ore, scoprendone sempre nuove sfaccettature.

emilio campanella


La Casa dei Tre Oci di Venezia ci ha ormai abituati al veloce avvicendamento delle sue mostre, infatti, dopo il bianco dei ghiacci artici, ecco i colori saturi di David LaChapelle, proposto dai curatori: Reiner Opoku e Denis Curti, per questa mostra che occupa i tre piani del palazzo e copre un arco di tempo che parte dagli anni Ottanta per arrivare agli ultimi lavori della serie New World del 2017, esposti al piano terra.

Visitabile sino al nove Settembre, e' accompagnata da un catalogo molto importante, edito da Marsilio.

Si puo' iniziare la visita in molti modi, siccome preocupazione dei curatori e' stata di cercare di dare un'idea, in qualche modo esaustiva, del fotografo, creando percorsi e stanze speciali per affrontare le tematiche, tanto per analogia, come per contrasto, anche se gli apparenti scarti tematici non sono cosi' forti quanto sembra all'apparenza, siccome un filo coerentemente logico, lega il lavoro di LaChapelle, fin dall'inizio; al di la' del tentativo di "svegliare"il pubblico con delle provocazioni estetiche giocate molto sul kitsch ed il pop abilmente shakerati.

In una sala del piano terra, una serie interessantissima di nature morte molto colte ed ispirate a quelle barocche, con un'attenzione alla simbologia di rara cura.

Siccome il nostro ha la grande fortuna di vivere in Polinesia, ha anche a disposizioe, paesaggi molto speciali per ambientare le scene che crea, siano esse rivisitazioni hopperiane, costruite, fra l'altro, con materiali recuperati, riciclati e ricreati per diventare scenografie di notevoli suggestione grazie a luci sorvegliatissime in foreste notturne, come Gas 76 del 2012, della serie Gas, appunto, oppure operazioni di intervento diretto sull'immagine realizzata.

LaChapelle racconta storie, spesso tremende, quelle che ci circondano peraltro; riempe la scena di personaggi, apparentemente indipendenti, l'uno dall'altro, crea atmosfere inquietanti, esilaranti, dissacranti al tempo stesso e provoca inevitabilmente la riflessione in chi guarda.

Ci sono due omaggi a Warhol, suo antico mentore; personaggi notissimi, nelle situazioni da lui create.

Ci sono anche fabbriche inquietanti, e per concludere, l'opera che amo maggiormente: Last Supper 2009-2012: tredici piccoli quadri con altrettanti ritratti, ma sono teste mozze, per quanto vivissime, e per nulla inquietanti, ognuna con le sue mani molto espressive, ed altrettanto mozze...un po' fra iper-realismo e cere devozionali, come se ne vedono talvolta in sacrestie di Chiese importanti. Interessantissimo il documentario sul back stage di Deluge, 2006, lavoro ispirato a Michelangelo.                          

emilio campanella