Le recensioni di Emilio Campanella

Novembre 2006


VENEZIA LXIII: ALCUNI FILM - VENEZIA LXIII: I PREMI - GIORNATE DI CINEMA OMOSESSUALE - BRESCIA, LO SPLENDORE DELL'ARTE, ATTO III - VENEZIA '900 - ALLA MOTTA NEL '500 - GERMAINE RICHIER - TEXTILE ART A VENEZIA - BLACK WATER DI SABURO TESHIGAWARA AL COMUNALE DI FERRARA


VENEZIA LXIII

1) ALCUNI FILM

Il mio percorso di quest'anno e' stato, come sempre dribblando gli impegni, e tentando di scegliere.

Da tenere presente, sperando che venga distribuito, L'étoile du soldat (Giornate degli autori) di Christophe de Ponfilly, primo ed ultimo film narrativo di questo documentarista morto tragicamente alcuni mesi or sono, quando si e' saputo la cosa ha lasciato tutti molto colpiti, considerando anche un'opera di grande umanita' e contraddittorieta', ispirata ad una vicenda reale, film civilissimo, anche picaresco, anche me'lo, intelligentemente ed intransigentemente contro la guerra.

The Black Dahlia di Brian de Palma, tratto da Ellroy , e' stato la prima delusione. Pare che il regista sia sopraggiunto successivamente a 'rilevare' la direzione, che ha momenti notevoli, e meno male, ed alcune 'firme' inconfondibili, ma altri proprio mancati, tra accelerazioni e rallentamenti voluti e no. La vicenda e' compresa in 120', non pochi, peraltro, ma talmente complessa che la sceneggiatura non riesce a dare spiegazione di tutto, prova che tutti i rami dell'albero di Ellroy non sono stati sufficientemente sfrondati tanto che si arriva in fondo e molte cose non vengono chiarite. Tutto risulta cosi' un po' di corsa, non c'e' tempo per approfondire nulla, alcuno scavo psicologico, neanche c'e' tempo per recitare, e questo vale quasi per tutti, per qualcuno in particolare che tanto non ci riuscirebbe egualmente. Si stacca Hillary Swanck, pur costretta in un ruolo di dark lady di grande prevedibilita', e la graziosa Mia Kirshner, nel ruolo della vittima, fragile, credibile, in pericolo, la vediamo nei 'filmati di repertorio' dei provini e nel 'film pornografico' in perfetto stile De Palma. Barocco, notturno. Scarlett Johansson e' assolutamente inespressiva. Un film mancato e, fra l'altro, vagamente omofobo. Continuo a domandarmi chi lo sia in questo caso: il regista? alcuni attori, i personaggi (non tutti), l'autore?

Sang sattawat (Syndromes and a century) di Apichatpong Weerasethakul e' un film un po' misterioso, un po' sognato, con una certa percentuale di noia elegante, non lontana da una videoinstallazione, specialmente verso la fine, alcuni l'hanno molto amato. C'e' una tematica gay, ma talmente criptica, che bisogna esserne al corrente per cercare di intuire in che punto sia.

World Trade Centre di Oliver Stone e' stata la seconda (grande) delusione pur per chi, come me, non ama ne' segue con attenzione questo regista, ma e' proprio un vecchio film catastrofico di struttura prevedibilissima, costoso e lacrimogeno, abile ed equidistante, ed, alla fine, poco coraggioso, dato che non prende posizione. Il povero Nicholas Cage, gia' inespressivo di suo, qui e' anche immobilizzato e semisepolto per tre quarti del tempo.

Heimat- Fragmente di Edgar Reitz e' un gioco sulla memoria, il passato; ci sono cose nuove, cose vecchie, cose riprese, episodî girati diversamente, cioe', cio' che non avevamo visto, talvolta a colori; come visitare i luoghi che avevamo desiderato vedere; il dietro le quinte della vita. Non a caso la poco simpatica Lulu e' architetto, e questo film sulle donne analizza l'architettura del tempo di Heimat. Secondo alcuni un po' senile e crepuscolare, si sconsiglia a chi non conosca la saga.

Private Fears in Public Places (Coeur), Piccole paure condivise di Alain Resnais, premiato con il Leone d'argento, e tratto da un testo di Alan Ayckbourn. Film che se, come qualcuno ha detto, non aggiunge nulla all'opera del regista, ne ribadisce l'altissimo livello dell'opera nel suo complesso, ed e' un tassello nella sezione teatrale della sua filmografia, partendo da Me'lo, passando per Smoking - Non Smoking, ed anche portandosi dietro la neve di L'Amour a' mort, solo che qui, oltre che mulinare cade sulle persone raggelandone i rapporti e la comunicazione, con effetto straniante di grande suggestione, anche perche' essendo, in interno, gia' spiazza, e poi nel fotogramma successivo, e' un gelo dell'anima. Come sempre con questo grande scandagliatore del cuore umano, anche qui la scenografia e' determinante per rendere le atmosfere, gli stati d'animo. Cosi' come gli oggetti: le valigie, le sciarpe, i mobili, come il tavolo e le seggiole francescani. Gli attori sono straordinarî, anche Morante e' perfettamente integrata con gli altri.

The Queen di Stephen Fears e', in assoluto, uno dei film migliori della rassegna, e quello per cui ho 'temuto' di piu', data la delicatezza dell'argomento. Parte come per una conversation pie'ce della piu' classica tradizione britannica, con una serie di battute estremamente brillanti. La sceneggiatura di Peter Morgan e' stata meritatamente premiata con L'Osella d'oro. Poi, dato che tutto si svolge durante la settimana seguente il mortale incidente occorso a Diana Spencer, il tono cambia. L'equilibrio delle immagini fra documentario e ricostruzione, e' ammirevole. Il ritratto ufficiale della regina fa da inizio al film, e da qui, Helen Mirren non ha uno sguardo, un gesto, un accento fuori posto, e' assolutamente impeccabile e credibile. Era, e' vero, subito chiaro, che, difficilmente qualcun'altra le avrebbe strappato (potuto strappare?) la Coppa Volpi, fosse anche quella meravigliosa, tremenda di Isabelle Huppert. Tutti i caratteri sono centralissimi, dalla famiglia reale, i 'collaboratori' che la circondano, la famiglia Blair, lo staff del primo ministro. Ancora una volta mi sono domandato, come gia' all'epoca dei fatti: se questa vicenda si fosse svolta, diciamo, cinque secoli fa, come si sarebbe sviluppata, chi sarebbe stato esiliato? Chi e quanti sarebbero stati ospiti della famigerata torre? Vero e' che anche qui, per lo meno in un momento, Shakespeare con i suoi chronicle plays, e' proprio molto vicino, ed e' l'episodio in cui l'auto si guasta ed Elisabetta incontra il grande cervo; tutto e' come, momentaneamente, sospeso, con queste due regalita' a confronto. Subito dopo ogni cosa riprende il suo corso, e comunque, certo, come ovvio, si ripensa anche a Riccardo III. La pellicola termina, praticamente, con la dichiarazione in diretta televisiva della regina, a concludere l'iter partito con il ritratto. Rivisto doppiato, benissimo, e' consigliabile vederlo in originale (ammesso che sia possibile) poiche' ci sono sfumature impossibili a rendere: ognuno parla il suo inglese!

Hei yanquan (I don't want to sleep alone - Non voglio dormire da solo) di Tsai Ming-Liang. Ogni nuovo film di questo regista (e' il nono) mi provoca uno shock, piccolo o grande, dai tempi di Vive l'amour. Qui l'ambientazione fra poverissimi lavoratori del Bangladesh a Kuala Lumpur, che si occupano di un vagabondo ferito trovato per strada, e' altrettanto misteriosa ed 'inspiegabile' come in altre occasioni. C'e' la nebbia di questa citta' umidissima, una nube tossica non si sa quanto pericolosa; tutto e' un po' avvelenato, gli ambienti sono degradati e stranianti benche' di un loro grande fascino. Ci sono cose che colpiscono, immagini forti. Un sacchetto con bibite rosso fuoco, un altro con ghiaccio verde mela, approcci terapeutici, per lo meno, empirici. Tutto si svolge in luoghi distrutti, o, piuttosto, mai terminati. Questi ragazzi sopravvivono in posti tremendi fotografati in maniera strepitosa. Ci sono eterni trasporti di pesantissimi materassi; c'e' amore e soffocazione, acque e fumo; il sesso e' strano, anche quando e' etero, quasi fosse tra uomini. Un innamorato minaccia il suo amato, quasi per ucciderlo, con una latta di conserva invece che con un kriss salgariano, ma e' lo stesso, e dai suoi occhi scendono fiumi di lacrime. E' una visione infernale di gente che vive, e ci si domanda perche', quale forza li spinga, come il comatoso tenuto in vita con accanimento terapeutico. La chiusa e', a modo suo, feroce, ma anche no. I tre protagonisti con il lui conteso fra una lei ed il 'mancato assassino' galleggiano sul grande materasso, portati come dalla corrente sotterranea dell'Ade, nel lago creatosi nel fatiscente edificio. Meraviglioso! Ma potra' anche sembrarvi insopportabile! Non possono esserci vie di mezzo.

A Guide to Recognizing Your Saints di Dito Montiel: una storia di giovani a rischio delinquenza, con il senso dell'amicizia, tipico di quell'eta', un po' troppo urlato, c'e' anche un finocchio caricaturale, ma buono (almeno quello!), tutto e' un po' banale e prevedibile, ma neanche troppo noioso (Settimana della Critica).

La stella che non c'e' di Gianni Amelio: per fortuna, invece, che c'e' Castellitto, uno dei nostri migliori attori, anche se altre volte e' stato piu' bravo, poiche' questa vicenda e' particolarmente insensata: un manutentore (leggasi: operaio specializzato), dopo la vendita di un altoforno dallo stabilimento di Bagnoli (mica vero, i dirigenti hanno un vero accento genovese, e sullo sfondo si vede il profilo del Monte di Portofino, quindi era Cornigliano, ma comunque) ad acquirenti cinesi, si accorge di un difetto molto pericoloso dell'impianto. Trovatolo, parte per la Cina con una centralina modificata, alla ricerca dalla fabbrica che ha compratoTanto, la Cina si gira come ridere E, i soldi chi glieli da'? Senza contare che dopo dieci minuti, gia' si e' perso il conto dei luoghi comuni. Fortunatamente i personaggi sono simpatici, e gli attori, bravi, come dicevo, anche la giovane cinese Tai Ling, graziosa, un po' la nipote orientale di Maria Schneider, e credibile. Entrambi immersi in un lago di insensatezza. L'incontro finale particolarmente, affossa ogni gia' limitata credibilita': si trovano ad una stazione dopo che lui se n'e' andato in giro da solo, ha capito, si e' fatto capire, ha cercato, trovato la fabbrica, poiche', come dice lei, i binarî sono sempre dritti Ah si'? La mia esperienza di viaggiatore ferroviario e' un po' diversa. Ma non sono ancora mai stato in Cina ch'e' tanto grande che forse i binarî sono dritti?!

Un mio colto, ironico, perfido amico cine'phile mi ha suggerito un parallelo fra quella folle, interpretata da Loren tanti anni fa, che, ne I girasoli vagava per l'Unione Sovietica con la foto del marito, ed il povero Castellitto con il suo pezzetto di acciaio

Fangzhu (Exiled) di Johnnie To: molto divertente 'hard boiled' ambientato oggi a Macao, come se fosse negli anni '30. Una storia di amore, tradimenti, potere. Pianosequenze strabilianti, montaggio perfetto, tempi, ritmi, grande ironia e malinconia, personaggi e volti che rimandano al 'noir' americano classico; una chicca! Attenzione: non piu' che un giocattolo, ma che bel giocattolo!

INLAND EMPIRE di David Linch, ecco l'altra grande delusione del festival, dopo Mulholland Drive, visto, rivisto, amato, passati alcuni anni, ecco questo film della durata di 172 minuti, accurato come sempre; misterioso, anche piu' del solito; confuso come non mai: pericoli annunciati e dichiarate presenze; una palude di veleni, esalazioni, incubi e videoarte. Donne vessate, uomini violenti e punitivi. Tre case? Due strade? Varî filoni; il cinema nel cinema, conigli kafkiani che mi hanno ricordato la tragedia Endogonidia di Raffaello Sanzio, storie parallele, ma in mezz'ora c'era gia' tutto, ed a voler essere generosi dilatando sino a 100 minuti, ma gli altri 72? Per arrivare, poi, ad un finale che si ricollega all'inizio. Insomma, dopo poco meno di 3 ore siamo esattamente dov'eravamo partiti solo, con molta piu' confusione in testa! Leone d'oro alla carriera di quest'anno, ma questo film piu' del bronzo (alla carriera) non merita, vista che si tratta di un premio all'insieme dell'opera, gli abbassa la media!

Quei loro incontri di Jean-Marie Straub e Danie'le Huillet per cui si e' inventato un premio all'ultimo momento, dopo le irate minacce e gli anatemi di certa destra ignorantissima contro questi terroristi. E' vero che lo sono, ma con le rigorose scelte stilistiche radicali. Ispirandosi ai Dialoghi con Leuco' di Pavese, cinque parti, una recitazione mitica con Zeus, gli de'i superni, le acque, le muse, Euterpe ed Esiodo, i cacciatori, una 'non recitazione' rocciosa che pur nella contenuta durata di 68' puo' risultare impervio seguire, ma lascia il segno e ti scava dentro.

Belle toujours di Manoel De Oliveira: per celebrare Belle de jour, Buñuel e Carrie're, e' stato affidato il progetto a Dom Manuel, l'unico il cui mondo possa, almeno in parte, avvicinarsi a quello di Don Lui's. Ecco, quindi, continuare la vicenda 38 anni dopo. Husson (Michel Piccoli) intravede Se'verine (Bulle Ogier) a Palais Garnier, non crede ai proprî occhi e la segue salvo, perderla di vista; una serie di coincidenze fortuite gliela fara' rincontrare, ma lei, consapevolmente, fuggira' ogni volta riuscendo 'abilmente' a dribblarlo. Il gioco e' reiterato come in Sade, con coazioni a ripetere variate quanto volutamente prevedibili. Husson, nella sua ricerca, approda ad un bar dove si confida con il barman (Ricardo Trêpa, come l'Arditi di Resnais, ma, ovviamente, con un risvolto maggiormente filosofico) dove sono incagliate due simpatiche puttane sante (Leonor Baldaque e Júlia Buisel, brave e fascinose). Tanto Husson e' pettegolo, quanto Piccoli e' sornione, come un anziano gattone, consapevole del gioco deduttivo e del fascino scoperto e stratificato dell'uomo d'eta'. Sempre, comunque, grande charmeur. Riuscira' a 'placcare' Se'verine davanti ad un negozio d'antiquariato dove acquistera' un oggetto che li lega al passato. In campo lungo vediamo un'esilarante danza delle esitazioni di lei ed il gestire di lui che la tenta e la trattiene; riuscira' ad invitarla a cena con il miraggio delle rivelazioni legate al passato: quello che da quasi 40 anni anche noi attendiamo, ma il sadico Husson con il suo carattere inaffidabile manterra' la promessa? Lei riprendera' la sua fuga lasciando la saletta privata del ristorante dove, nel frattempo le candele si sono consumate, le attese e le speranze si sono avvicendate, inframmezzate, come dall'inizio del film da sezioni sinfoniche di Dvo_ak ed inquadrature fisse di una Parigi diurna e notturna. Da ultimo un commento su di una grande attrice quale Bulle Ogier (gia' indimenticabile ragazzina sempre ciucca ne Le charme discret de la bourgeoisie) che riprende un ruolo che non era suo, con grande umilta' e proprieta' di approccio dando la sua visione del personaggio di Se'verine che, lo sappiamo, e' sempre stata un po' matta. 70' assolutamente perfetti.

Mondonuovo di Emanuele Crialese e' il discutibile Leone d'argento 'Rivelazione' per un regista che non lo e' assolutamente, avendo all'attivo gia' due film interessanti, ma queste sono le strategie atte ad accontentare Rai Cinema, anche perche' non si giustifica un premio per un'opera molto meno riuscita delle precedenti. Altalenante fra Taviani e Tornatore, molto tradizionale, nell'impianto, e diviso in due parti nettamente distinte, la cui seconda, piu' documentaria, ambientata ad Ellis Island, isola filtro per gli immigrati ammessi o rifiutati dagli Stati Uniti, contrasta con la prima, solare, corrusca, per il suo chiuso rigore, dopo l'entracte del viaggio con tutto il suo coacervo di banalita'. Gran direttore d'attori, Crialese dovrebbe evitare ogni tentativo onirico che risulta, ad essere molto cortesi, particolarmente maldestro. Una nota curiosa e' rappresentata da Charlotte Gainsbourg con la sua simpatica faccia da schiaffi, un'inglesina molto spiritosa e scontrosa cascata in mezzo ai siciliani! Sembra che Crialese stesse leggendo due libri, uno di Henry James, e l'altro di Verga e che spostando un volume sull'altro, dalle pagine dell'uno, un personaggio sia scivolato nell'altro Ma, forse, solo per ragione di coproduzione.

Hiena di Grzegorz Lewandowski (settimana della critica) e' un film molto polacco in cui il giovanissimo protagonista filtra attraverso la sua forte sensibilita' la situazione di degrado della sua citta', la morte del padre, come di molte persone che gli sono vicine. Ci sono i suoi presentimenti ed il timore di perdere i legami, ed il fatto che nessuno crede nei suoi avvertimenti, come purtroppo, molto spesso, accade: alle parole dei ragazzi non si presta fede. Lui si rifugia nella leggenda di una misteriosa iena che si aggirerebbe nei paraggi uccidendo. Un po' si avvicina ad un personaggio minaccioso ed inquietante venuto dal passato, e forse frutto della morte economica e sociale della piccola citta', con le sue fabbriche dismesse. Un film cui prestare attenzione, nella speranza che venga distribuito.

L'ultimo giorno ha riservato due sorprese: La rieducazione (settimana della critica) diretto da Davide Alfonsi, Alessandro Fusto, Denis Malagnino. Un piccolissimo film autoprodotto e costato, pare, 500 ¤ (!!!). Decisamente un ottimo esempio di tenacia, coraggio ed anche di saper fare buon cinema. E' un ammirevole spaccato del lavoro sommerso fatto, ovviamente, in economia, ma con molta efficace cura. In due parole: un giovane plurilaureato si occupa di volontariato; dopo molti concorsi senza esito il padre gli taglia i viveri, lo spedisce in un cantiere edile e lo estromette da casa. La prova e' tremenda, ma riesce a sopravvivere cercando di interessarsi anche di altri sfruttati che stanno peggio di lui; quando gli viene comunicato il buon esito dell'ennesimo concorso molla tutto, se ne frega dei colleghi non pagati dal boss disonesto dimostrandosi anche peggio di lui, e vola al suo posto sicuro!

Sanxia Hoaren (Still life) di Jia Zhangke, Leone d'oro come miglior film, era il film 'sorpresa' (pare, per ragioni di eventuali censure da parte del governo cinese) visto poco, data la copia in digitale, e cosi', per varie ragione e' stato premiato 'a sorpresa'. L'ho recuperato all'ultima proiezione dall'ultimo giorno, quindi, per un pelo! E' stata, debbo dire, una bella fortuna. La vicenda sembra confusa, come lo e' la situazione di totale precarieta', sopra ed attorno al lago artificiale che sta facendo sparire tutta un'ampia zona. Molti piccoli personaggi, situazioni drammaticissime. Tutti cercano qualcuno, sfuggono qualcun altro. Pioggia, clima semitropicale, un piccolo sogno d'evasione: un piattino volante. Una evasione piu' ravvicinata e pericolosamente precaria: un uomo che cammina su di una corda tesa fra due edifici. Case vengono demolite, e ci si ricorda che vi abitava, si passa lungo il lago e si indica la propria, sommersa. Un film di grande umanita' molto ben diretto, montato, con una magnifica fotografia. Dovrebbe essere distribuito a gennaio prossimo, non perdetelo!

emilio campanella

2) I PREMI

Guardando il numero della Mostra del Cinema di quest'anno, faccio rapidamente un conto degli anni dal mio trasferimento, prima graduale, poi, definitivo (?!) e completo a Venezia: avevo 30 anni, ero un giovanotto, e la mostra era la XL, detta anche 'icselle' per l'abbuffata di film. Ora, ho 53 anni, sono un uomo di mezza eta' che ha visto molti piu' film, vissuto molte mostre anche lavorandoci per due volte, con molto divertimento, come accreditato da 10 anni. Insomma, sono dei bei numeri. Ho, quindi, atteso piu' o meno distrattamente tutte le premiazioni essendone a volte soddisfatto, altre, anche molto deluso: premi assegnati, non assegnati, meritatissimi, immeritati, ex aequo (la scelta peggiore) sino ad oggi, quando ho seguito su di uno degli schermi esterni al Palazzo del Cinema, una parte (quella che poi interessa) della cerimonia, prima delle ultime due proiezioni. Sono rimasto piacevolmente sorpreso del premio a sorpresa del film-sorpresa: Sanxia-Haoren (Still life) di Jia Zhangke, un lavoro molto serio, molto umano, esteticamente magnifico; il regista ha anche presentato Dong nella sezione 'Orizzonti', sullo stesso argomento, e con le stesse ambientazioni (cosa che ha lasciato perplesso qualcuno). Il film verra', fortunatamente, distribuito a gennaio 2007, buona occasione per rivederlo!

 

Il Leone d'argento (per la migliore regia) e' andato a Private Fears in Public Places (Coeur) di Alain Resnais, da un testo di Alan Ayckbourn. Se, come qualcuno ha affermato, non aggiunge nulla all'opera del regista, ne ribadisce l'altissimo livello dell'opera nel suo complesso, ed e' un tassello nella sezione teatrale della sua filmografia, partendo da Me'lo, passando per Smoking - No Smoking ed anche la neve di L'amour a' mort. Come sempre grande scandagliatore del cuore umano.

Sul Leone d'argento 'Rivelazione' al film di Emanuele Crialese: Mondonuovo, siamo al contentino per tutti, siccome e' prodotto da Rai Cinema, mentre il regista non e' affatto una rivelazione, ed il film precedente: Respiro, decisamente meglio. Meritatissima, invece, la Coppa Volpi a Helen Mirren per The Queen, come l'Osella allo sceneggiatore Peter Morgan per lo stesso film, anche se non si dovrebbe, un film si e' preso due premi, anche se il secondo e' minore. Altra invenzione e' stato il Leone speciale a Jean-Marie Straub e Danie'le Huillet per l'innovazione del linguaggio cinematografico, scelta ancora piu' misteriosa delle altre, dato che questi due autori continuano da decenni nella loro scelta estetico-stilistica di grandissimo rigore formale, quindi, l'innovazione, e', eventualmente di molto tempo fa, ora e' continuita'!

emilio campanella

 

 


GIORNATE DI CINEMA OMOSESSUALE

Per il secondo anno di seguito, e' stata organizzata una piccola rassegna, in video, di opere a tematica GLBT, al Cinema Astra del Lido di Venezia, dal 5 al 6 settembre scorso.

Se l'anno passato la Biennale aveva piu' o meno ventilato la considerazione di una sezione specifica alla mostra di questo anno (come molti altri non mi ero, pero', fatto illusioni) alla luce dei fatti, cio' non e' accaduto, anzi, le poche sovvenzioni comunali e provinciali, ricevute dalla manifestazione, hanno provocato l'indignazione nella solita destra locale, ignorante e volgare. Si era addirittura accennato alla possibilita' un Leone rosa (ma pensa te!), idea peregrina se si pensa, invece, alla dignita' del Teddy berlinese; ma quello e' un altro mondo. Noi viviamo in un paese sempre piu' retrivo e pericolosamente arroccato sul suo roccioso maschilismo. Ma qui si tratta di cinema, altrove, in zone che sembravano ben piu' gay friendly, le ragazze vengono violentate perche' lesbiche, i ragazzi picchiati perche' si tengono per mano. La va proprio male!

Tornando a noi, oltre all'invettiva ed alle proposte di fare un 'controfestival' porno-etero contro cui alcuno aveva nulla da eccepire. Invitando il nume tutelare Tinto Brass, non si e' andati. Dissolte le polemiche, l'affluenza di pubblico e' stata per lo meno doppia dello scorso anno, e questo e' consolante, per quanto sia doveroso dire che la Sala Due del Cinema Astra non e' certo grande. Ad orarî differenti sono stati proposti lavori di vario tipo per avere un po' una panoramica, partendo da The line of beauty di Saul Dibb (U.K. 2006) I - II - III parte, ficton particolarmente accurata tratta dal romanzo di Alan Hollinghurst. Della serata di corti, secondo alcuni, le cose piu' interessanti, ho potuto avere solo un accenno, poiche' sono dovuto scappare 'dall'altra parte' per vedere Straub-Huillet. Interessante e stimolante Rag Tag di Adora Nwandu (UK - Nigeria 2006), prodotto anche con capitali africani, e questo e' molto importante. Una vicenda che, per una volta, per quanti risvolti drammatici abbia, non finisce tragicamente. Da ultimo Colma: The Musical (USA 2006) di Richard Wong. Un simpatico un po' scombiccherato e giovanilistico, ma stimolante.

emilio campanella


BRESCIA, LO SPLENDORE DELL'ARTE, ATTO III

 

Eccoci di nuovo a Brescia per il terzo anno consecutivo, dall'inizio della 'direzione artistica' Goldin. L'occasione e' ghiotta, anzi, ve l'avverto, si rischia l'indigestione, quindi procuratevi il bicarbonato, o quello che prendete in questi casi! A parte gli scherzi, le scarpe comode sono indispensabili! Siccome il curatore ama i numeri, seguiamo l'indicazione e diciamo che Turner e l'Impressionismo, la grande avventura del paesaggio moderno in Europa consta di oltre 280 (!) opere di cui 35 di Turner e 46 di Monet, oltre ad altri autori di tutto rispetto, certuni meno. Sugli altri nomi tornero' piu' sotto, ma si capira' gia' da questo che la mostra, date simili presenza, risulta irrinunciabile.

Certo e' che il tema e' talmente ampio che si sarebbe potuto esporre il doppio, il triplo, ma anche la meta' - che sarebbe stato piu' agevole per la fruizione, ma si e' preferito stupire, ed in un certo senso ci si e' riusciti.

Cio' che maggiormente mi lascia perplesso e' proporre un'epoca nota e 'facile' per il grosso pubblico, ma certo, presentata con particolare superficialita', ma al tempo stesso in modo estremamente faticoso. Se il filo (opinabile, ma perche' no?) era Turner - Monet, sarebbe convenuto concentrarlo evitando tutto l'allargamento che si e' fatto, dell'argomento in cinque grandi sezioni che non fanno se non appesantire e distrarre anche per la presenza di opere, come detto, di notevole qualita', e questo e' indubbio, ma gli argomenti diventano molteplici e meriterebbero adeguate aperture, ma allora diventerebbe l'enciclopedia del paesaggio, per la quale, quindi, non sono poche le lacune. In fondo si tratta di una mostra sterminata e limitata al contempo. Aggiungo che il titolo sarebbe meglio dimenticarlo e cercare di godersi le opere al meglio, nonostante le folle, auspicabili dai nome presenti che detti a caso sono: Constable, Corot, Ce'zanne, Courbet, ma anche Caillebotte, Millet, Van Gogh, Gauguin, Signac, e molti altri. Ci sono grandi nomi, e' vero, ma e' l'insieme ch'e' assurdo.

Infatti pare che lo studio del paesaggio di quel periodo sia stato fatto solo da alcuni inglesi e molti francesi, ma a Parigi studiavano tutti, facevano le medesime ricerche attorno alla luci, anche i nordici, cosi' come cio' accadeva in Germania, in Svizzera, in Italia, ognuno con il proprio punto di vista. Il catalogo e' trascurabile.

Dopo una pausa pranzo consigliata, si puo' affrontare, giusto accanto, la mostra di Mondrian, che cerca di fare un percorso partendo dalle origini dell'artista, ma gia' era stato fatto, e meglio, dalla Fondazione Cini anni orsono. Se questa e' piu' ampia, almeno all'apparenza. e' certo, meno chiara, e privilegia gli albori in confronto ad alcune presenze - esempio della maturita'. La scelta generale non e' neppure troppo limitata, ma, come detto, e' la protostoria dell'artista, che viene privilegiata, e c'e' troppo poco della maturita', per quanto sia sempre interessante seguire l'evoluzione delle linee nella loro graduale astrazione, per quanto, qui non sia esemplificato con sufficiente chiarezza come invece, nel precedente caso citato.

Al piano terra, sempre nel Museo di S.Giulia, quindi: Licini, Opere 1913 - 1929. Un assaggio superficiale, come tutto, anche perche' lo spazio e' limitato. Si cura, come al solito, di piu', il primo periodo, ma ci sono anche germi precedenti, specialmente nei paesaggi, ma e' un po' come l'Ur-Mondriano di cui sopra.

Cito, pero' Paesaggio fantastico (Il Capro) del '27, Olandese volante su fondo grigio (1941) e poi la sola Amalasunta su fondo blu (1951) e Coppia di angeli, primo amore (1955) pocchetto!

Al Castello: Guarienti, paesaggi ed autoritratti 1994 - 2006. Un excursus intorno ad un artista intenso, corposo, colto, dai coraggiosi autoritratti e qualche prestito, specialmente nelle sculture di ascendenza anche giacomettiana, inoltre un'ampia retrospettiva, un po' sacrificata, di Gianquinto.

emilio campanella


VENEZIA '900

Alla Casa dei Carraresi, a Treviso, il 26 ottobre, si e' inaugurata la mostra Venezia '900 che rimarra' aperta sino all'8 aprile prossimo, ideale continuazione di Ottocento veneto di due anni orsono, nella stessa sede e con i medesimi curatori (Pavanello - Stringa), un percorso attento e meditato da Boccioni a Vedova, che si apre con una sala del primo, ottimamente illuminata, ed esattamente con il celeberrimo Canal Grande del 1907, di seguito 'Gli artisti di Ca' Pesaro', con le preziosita' di Casorati, le favole di Zecchin, l'intensita' di Cadorin ed un Cavaglieri materico di grande interesse. La terza sezione e' 'Omaggio a Gino Rossi', uno sguardo attento, come non era riuscita a rendere cosi' intensamente la mostra bresciana dello scorso anno. Ritratti e autoritratti in cui cito almeno la sofferta figura di Cagnaccio di S.Pietro dipinto da Luigi Tito ed il sorprendente Autoritratto con lo specchio a terra di Vedova del '37. Di seguito 'Omaggio a Filippo De Pisis', una - piccola - mostra nella mostra, composta di una ventina di tele. Realismo magico, stagione, a mio avviso di grandissimo interesse. Ancora, 'presenze internazionali' con grandi nomi: uno per tutti, un Pollock mozzafiato dalla G.A.M. di Roma. Si passa, poi, 'Dal fronte nuovo delle arti allo Spazialismo', e qui, insieme con Birolli, Tancredi, Bacci, la presenza di Vedova inizia ad essere costante. 'Venezia nello specchio della modernita'', dove, fra le altre meraviglie, sono accostate due visione di S.Moise', quella di De Pisis (1931) e l'altra di Vedova (1937), ma anche S.Giorgio di De Chirico (1967) e Guidi (1967) e ci si domanda quale sia piu' inquietante. Ancora un 'Omaggio ad Arturo Marini', con una notevole scelta di sculture, ed in chiusura un ampio 'Omaggio ad Emilio Vedova', l'artista che fin quasi dall'inizio, e' presente in, praticamente, tutte le sezioni per l'importanza e la coerenza delle sue opere nel lungo arco della sua vita, purtroppo, conclusa alla vigilia dell'apertura di questa mostra, ch'e' anche, quindi, ora, un vibrante ricordo di uno dei piu' grandi pittori contemporanei.

Mi piace ricordarlo in una foto, ce ne sono molte lungo il percorso, gigante buono, deferente, conversando con una Peggy Guggenheim con colbacchetto di pelo vaporoso anni '60, ed un ricordo personale mentre montava le proprie opere alle Corderie dell'Arsenale.

E' una mostra 'facile' nonostante l'importanza degli artisti e la profondita' dell'approccio, agile, coerente, senza sentieri tortuosi e che si perdono, ma un percorso segnato, comprensibile, evidente!

Molto accurato ed utile il catalogo Marsilio!

emilio campanella


ALLA MOTTA NEL '500

A Motta di Livenza, sino al 26 novembre, e' ospitata questa piccola, accurata mostra intorno al pittore Ramponio Amalteo, artista locale che molto a lungo visse (1505 - 1588) e molto opero' nella zona dove lo si celebra allo scorso anno con l'esposizione di Pordenone, questa di S.Vito al Tagliamento, di cui il resoconto di qualche tempo fa, e questa, dedicatagli dalla citta' che gli diede i natali. Allestita nel centro 'La Castella', palazzotto restaurato, che ancora porta resti di affreschi del pittore, sulla facciata. Il criterio espositivo e' quello dei rimandi, dai documenti riguardanti l'edificio e la relativa decorazione; un bel disegno dagli Uffizi, con una figura di S.Domenico che si ritrova nella pala nell'attiguo duomo di S.Nicolo', con alla base un gruppo di angioletti musicanti (dei veri e proprî monelli simpaticissimi). Sono esposti anche due stupendi disegni di scuola pordenoniana, e, forse, di mano dell'Amalteo, da una (pare) preziosa collezione privata. La mostra si snoda su varî piani dell'edificio e si conclude con la pala rimaneggiata e restaurata (come quella descritta sopra) proveniente dal duomo di Treviso, opera, come si diceva, tagliata e trasformata da Cristo in maesta' ad adorazione della vera croce, e qui riportata alla sua antica destinazione. Ancora si vedono le gambe muscolose di Cristo che regge il mondo, sostenuto a sua volta da un volo di angeli. In basso, anche qui, monelli musicanti, ma piu' tranquilli, tanto da meritarsi l'onore del manifesto e della copertina del catalogo. Di contorno sono esposti: un martirio di S.Stefano di Palma il giovane ed un S.Sebastiano ligneo dal duomo di Pordenone, oltre a due dalmatiche di fattura veneziana di altissimo valore.

All'ultimo piano, una sezione riguardante il restauro dell'edificio.

emilio campanella

 

 

 

 


GERMAINE RICHIER

Una bella mostra su Germaine Richier, alla Fondazione Guggenheim di Venezia, sino al 5 febbraio 2007. Un percorso molto approfondito che oltre ad un'ampia scelta di sculture, presenta disegni ed incisioni in notevole numero, la maggior parte inediti.

Alcune opere sono abituali ospiti dei visitatori della collezione (Tauromachia, 1953), e si viene accolti dal Don Chisciotte (1951), proprio all'entrata del giardino; poi, nel giardino superiore, le scacchiere, la grande e la piccola, totemiche e misteriose.

C'e' una ricerca continua, uno scavo, uno studio di forme scarnificate e corrusche, anche quando le figure sono possenti come L'Orace (1947-48) e L'Ouragan (1948-49) che si fronteggiano, si confrontano, dialogano, lottano, entita' maschile e femminile, di una diatriba infinita.

A partire, pero', da Loretto (1934), una figura snella di giovinetto, ancora realistico, e discendente diretto degli agili egiziani del nuovo regno, come dei kouros, fino alla scultura greca del V secolo, ma anche romane rinvenute dopo l'eruzione del 79 d.C. c'e' una cultura profonda, una ricerca che porta, ad esempio, allo straordinario Homme-forêt grand (1945-46), in cui il mito metamorfico viene rivisitato al contrario, quindi non e' un uomo che si trasforma in vegetale, quanto il contrario, infatti si spacca la corteccia e si riconosce il volto, e la schiena e' ancora chiaramente un tronco, mentre a continuazione di un braccio, ancora c'e' una grande foglia in attesa di trasformarsi in una mano, ed e' un percorso misterico decisamente riconoscibile.

Altro tema forte e' quello dell'animale mitico nella triade inquietante: Orco (1949), Idra (1954), Pentacolo (1954) dove i corpi sono come gonfi e rinsecchiti allo stesso tempo, o come L'Acqua (1953-54) figura simbolico-ancestrale di donna anfora. Si tratta di una mostra 'piccola' che consiglio di visitare con molta tranquillita', gia' questo e' un museo che ha un suo pubblico speciale, anche le folle sono sempre molto attente.

Conviene lasciarsi attirare dalle sculture, dalle incisioni, dai disegni, ascoltare i loro discorsi, le vibrazioni che aleggiano nelle sale; andare, tornare, soprattutto, girare attorno alle opere tridimensionali per cogliere le forme sotto le luci (molto accurate) e fare attenzione a cio' che hanno da dirci ch'e' molto, e molto profondo.

Nell'ultima sala una scultura che amo molto, L'Artigliato (1952), figura con linee di tensione, corde (in senso geometrico) come fili d'intenzione del movimento, e la cui interpretazione, insieme che per le altre, mi si e' chiarita venendo a sapere come Richier conoscesse bene ed amasse Pompei, e da qui, anche il percorso verso forme sofferte ed intense, che vengono anche da molto lontano, mentre piu' vicino, il suo lavoro e' la logica continuazione di quello di Rodin e Bourdelle.

emilio campanella


TEXTILE ART A VENEZIA

Si e' aperta il 27 ottobre, e restera' aperta sino al 7 gennaio prossimo, a Palazzo Mocenigo, dove e' allestita nel salone del piano nobile, ed in alcune sale di questo bel museo del costume, una piccola, curiosa, preziosa mostra; Textile Art a Venezia (Collezione Bortolaso Totano) incentrata sul tessuto, il filo, la trama, con invenzioni minime (Miniartextil) sospese al centro dell'ambiente, evocate con luci ad effetto, tante piccole sculture, micro installazioni, degne delle piu' ricercate e raffinate wunderkammer di arte contemporanea. Si tratta di oltre cinquanta opere, alcune, di grandissima suggestione. Ne scelgo due a caso, ma sarebbero tutte da citare. Sacchi di tempo (2000, Italia) di Attiliana Argentieri: quattro microsacchi di iuta riempiti di gomitoli; Senza titolo (2000, Giappone) di Kenj' Takahaschi: un pezzo di marmo spezzato variamente, e ricucito con fili di nylon. Ce ne sarebbero, ovviamente, molte altre interessanti. Va da se la netta preponderanza di artisti nipponici. Di grande suggestione l'installazione di Teodolinda Caorlin: Liaison (1996-2000, Italia) che ci accoglie al piano terzo.

emilio campanella


BLACK WATER di Saburo Teshigawara al Comunale di Ferrara

Sabato 28 ottobre, si e' inaugurata la stagione di danza (prime visioni festival) del Teatro Comunale di Ferrara, con BLACK WATER di Saburo Teshigawara e la sua compagnia Karas (Kei Miyata, Rihoko Sato). Teshigawara firma coreografia, regia, luci, costumi, oltre alla selezione musicale con Kei Miyata. Lo spettacolo e' coprodotto dal teatro che lo ha ospitato ed ha la durata ideale di ca. 60'.

Avevo grandi aspettative, dopo il notevole Bones in pages, visto a Venezia nel 2004, e non sono, certo, rimasto deluso, contento, peraltro, di aver stretto i denti e non aver gettato la spugna, dopo una settimana di saltabeccamenti in giro per il Norditalia all'inseguimento di inaugurazioni, praticamente quotidiane, di mostre.

Tornando in teatro, allo spegnersi delle luci, l'attenzione catturata dalle personalita' e dalle azioni in scena, mi sono nuovamente domandato se questa sia una ideale continuazione della danza giapponese, dopo il butoh, da cui, invece Teshigawara, in una intervista, dichiara di staccarsi, ma non si allontana, certo, da una ascendenza dall'espressionismo tedesco, e sappiamo quanto forti siano i legami fra quello e lo stile creato da Hijikata e Kazuo Ohno. E se Teshigawara si sente piu' vicino al nô ed alla cerimonia del te', sappiamo tutti, come, in Giappone, le tradizioni confluiscano l'una nell'altra, senza un'autentica rottura, se non apparente, come per la forza dissacratoria esplosa con il butoh alla fine degli anni '50. Considerando, poi, Ohno uno dei piu' grandi onnagata viventi, e con cio' ritorniamo al kabuki, ed anche, ovviamente al bunraku A proposito, rileggiamo il testo di Kleist sul teatro di marionette

Quindi, un ritorno - non ritorno al butoh, e, comunque, certo all'espressionismo con l'incipit dello spettacolo in penombra, con una tremebonda figura senza volto, uno yeti? Tutto sembra riconfermare le impressioni appena esposte. Che ci siano donne ammantate sara' un caso? Certo e' uno spunto di riflessione anche sulla nostra societa' in trasformazione. Gli episodî si avvicendano. Teshigawara ha un lungo, ipnotizzante solo, ironico ed autoironico in presenza di una figura femminile. Nella semplicissima scenografia, una serie di quinte grigio-argentate dalla linearita' quasi alla Appia. Poi e' la volta di un carillon sognante; ritmi lenti ed onirici, come acquatici, appunto, poi legazioni rapinose ben conscie di Von Laban; secchi, netti i cambi. Il danzatore fa pensare a certe cose di Kreutzberg. Ci sono strane presenze, piccole creature, notturne, pesci di profondita', la nascita di un piccolo mostro che prende subito ad agitarsi.

Il lavoro e' profondo, onesto, sincero, rigoroso. La regia, sorvegliatissima; le luci, perfette; un crescendo di episodî sempre piu' veloci sino alla chiusa finale. Memorabile, senza mai un calo di tensione! Applausi scroscianti, meritatissimi! Una inaugurazione di tutto rispetto!

emilio campanella



ORSI ITALIANI