Le recensioni di Emilio Campanella

Ottobre 2006


ROMANINO - TEATRO D'ESTATE A VENEZIA - POMPONIO AMALTEO - MANTEGNA - TAMARA DE LEMPICKA


ROMANINO

A Trento si e' inaugurata, il 29 luglio, e sara' aperta sino al 29 ottobre, la mostra dedicata al pittore bresciano Romanino. Qualcuno l'ha definita la mostra dell'estate, aggiungendo che il sottotitolo "Un pittore in rivolta del Rinascimento italiano" può risultare desueto e limitativo. Sia come sia, l'esposizione e' da non perdere, intanto perche' l'ultima dedicata a questo artista risale a 40 anni orsono, esattamente, nel duomo vecchio di Brescia nel 1965.

Perche' a Trento, e' presto detto, dato che il nostro aveva desiderio, per varie ragioni, di allontanarsi dalla sua citta', e colse la fortunata occasione della chiamata del cardinale Cles, mecenate di grande levatura, che intendeva "ammodernare" ed ampliare il castello, faccendone, grazie ad artisti "invitati", del livello di Rosso e Tiziano, anche, quell'emozionante edificio, labirinto di straordinarie sorprese, di ambienti collegati, palinsesto di epoche e stili architettonici ed artistici particolarmente "avventuroso".

Diciamo che, per certi versi, l'"esilio" di Romanino, può fare, un poco, pensare a quello di Lotto, e comunque sempre, gravitando attorno alla fortissima calamita ch'era la Scuola veneziana. Quello del bresciano e' un ampio percorso, peraltro, ben esemplificato, in questa occasione con varî periodi e differenti influenze di cui man mano si libera, per subirne altre, e pian piano, farsi un suo stile forte e corrusco che tiene presente tutte queste lezione e le fa sue.

La mostra, il cui allestimento ho visto ancora MOLTO "in progress", alla presentazione, tiene conto del mondo artistico che ruotava intorno a Romanino, e si srotola su di un numero notevole di sale dell'edifico / su varî piani e tra interno e d esterno, permettendo il godimento di sale, corti, giardini, logge, scale in cui si consigliano frequenti e lunghe soste per apprezzare i cicli affrescati da dosso, appunto, come dallo stesso protagonista dell'esposizione. Una per tutte la loggia della corte dei leoni, con al centro, Fetonte alla guida del carro del sole.

Le opere esposte, che compongono il percorso, provengono da molti musei europei, come d'oltreoceano. Tra le tele piu' emozionanti, l'ultima cena dalla chiesa abbaziale di S.Maria Assunta da Montechiari (BS). Un pala d'altare equilibratissima fra la complessa e raffinata natura morta della mensa, e le figure mosse nella conversazione, degli apostoli, lo sguardo lontano del Cristo; in alto, sulla parete di fondo si apre una finestra rotonda da cui si vede un tranquillo cielo con nubi. E' tutto come sospeso, tutto e' tranquillo, prima del grande tragico evento che travolgera' tutti.

Tanti i nomi importanti presenti: da Callisto Piazza, Bonvicino (Moretto), Lotto, Altobello Melone, Tiziano, Savoldo, Gambara. Comprese nel percorso, due sale di disegni importanti, e frammenti di affresco di Altdorfer. A conclusione una sala dedicata al mecenate-committente, Bernardo Cles.

Mostra da non perdere, ed ottimo catalogo, edito da Silvana - a prezzo competitivo - consigliabilissimo.

emilio campanella


TEATRO D'ESTATE A VENEZIA

Quest'anno la Biennale Teatro (la 38° dal titolo: Gozzi e Goldoni europei), ha anticipato le sue date, invece che in coda alla Mostra del Cinema, e subito prima della Biennale Musica, e' stata programmata dal direttore, Maurizio Scaparro, dal 21 al 30 luglio. In questo modo sara' possibile avere una pausa dopo l'indigestione cinematografica, ed in attesa del programma curato da Battistelli, che si presenta molto appetitoso, quanto, e forse piu' di quello della scorsa edizione. La rassegna teatrale ha privilegiato le realta' locali inframmezzate da presenze straniere, anche di grande nome come Il Cafe' La MaMa, alla cui anima: Ellen Stewart, e' stato commissionato un allestimento de "Il corvo" di Carlo Gozzi: uno spettacolo carino, una specie di musical cineseggiante in punta di matita, con i moduli recitativi dell'opera cinese, bellissimi pupazzi, uno straordinario incipit, buona musica, buone voci, abile ed efficace scenografia "virtuale", attori (allievi) volenterosi, ma quanto lontani da certa precisione cui siamo, ormai, abituati da anni, da troupes orientali, tanto per il canto, la recitazione, la gestualita', la danza, l'acrobazia.

In Campo Santa Maria Formosa (il La MaMa era alle Tese dell'Arsenale) in un brutto teatro (una enorme macchia nera) ricavato (costruito?) davanti ad una bella facciata bianca, ho avuto l'occasione non proprio felice di vedere "La Commedia del servitore", del Theatre Bulgarian Army & Theatre Ulitzata, uno spettacolo pasticciato, per la regia di Stefan Moskov, che affastellava Amleto, Arlecchino, Don Giovanni, Don Chisciotte, e qualcun altro, con momenti mortalmente noiosi, e tempi slabbrati. Uno spettacolo vecchiotto, visto che si parla ancora di lire. Qualche immagine gradevole come ispirata a Daumier, ed un Sancho alla Luzzati: un po' poco.

Molto meglio e, peraltro, molto diverso il lavoro proposto da Marcello Scuderi, adattatore e regista, oltre che interprete, con Vittoria Scognamiglio, di "Duetto" (allo spazio Fonderie), in cui un regista teatrale ed una attrice cinematografica tentata dal palcoscenico, hanno una prima prova / provino orientativi e di conoscenza per un eventuale allestimento de "La Locandiera". Un modo di far teatro - ovviamente - da parte di due interpreti in grande sintonia, e, talvolta, veramente molto brillanti, lei in particolare: bella, brava nel gioco fra italiano e francese (con simpaticissimo accento partenopeo pur nell'ottima pronuncia) la produzione della compagnia d'oltralpe: Compagnie Noved Land, e la pie'ce e' quindi, bilingue, la Scognamiglio mi ha fatto pensare ad Anna Buonaiuto, ma anche a Carmen Maura.

Pollice verso, invece, per "Il mondo della luna" di Haydn / Goldoni, poveretti entrambi: il primo diretto male da Silvia Massarelli, alla testa della Accademia musicale di S.Giorgio, cantato peggio (e preferisco tacere i nomi cui appartengono voci tremende). Il secondo che vede il suo testo in una messa in scena assolutamente insensata [coproduzione Gran Teatre del Liceu - Teatre Lliure (Barcellona) Teatro Arriaga (Bilbao)], con cattivi danzatori che distraggono fin dall'inizio, e hanno rischiato anche di far cadere la ballerina (in tre!), alla prima! L'acustica del teatro (Piccolo Arsenale) non aiuta, e non fa che peggiorare l'atrocita' dell'insieme.

Altra aria si respira ne"La buona madre" di Goldoni, per la regia di Stefano Pagin. Aria chiusa, per altro, oppressiva, claustrofobica; altra serieta', altro progetto, molto preciso, di regia. Pagin aggiunge alle prove precedenti, di indubbio interesse, un lavoro molto pensato, prosciugato, quali all'osso: quattro personaggi, tutti bravi gli interpreti (Michela Marini, Stefania Felicioli, Nicoletta Maragno, Alessio Bobbio), che ricoprono varî ruoli e ne evocano altri parlando dalle quinte o verso di esse, Tre intelaiature di porte, un asse da stiro, una pila di biancheria; sono tutte mutande da uomo, come in mutande e, all'inizio, Nicoletto, ragazzetto pupazzo nelle mani di donne tiranniche: la madre e le altre; nell'altro "ambiente" un letto. La visione e' cupa, volendo, maschilista, ma ho anche pensato a certo Lorca. Vero e' che madri possessive ne esistono eccome, e mogli, e sorelle e fidanzate che cercano di gestire il sesso del "proprio" uomo anche e soprattutto attraverso la biancheria intima. Edipo bussa alla porta! Lo lasciamo entrare?.....Ah, e' gia' qui!

Si prevede un buon numero di rappresentazione per la prossima stagione, e spero non mi manchi l'occasione di rivedere lo spettacolo, fra qualche tempo. Complimenti Stefano Pagin, bastera' un piccolo colpo d'ala per liberarsi di qualche influenza che ancora si riconosce, per volare alto e sviluppare una personalita' gia' ben definita.

Terminata la Biennale Teatro, e' iniziata la rassegna "Teatro in campo", organizzata dalla Compagnia Pantakin (premiata, pochi giorni prima, con un leoncino d'oro). C'e' sempre qualche proposta interessante, quest'anno mi hanno tentato due spettacoli: "Sit" del gruppo catalano Tricicle, che era stato in zona una diecina di anni orsono, e mi aveva lasciato un buon ricordo, mentre questa volta, il lavoro, della durata eccessiva di 105', sembrava particolarmente "gonfiato" e si iniziava con un lungo episodio preistorico molto noioso, alternava brani documentaristici legati alla sedia e all'atto di sedersi, dimenticando, pero' quell'elogio dell'uomo seduto ch'e' Kagemusha di Kurosawa! Talvolta lo spettacolo prende il binario giusto, e la lunare follia che contraddistingue il trio prende il sopravvento, tutto all'ombra di una gigantesca sedia (un po' Aldo Rossi), e seggiole, seggiolini, seggioloni ammonticchiati ed in pericoloso equilibrio, oppure nella sedia abbattuta una pie'ce un po' pinteriana che strizza l'occhio a Playtime di Tati. 50' sarebbero stati perfetti!

Grande aspettativa, questa volta confermata, per il bellissimo spettacolo "Shakespeare di Napoli" di Ruggero Cappuccio, con Claudio Di Palma e Ciro Damiano, testo, che, nel medesimo allestimento (per la regia dello stesso autore) sta girando da una diecina di anni senza essere invecchiato, anzi! L'avevo visto, diverse stagioni fa ed ho ritrovato la medesima qualita', la stessa tensione, la stessa emozione in questo delirio del guitto, metateatrale. In poche parole, in una Napoli ammorbata dalla peste, due attori, uno dei quali, morente, evocano ricordi, sogni, incubi, desiderî: Zoroastro ama Desiderio che muore d'amore per l'appestato che lo ha sedotto e contagiato, evocando il "bardo" sbarcato in citta' ed affermando di essere lui il mitico e mitizzato dedicatario dei sonetti.

Gli interpreti sono affiatatissimi, ed in Campo Pisani, dov'era la rappresentazione, e' stato tolto, in questa occasione, il fondale, lasciando a vista, il magnifico muro con elementi decorativi del cortile di palazzo corrispondente all'epoca della finzione scenica.

 

emilio campanella


POMPONIO AMALTEO

A S.Vito al Tagliamento dal 29 settembre e sino al 17 dicembre si puo' vedere una mostra molto accurata, allestita con grande attenzione, ch'e' anche un'occasione per visitare una piccola citta' molto interessante, ben curata e restaurata. Si tratta di Pomponio Amalteo, Pictor Sancti Viti 1505 - 1588, all'indomani del V centenario della morte, e del relativo convegno internazionale. Un maestro 'minore' come si usa dire, non solo epigono del Pordenone, ma, a suo modo, uno dei grandi furlani della epoca, ed inoltre importante per le cariche pubbliche ricoperte. Originario di Motta di Livenza (Treviso), ha molto vissuto e lavorato in questa citta' dove ha concluso il suo percorso terreno. L'esposizione contestualizza tutti questi elementi scommettendo con gli spazî non amplissimi della chiesa di S.Lorenzo dove sono esposte circa 40 opere anche di grandi dimensioni, meta' delle quali, dell'Amalteo, giocando abilmente con pannelli e praticabili, impedendo, e' vero, la fruizione di alcune parti dell'ambiente (gli altari che s'intuiscono notevoli), e lasciando a vista soltanto alcune interessanti pareti affrescate, ma per pochi mesi.

Il percorso e' diviso in cinque sezione, la prima sul protagonista, la seconda sul Pordenone cui si e' sempre molto rifatto, poi alla sua scuola, al contesto friulano, e quello veneto, ma con estrema agilita', insomma, quasi una mostra 'da camera', dopo certe altre 'da grande orchestra', viste recentemente. Certamente 'riposante' perche' piu' intima e concentrativi, e quindi a maggior ragione, consigliabile.

Ha una cifra anche molto sua l'Amalteo, che certuni gli rimproverano, un certo horror vacui che gli fa affollare i suoi racconti, di personaggi che si agitano, ma che talvolta si agitano proprio bene. Ad esempio, le porte d'organo con La cacciata dei mercanti dal tempio (Udine S.Annunziata) in un'accuratissima ambientazione, si veda il sontuoso lampadario, un Cristo inespressivo e convenzionale caccia una folla di personaggi accuratamente ritratti che si muovono disordinatamente (all'estrema destra qualcuno vede un autoritratto, e' che alcuni critici avevano trovato simili a macellai. Mi domando quale grande differenza possano avere i mercanti fra loro, visto che si tratta di un mercato, per quanto in un luogo sacro! In sostanza, comunque, una rappresentazione ricca di colore e movimento.

La sua cifra migliore, Pomponio la trova come frescante, con una capacita' ed una felicita', tanto nell'organizzazione degli spazî, quanto nell'equilibrio dei movimenti delle singole figure, come nell'insieme nel gusto cromatico. Un esempio si ha proprio in citta' nella chiesa di S.Maria dei Battuti, ciclo pittorico praticamente integro anche grazie alle felici condizioni climatiche. Nelle immediate vicinanze, molte occasione di continuare gli incontri con la sua arte. L'esauriente catalogo Skira, nell'ultima parte si occupa dei cicli di affreschi a carattere sacro in localita' friulane.

 

emilio campanella


MANTEGNA

 

Il 2006 puo' essere un po' definito, scherzosamente, l'anno delle abbuffate: siamo ancora in corso con quelle mozartiane, altalenante - come previsto - nelle proposte, che ci arriva addosso quella di Mantegna, solo e tutta italiana, a parte i prestiti internazionali. Ovviamente, piu' contenuta, ma certo, piuttosto impegnativa, visto che coinvolge tre citta' neanche vicinissime fra loro, infatti la manifestazione si chiama globalmente: Mantegna: Un artista per tre citta', tre citta' per un artista. Le mostre saranno aperte sino al 14 gennaio 2007 al Museo degli Eremitani di Padova, al Palazzo della Gran Guardia a Verona ed alle Fruttiere di Palazzo Te, a Mantova. Si tratta di un impegno di tempo, poiche' non e' possibile, ovviamente, vedere tutto in una sola giornata; di costi per gli spostamenti, oltreche' per i biglietti non cumulativi, ma che prevedono solo sconti fra una 'sezione' e l'altra. Sforzo anche muscolare per chi acquisti i cataloghi la cui pubblicazione si sono suddivise tre differenti case editrici: Skira: Mantegna e Padova, una monografia sugli Artisti della Cappella Ovetari ; Mantegna a Mantova e Placchette e rilievi in bronzo dell'eta' di Mantegna ; Mantegna e le arti a Verona, invece da Marsilio, mentre Electa si e' occupata di Andrea Mantegna e i Gonzaga. Rinascimento del Castello di San Giorgio e La scultura al tempo di Andrea Mantegna.

Seguiro' l'ordine delle mie visite, iniziando con Padova e l'emozione del sogno della 'ricostruzione' dell'affresco della Cappella Ovetari: e' solo un sogno, e' vero, ma e' bello sognarlo, immaginando che poco a poco, forse si potra' continuare la ricostruzione, grazie alla base fotografica di Alinari, e cio' anche in altri casi di disastri o grave danni ad opere d'arte. Il percorso nel museo, nel discreto allestimento di Mario Botta, conta notevoli appuntamenti, tanto con il protagonista dell'esposizione, quanto con artisti coevi dalle tematiche affini, soggetti ripresi e scambiati, come i ritratti di S.Bernardino di Squarcione del Poldi Pezzoli, e quello dell'Accademia Carrara, solo attribuito a Mantegna. Straordinario il S.Marco da Francoforte. Il percorso, contenuto e prezioso, vanta anche nomi come Pordenone, Schiavone, Vivarini, Bellini, Marco Zoppo, Crivelli, rilievi di Donatello dalla Basilica del Santo, una scelta di codici ed un ventaglio di disegni anche di Dürer e Pollaiolo.

Al Palazzo della Gran Guardia, bell'edificio arioso e ben restaurato, Mantegna e le arti a Verona ch'e' un po' una mostra 'monstre' che rischia di disperdersi per troppi rivoli differenti e ch'e' imperdibile specialmente per la presenza e la ricomposizione della pala di S.Zeno ch'e', per la verita', un polittico, ricongiunto alla crocefissione (ora al Louvre) della predella, oltre all'analisi spettrografia che ha portato alla scoperta di una data importante per la collocazione dell'opera nella cronologia dell'artista. Curioso il d'apre's di Degas, di una delle parti della predella (da Tours). Notevole la scelta dei disegni, e di incisioni di e da Mantegna. Peraltro il percorso e' affollato di opere anche notevoli insigne ad altre non certo eccelse, e comunque, con un ventaglio di nomi decisamente troppo ampio.

Alle Fruttiere di Palazzo Te, a Mantova, invece, il percorso non e' certo, troppo ampio, e nonostante l'infelicita' dello spazio, meno punitivo di altre volte, e certo molto denso ed emozionante anche per la presenza delle molte opere di Mantegna. Ah, si', c'e' anche il Cristo morto di Brera, che tante polemiche ha suscitato, ma non il S.Sebastiano della Collezione Franchetti alla Ca' d'Oro poiche' ancora in restauro; alcune opere sono in sito nel Museo di S.Sebastiano che ospita anche la mostra sulle placchette bronzee citate sopra. Questo per cio' che riguarda le tre mostre 'sorelle' che con un po' di buona volonta' si potevano, evitando certe dispersioni, ospitare in un'unica citta' poiche', in effetti il percorso e' solo distribuito, ma ha una sua coerenza generale, a ben vedere. Al Castello di San Giorgio, invece: Mantegna e i Gonzaga, una mostra storico-documentaria piuttosto interessante, allestita accanto alla Camera Picta, occasione ghiottissima, indubbiamente, e, poco lontano, oltre un cortile: La scultura al tempo di Mantegna, un bel percorso, ottimamente allestito e illuminato, anche se abbastanza indipendente.

Per chi non fosse ancora stanco: Leon Battista Alberti, alla casa di Mantegna.

 

emilio campanella


TAMARA DE LEMPICKA TORNA A MILANO DAL 5 OTTOBRE 2006 AL 14 GENNAIO 2007

Dopo 80 anni dalla prima esposizione, sotto l'egida di Emanuele Castelbarco (1925), il comune di Milano ospita nelle sale di Palazzo Reale, una monografica della pittrice russa (?) polacca (?), figura di grande spicco degli anni '20 e '30, che si invento' artista all'indomani della Rivoluzione d'Ottobre. Donna di grande bellezza, fascino ed eleganza, oltre ad avere una buona cultura artistica 'di base' nel paese dove visse i suoi primi anni, 'vide', giovanissima, la pittura italiana che lascio' semi che poi germoglieranno grazie a studî attenti ed incontri giusti durante il soggiorno parigino dopo la fuga dalla Russia. Seguira' lezioni che completeranno la sua formazione (Maurice Denis, Andre' Lothe) e le influenze di Pontormo e Botticelli, oltre ad Ingres, daranno i loro frutti, poco dopo con le prime opere presentate e riconosciute ai salons di quegli anni. Lo stile e' quello inconfondibile che conosciamo, che fonde le indubitabili influenze futuriste con l'impianto quasi rinascimentale nei numerosi ritratti. Le figure in primo piano, specie il nudo, piu' frequentemente femminile, e' trattato con sapiente conoscenza della luce, e con speciale concezione dei volumi che hanno appena lasciato le loro primitive, rigide, forme geometriche tipicamente russe per farsi vive e sensuali. Ma i ritratti 'ufficiali', oltre a darci uno 'spaccato' sociale del glamour di una societa' che e' quella dei fragili eroi di F.S. Fitzgerald (e non e' un riferimento casuale), ci mostra sempre figure elegantissime, dagli sguardi affascinanti, obliqui ed un po' 'sinistri': tutte 'belle persone' di cui, possibilmente, non fidarsi troppo.

La mostra, amorosamente curata da Gioia Mori e' divisa in sei sezioni, e nella terza cerca di ricomporre quella del 1925, e di ritrovare l'allestimento di allora in quello attuale. Molte, ma non troppe, le opere scelte, provenienti da tutto il mondo, ovviamente proposte con criterio cronologico, arrivano agli anni '50. Cito un po' a caso, ma anche no: Le baiser del 1922, dalle linee nette, puntute; Femme a' la robe noire del 1923, in cui lo stile e' gia' nettamente riconoscibile ; Portrait de Kizette, 1924 (seguiremo la figlia di Tamara, attraverso i ritratti, sino all'eta' adulta) ; Le double '47' 1924 ca. due 'maschiette post-cubiste', mentre Les deux fillettes aux rubans, 1925, sono due maschiette in erba, ovviamente, molto 'stile 1925' ; Portrait du Baron Kuffner (il secondo marito) 1928, come tutti gli uomini rappresentati, un po' infido, con uno sguardo sfuggente ; La vierge bleue, 1934, e La me're supe'rieure, 1935, risentono molto del realismo magico italiano. L'ultimo periodo perde gradualmente le caratteristiche precipue, quasi non credesse piu' nel suo stile. Una scelta di disegni distribuita fra le varie sale, ci da' prova di una discreta mano. La quinta sezione: percorsi paralleli, i 'neoclassici' italiani, iniziano dallo stesso Castelbarco, con Martini, Casorati, Donghi, Funi, Oppi, Terragni, Trombadori, Wildt, e Cagnaccio di San Pietro, a ribadire l'osservazione fatta sopra.

A completare l'esposizione su questa artista che creava le mode, dalla fortissima personalita', coraggiosamente bisessuale - una che, pero' non si e' consumata nel falo' degli anni ruggenti, come altri, ma ha continuato tenacemente, nonostante anche lunghi periodi di profonda depressione, ad esser se stessa - , numerosi materiali fotografici, cinematografici, oggetti d'arredo, libri, cataloghi, giornali, riviste.

Per me e' stato come reincontrare una vecchia amica conosciuta 30 anni orsono grazie alla pubblicazione dell'ormai storico volume di Franco Maria Ricci.

 

emilio campanella



ORSI ITALIANI