Le recensioni di Emilio Campanella

Settembre 2005


LA BOTTIGLIA VUOTA

LA BIENNALE DANZA 2005

PINA BAUSCH

LUCIEN FREUD A VENEZIA

GIULIANO VANGI A PADOVA


LA BOTTIGLIA VUOTA

di e con Moni Ovadia

Se pensate che ogni spettacolo di MONI OVADIA sia, a modo suo, una sorpresa, avrete in me un acceso sostenitore, anche quando, come nel caso de LA BOTTIGLIA VUOTA, visto a Venezia, in Campo Pisani, il 4/VIII, tutti, credo, ci aspettavamo qualche cosa di molto diverso da questo trascinante affabulatore dalla sferzante ironia. Qualche cosa come il vecchio, straordinario OYLEM GOYLEM. Invece si trattava di due ore e mezzo di conferenza, come al solito, molto coraggiosa e coinvolgente. Un lungo discorso anche maieutico, con la struttura nota, ma questa volta, con pochi interventi musicali per voce e chitarra dello stesso protagonista, ed altri di un organico di altissimo livello composto da Albert Florian Mihai (fisarmonica), Mikita Ion Bosnea (clarinetto), Marian Serban (cymbalon), Emilio Vallorani (flauto). Debbo dire che questa volta la sua straripante, trascinante, tracimante, coltissima logorrea mi ha fatto pensare a Lenny Bruce (non a caso ebreo anche lui!) e che se, dapprima poteva risultare un poco faticoso per il pubblico, questo si e' lasciato vieppiu' travolgere e sedurre, oltreche' interessare date le tematiche, e importanti, e attuali! Forse qualche problema, come dire, di ritmo esterno, forse, che non si sarebbe posto in altra sede, oppure presentando la serata come conferenza/spettacolo, quale, peraltro e'.

Comunque un'occasione di ascolto di molte, MOLTO IMPORTANTI parole, e quanto, in questo momento c'e' bisogno di confronto e di dialogo!

Altra grande capacita' dell'oratore e' quella di mantenere desta l'attenzione, con rimandi, collegamenti, temi che ritornano e completano, qualita' non da tutti, e questa e' indubbiamente di Ovadia, alla quale si aggiunge una naturale facilita' nel concatenare i temi con estrema fluidita' per cui la BOTTIGLIA VUOTA, e', invece, piuttosto PIENA e TRABOCCANTE!

emilio campanella

LA BIENNALE DANZA 2005

La Biennale Danza di quest'anno, affidata a Ismael Ivo (riconfermato anche per il prossimo) si e' aperto con un simposio intitolato come la rassegna: Body attack, titolo stimolante e d'assalto. A conclusione del simposio stesso, la compagnia di William Forsythe ha proposto 'You made me a monster', riflessione, improvvisazione con partecipazione del pubblico (a numero chiuso) sulla malattia e la morte. Questo il 28 e 29 Maggio al Teatro Piccolo Arsenale. Ismael Ivo ha, invece, proposto dall'8 al 12 giugno al Teatro alle Tese, un suo lavoro intitolato Erendira, progetto composito ed ambizioso, ma svolto un po' con la mano sinistra. L'8 ed il 9 Giugno, gli Indios Xavante do Mato Grosso, hanno presentato il loro Ritual Xavante. Un'occasione di rara suggestione per vedere una serie di danze attorno al fuoco, su di un cerchio di terra, con luci sapienti, alle spalle, i possenti archi, sansoviniani delle Gaggiandre. Un rito magico e sacro in cui il cerchio ipnotico dei corpi, il battito ritmico dei piedi svegli la terra quando, dopo un breve momento di sospensione, la direzione cambia; ed ancora con simboliche armi e pitture sul corpo che evocano animali da esorcizzare. Danze antropologicamente interessantissime, intraviste gia' in uno straordinario film di Manoel de Oliveira di alcuni anni orsono: Palabras y utopia.

Assolutamente trascurabile: Compás di Danza Contemporánea de Cuba, il 10 ed 11 Giugno al Teatro Malibran.

Al Piccolo Arsenale, l'11 e 12 Giugno, Ilaria Sacchetta e Daniela Ruggiero (Accademia Nazionale di Danza di Roma) hanno presentato: Fragile; Sergio Antonino (Scuola d'Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano), Millimetri, ed hanno costituito uno dei punti piu' bassi della rassegna.

Al Malibran il 16 e 17 Giugno, Gao Yanjinzi e Luo Lili della Beijing Modern Dance Company, hanno proposto: Jue-Aware, un magnifico spettacolo della durata 'avara' e perfetta di 50' in cui queste due danzatrici sensibilissime, madre e figlia, compongono un discorso equilibrato e concentrativo. L'una, morbida e sinuosa, vola letteralmente nello spazio, l'altra chiusa e compressa in se stessa, si esprime con straordinarie vibratili mani sofferte. Gli episodî si susseguono e vedono confrontarsi il mondo rassegnato della donna matura con quello conflittuale della piu' giovane; il riferimento continuo alla tradizione come di una imperatrice adolescente ed il gioco di una stoffa rossa sacra e rituale sulle luci che delimitano perimetri geometrici sulla scena. Se l'una danza con lunghe maniche come una sacerdotessa T'ang, l'altra vortica, scompare, riappare nei lunghissimi fluenti capelli. Misteri e suggestioni, sino a riuscire a nuotare nella luce, e scomparire e riapparire 'cambiando colore'. Memorabile!

MOLTO meno memorabile: Cobalt-Rouge di Louise Lecavalier e Tedd Robinson alle Tese il 17 e 18 Giugno.

La Compagnia Marie Chouinard ha presentato: bODY_rEMIX/gOLDBERG_vARIATIONS, in prima mondiale, il 18, 19, 20 Giugno al Piccolo Arsenale. Un'idea interessante, stimolante e molto coraggiosa, che non meraviglia, da questa coreografa, una delle poche che in questo momento, faccia una ricerca un poco costruttiva. Di qui, a trovare, si sa, ci passa molto, ma cercare, e tenacemente come in questo caso e' gia' MOLTO importante! Tutto parte da un incubo che ogni danzatore vive: quello della limitazione del movimento, della frattura di un arto, della mutilazione... (gia' Mark Morns, in un lavoro interessantissimo, aveva affrontato il problema in un film progettato con Yo Yo Ma, e su di una Suite per violoncello solo di Bach). Si parte da una presentazione dei personaggi che attraversano, in diagonale, il palcoscenico, con tutte le difficolta', ognuno la sua, per farlo, il coraggio, la tenacia ed il potere terapeutico della danza. Dal punto di vista tecnico, direi che Balanchine e' dietro l'angolo, e tutti usano le punte benissimo, uomini e donne. Le suggestioni sono molte, da quello che sembra un ring d'amore, all'arcinota bagnante di Piazza Armerina. I corpi sono complicati da fantasiose stampelle/protesi, e ci domandiamo se siano di freaks o mutanti, mentre il gioco si fa sempre piu' rischioso e coraggioso. Una delle immagini piu' forti e' una coppia quasi siamese veramente intrecciata, incrociata, intersecato, che attraverso lo spazio in maniera decisamente inquietante, complessa, sofferta (?), ma sicura, come una sfida. Il Bauhaus sembra dietro l'angolo, e con cinque sbarre l'invenzione continua. Unico neo e' l'aver pensato lo spettacolo in due parti, dove la seconda, per quanto ci siano belle cose, e' meno forte, e rischia di far perdere l'efficacia anche alla prima, forse, 60, 70 minuti, invece di 85, e condensando tutti assieme, anche i temi della seconda parte dove una corte dei miracoli del XXI secolo, una specie di Giardino delle Delizie, una serie di oggetti appesi, ed uno straordinario "Galata morente" sono comunque, immagini memorabili, e come si dice sempre: avercene!

Molto stimolante il lavoro di Helena Waldmann: Letters from Tentland, alle Tese il 23 e 24 Giugno. Spettacolo radicale sull'oppressione della donna iraniana (e non solo) preceduto da molte immagini fisse, e corredato da filmati suggestivi, in cui cinque giovani donne vivono dentro piccole tende e danzano, si muovono, vivono senza uscirne ma, estensione dello chador, o peggio del burka, che annulla la persona femminile. Ci sono anche belle immagini, quasi di una danzatrice proiettata come un ectoplasma. Alla fine, queste ragazze, usciranno ed inviteranno le spettatrici, cui offriranno il te', ad entrare nelle loro tende...

Il Ballet de Santiago, il 24 e 25 Giugno, al Malibran ha proposto Cuerpos Pintados y los pájaros de Neruda... una coreografia decrepita, uno spettacolo come se ne vedevano 30 anni orsono, a Nervi, ed era gia' roba vecchia. Una noia mortale ed una compagnia tecnicamente discutibile.

Ancora al Malibran, il 29 e 30 Giugno, Tche'tche' / Be'atrice Kombe (Costa d'Avorio) con Without Reference, circa 35' di cui non s'e' capito il senso.

Al Teatro La Fenice il 30 Giugno e il 1° Luglio Shen Wei Dance Art con Connect Transfer. Accuratissimo, ottime scelte musicali, compagnia di altissimo livello. C'e' un inizio in silenzio, poi episodî lenti ed eleganti, pian piano a coppie, anche bilanciamenti di gruppo e nodi di corpi. Una figura fermissima che poi scivola nello spazio, interessanti contrasti di velocita' sulla medesima musica. Bravi, un buon lavoro con figure portate come dal vento, ed anche come piccoli robot, talvolta. Per quanto si debba dire che in definitiva si tratta della stessa legazione ripetuta sino alla noia, e non basta avere le mani colorate per inventarsi un Pollock sul palcoscenico, per creare qualcosa di nuovo; si tratta solo di effetto, bell'effetto, si', elegante, si', anche come raffinatissimi saluti, ma la perfezione non e' di questo mondo, e la noia, invece, SI'! Insomma, come nel Sacre, anche qui, Shen Wei, si e' incastrato sempre piu', e si e' ficcato, alla fine, in un vicolo senza uscita.

Alessio Silvestrin, alle Tese il 1° e 2 Luglio, presentando Ritrovare e Derivare, ha toccato il punto piu' basso della rassegna.

emilio campanella

PINA BAUSCH

Qualche sera fa, Hollywood Party, uno dei migliori programmi di Radio 3, ha mandato in onda un frammento de LA RICOTTA di Pier Paolo Pasolini, in cui il 'regista' intervistato, alla domanda su cosa pensi di Federico Fellini, risponde: Egli danza..., poi, dopo una lunga pausa ribadisce: Egli danza! Ecco, e' vero, Fellini, talvolta, con grandissima leggerezza danzava, ed, a modo suo, amava la danza, infatti in 'E la nave va...' aveva voluto Pina Bausch per il ruolo della (cattivissima) principessa cieca, nel quale ruolo avevamo rivisto la 'Santa sui pattini a rotelle' come l'aveva definita il riminese, in un ruolo che poteva ricordare l'interpretazione straordinaria in Cafe' Müller.

Pina Bausch e' tornata in Italia (dove, peraltro, viene spesso), e' tornata alla Fenice a vent'anni dal suo festival personale ed a tredici dalla presentazione di VIKTOR, con quello che, senza esitazione, definirei il suo stück piu' bello degli ultimi anni: 'Für die Kinder von gestern, heute und morgen' creato a Wuppertal nel 2002, ed in prima nazionale, appunto alla Fenice di Venezia dall'8 al 13 luglio 2005, dopo un lungo periodo trascorso girando il mondo cercando, e trovando ispirazione. Ritorno a Fellini osservando che questo mi sembra decisamente Amarcord di Pina Bausch.

Ho visto molti lavori del Tanztheater Wuppertal, vecchi e nuovi, alla creazione e ripresi (Ifigienia, Orfeo) e tra i piu' recenti 'Der Fensterputzer', molto intenso, oppure O DIDO e NUR DU, molto fragili, in cui il gioco, ormai noto ed amato della coreografa, risultava prevedibile e scontato, a parte, come sempre, momenti strepitosi, ed una qualita' generale, eccelsa.

Qui invece, veniamo presi per mano (anche no, non e' il caso di prendere il titolo alla lettera) ed introdotti in un mondo (il nostro, poi) di nuances e contrasti, di giochi e crudelta', ma dove tutto e' piu' morbido, ma non meno crudo e cattivo, anzi, forse!

In questo spettacolo tutti sono piu' belli, i giovani uomini in camicia e pantaloni, quelli maturi in abito scuro, le donne con lunghi abiti floreali come di sirena prerafaellite, tutte con lunghi, serici, seduttivi capelli, ma, nonostante questo, e forse anche soprattutto per questo le crudelta' sono piu' crudeli, ma anche gli erotismi sono piu' forti.

Ho avuto la fortuna di vedere il lavoro all'anteprima ed una delle repliche, in modo da fissare nella memoria particolari e riapprezzare cio' che avevo maggiormente amato. La durata e' di circa tre ore, intervallo compreso, e, se la prima parte e' piu' lunga ed impegnativa, e' nella seconda che tutti i temi vengono ripresi e conclusi.

Se altri stücke erano, come dire, per grande orchestra, qui si tratta di un organico piu' piccolo: 'solo' quattordici elementi assortiti fra alcuni di piu' giovani, ed altri 'storici' della compagnia.

Si inizia con una imprevedibile scena di cadute e riprese, da un tavolo, ed una serie di corse con abbraccio e caduta come di due calamite eguali che si respingano di due altri ragazzi (si', avete capito bene, anche nel mondo della Pina, le coppie di uomini hanno spazio... come non dappertutto!). Poi e' la volta di un assolo strepitoso di Dominique Mercy, con la sua solita straordinaria classe. Se la tecnica e' quella cui siamo abituati, di costruire attraverso una fitta episodica, qualcosa e' cambiata nella 'colonna sonora', meno contrastata del solito ed oltreche', come sempre, attentissima, costruita per nuances, con i brani che confluiscono l'uno nell'altro. Poi e' come tutto un volare via girando per il palcoscenico sino a che la parete di fondo della bellissima scenografia di Peter Pabst, che finge una stanza bianca con due porte laterali ed una ampia apertura sul fondo, come un ulteriore boccascena del fondale nero, avanza a ridurre lo spazio, e dopo, ancora, Dominique, lunare, vaporoso, con un tutu' che sembra un enorme piumino (omaggio al solo di Nelken), come un seme-fiore volatile, annaffia qualche cosa quando ogni volta, qualcunaltro lo 'soffia via' letteralmente, come per un capriccio del vento.

Viene portato un castello in miniatura, e tutti a giocare con la sabbia: intervallo.

Alla ripresa i giochi ricominciano, si danza molto, moltisimo, e bene, benissimo, le legazioni sono rapinose e variate, ricchissime di influssi fusi ed amalgamati all'insieme.

Nazareth Panadero e Lutz Förster hanno una storia... si', no, forse, ma a tempo determinato, poi si lasciano... si', no, forse; lei e' felicissima e danza la sua gioia feroce e liberatoria, inframmezzata da pezzi recitati esilaranti e durissimi. Lui resta solo, e siccome tutti ci ricordiamo il suo The Man I love interpretato con il linguaggio dei non udenti, ci offre una danza minima di mani e dita sensibilissime, ed i suoi ideogrammi sono interpretabili a discrezione. Le pareti si muovono, quindi velocemente e silenziosamente, l'ambiente e' stravolto, due armadî cassaforte montati su rotelle vengono spinti ed inseguiti, con le chiavi in mano, ma c'e' una specie di ladro che si arrampica con poco successo, la scena e' reiterata e dinamicissima.

Ma c'e' molto piu' e molto altro in questo affresco affascinante ed emozionante, solo che, ad un certo punto ci accorgiamo che qualche tema ritorna, si ritrova, s'interseca con altri, e sappiamo di avvicinarci alla conclusione... che peccato!

Cosa aggiungere ancora? Che Nazareth Panadero e' un'attrice-danzatrice eccezionale che Julie Anne Stanzak e' bellisima, statuaria, enigmatica, che Helena Pikon e' il fascino fatto persona, che quando Dominique Mercy danza e' un momento irrepetibile, come di un clown bambino e decrepito, un'icona d'interna perfezione.

Ma tutto questo lo sappiamo gia', no?

Ah, si', uno spettacolo che ho molto amato, ma, forse s'era capito!

 

emilio campanella

 

LUCIEN FREUD A VENEZIA

Come ogni estate in cui la Biennale d'Arte apre i battenti, Venezia pullula di mostre e di spazî espositivi che quest'anno sono ben oltre il centinaio, se si considera che i padiglioni nazionali decentrati sono moltissimi; ma ci sono anche altre occasioni piu' o meno collaterali e contemporanee, come le opere su carta di Pollock alla Guggenheim, un Modigliani fra Venezia e Livorno, appena concluso, alla Marciana, e mostra principe dei Musei Civici Veneziani, al Museo Correr, dal 11/VI al 30/X, quella di Lucian Freud.

L'ho presa larga, e' vero, e se sulla imperdibile Biennale, come sull'ottima esposizione di Pollock, tornero' con calma, dovro' ora, affrontare la gatta da pelare che mi sono scelto: parlare di un pittore che non amo, e spiegarne le ragioni, se mi riesce.

Premesso che la mostra e' accurata, ben articolata, ben illuminata, ben presentata, etc... Diro', in primis, che gia' anni orsono, avendo visto alcune opere di Freud avevo, come dire, sospeso il giudizio, in attesa di una eventuale, diversa opinione. L'impressione era che non mi convinceva, mi sembrava abile, ma in superficie. Ora, avendo a disposizione circa 90 opere, l'opinione si e' consolidata e rafforzata. Non mi convince assolutamente, mi piace ancora meno, e' sempre piu' abile, furbo, tecnicamente preparato, ma senza nulla dietro, ho l'impressione di aver gia' visto tutto molto tempo fa, circa un secolo fa se penso Kokoschka e Schiele, per fare solo due nomi.

Tutto fa un po' ribrezzo: i corpi umani, le bestie, gli interni, tutto e' sporco, sordido se ne sente un po' il fetore, ma e' 'fatto' bene, mostrato benissimo, esibito senza emozione, non coinvolge, io per lo meno, rimango molto lontano, non credo a nulla di tutto cio'. In breve mi sembra tutto estremamente falso. Ma ovviamente, altri potrebbero cogliere in senso diametralmente opposto il discorso di uno dei pittori piu' quotati del momento....

 

emilio campanella

 

GIULIANO VANGI A PADOVA

Ancora fino 24/VII, la mostra GIULIANO VANGI, sculture e disegni al Palazzo della Ragione di Padova. Un percorso ampio ed articolato in un allestimento di grande suggestione che si inserisce e convive con la monumentale bellezza dell'immenso salone con grande naturalezza.

Giocato sui toni del grigio chiaro e del rosso mattone, e' come una strada in salita cui si accede entrando e dove sono esposte cinque delle grandi sculture recenti: Uomo e caprone del 2003 in cui le due figure fanno tutt'uno, come una strana bestia ancestrale; Il vincitore, 2004; Uomo e animale, 2004; Ares, 2004; tutti in bronzo ed accomunati da estrema violenza e drammaticita', in cui la materia e' come smangiata e consunta, sfatta e rifusa. Ultimo, in cima alla 'salita': C'era una volta, 2005, scena spaventosa e spiazzante realizzata in resina dove due figure ammantate e stilizzate, l'una armata di sciabola, l'altra che regge un capo spaccato e mozzo di grande forza espressiva. Scendendo per un camminamento laterale in discesa si continua la visita nello spazio ricavato lungo le pareti del salone, s'incontra l'inquietante Donna che ride in alluminio policromo del 1968 e Jacopo del 1979 in bronzo e lega di nichel, una figura strana, ieratica, dal volto intenso e molto caratterizzato e poi, la mia grande passione: Ragazza con cappotto del 1979, negli stessi materiali, una scultura di grande movimento in cui la figura di giovane donna dall'incedere leggero, il volto atteggiato ad un sorriso misterioso, uno 'strabismo di Venere' molto evidente, i capelli fortemente mossi dall'aria, e vista da dietro, con un 'drappeggio' dell'indumento, di grande naturale accuratezza. Nell'insieme molto mi ricorda la Primavera botticelliana. Poi Uomo con il cappotto del 2000, in ebano e bosso, sistemato a capo di un corridoio, ed il cui sguardo misterioso continua a seguirci da lontano. Non elenchero' proprio tutte le opere, ma almeno, Clelia, 1974/78, in marmi policromi, quasi medioevale nei riferimenti e nelle proporzioni; Elena, una bellissima non bella che mi ha ricordato nelle pesanti chiome, qualche cosa di egizio, e' opera del 1980 in marmi policromi, avorio e oro, ed ancora, Auremma, 1987, in marmi policromi dove la figura emerge da un blocco dal colore caldo ed ambrato, ed i capelli quasi non ancora sbozzati ne sono parte.

Ampia ed importante scelta di disegni ed incisioni alle pareti, riferiti alle sculture, e che sono opere a parte di grande forza e qualita' espressiva, siano esse figure stanti, in movimento, integrate nel paesaggio, od in stretta correlazione con le opere a tutto tondo.

La mostra, articolata, come detto, con estrema intelligenza e ben giocata sull'ultimo periodo, e con un percorso, poi organizzato cronologicamente, e' un'ottima occasione per riapprezzare un artista che fa del riferimento all'antico, attraverso la preziosita' dei materiali, una delle cifre caratteristiche del suo lavoro, cosi' come la forza teatrale delle figure rappresentate, e per le ultime opere, come gia' detto, una riflessione di grande forza sulla violenza.

 

emilio campanella