A proposito di cinema...

Recensioni di Emilio Campanella


LA 57A MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA

Non è stata, dal punto di vista organizzativo, una sorpresa, poiché già dallo scorso anno, il direttore Barbera aveva cominciato a muovere molto positivamente le acque.

Il servizio è, dunque, per gli accreditati, almeno, migliorato e anche se noi siamo stati spostati dalla categoria Stampa Periodica a quella Media, inventata subito prima della rassegna, le possibilità di visionatura essendo le medesime, tutto si è svolto tranquillamente. Anche quest'anno il materiale e le immagini si potevano avere senza difficoltà, il personale era disponibilissimo, efficiente e cortese per cui è stato un piacere lavorare.

Il film erano molti, come sempre: MOLTI, non TROPPI, e di eterogenea qualità; ho visto più o meno la stessa quantità di pellicole, e a parte i pezzi specifici che troverete sotto, farò l'abituale excursus/cavalcata, seguendo, questa volta, un ordine cronologico di proiezione.

SPACE COWBOY di C.Eastwood: che dire, un giocattolone tecnologico per astronauti della terza età, tutti simpaticissimi, con menzione speciale per D. Sutherland. Poteva anche essere più roboante, e si attiene, invece a una scelta stilistica piuttosto misurata.

ADANGGAMAN di Roger Gnoan M'Bale: un film ivoriano ambientato nel XVII se. in cui il re del titolo traffica con i mercanti di schiavi vendendo la gente delle tribù vicine. Esteticamente molto curato e forte nelle situazioni di denuncia è solo apparentemente un film storico. Il protagonista (tutti in realtà sono bravi) è lo straordinario Rasmane Quedraogo visto spesso negli spettacoli di Peter Brook.

PALAVRA E UTOPIA di Manuel de Oliveira: forse è il film che più abbia amato di questa mostra ed è l'opera coraggiosa di un grande patriarca ultranovantenne che è finita, nessuno ha capito come mai, in concorso, mentre sarebbe stato molto più elegante un invito tout court visto che poi nessuno se n'è ricordato in sede di premiazioni (VERGOGNA!) vero è che in questi casi: o il massimo premio o nulla, ma data l'importanza dell'autore e del film, io avrei optato per la prima soluzione, nulla togliendo, ovviamente, a quello di Panahi, ma appunto trattandosi di livelli molto differenti, si ritorna da capo !

La durata è di 133' e riesce, pur raccontando la vicenda del teologo portoghese Antonio Vieira, morto 89enne, attraverso i suoi scritti, e quindi ricostruendo la coerente e coraggiosa figura, sempre in conflitto con l'inquisizione a causa delle sue teorie, e con il potere per le sue scelte umanitarie nei confronti dei nativi sudamericani, con soluzioni stilistiche di estremo rigore, pur non mancando mai i riferimenti estetici, ma sempre con la macchina fissa, e quasi esclusivamente in interni, a seguire il percorso del pensiero del protagonista che tiene sermoni, si difende in Tribunale, disserta (straordinario l'episodio romano in cui ha una tenzone dialettica con Padre Gerolamo Cattaneo ­ l'ottimo Renato De Carmine ­ intorno a Teocrito e Democrito, al cospetto della regina Cristina, Leonor Silveira, ovviamente !) legge i suoi scritti, li detta al suo segretario, mentre il tempo di questa lunga vita (in special modo per l'epoca!) trascorre e lui invecchia (sono tre gli attori a ricoprirne il ruolo: Lima Duarte, Luis Miguel Cintre, Ricardo Trespa) sino a essere stremato dagli anni e dagli accadimenti, e questo tempo che passa è anche un'attenta riflessione del decano del cinema mondiale che compone un'opera appassionante in cui quasi nulla accade di fronte ai nostri occhi e chi ci avvince non solo per l'interesse delle argomentazioni, ma per la forza strabiliante che c'è dietro. Consiglio una visione a mente fresca poiché può risultare impegnativo, nonostante l'eleganza formale e l'abituale accuratezza; l'attore, quando Vieira è in Italia, naturalmente, recita in italiano, e ci sono due civetterie d'autore: un fondale volutamente ed evidentissimamente finto e dipinto e un paio d'occhiali con stanghette, forse, non proprio filologiche vezzi di un grande vecchio !

YOU CAN COUNT ME di Kenneth Lornegan: pellicola, per certi versi, tradizionale nella struttura che analizza una situazione familiare disastrosamente esplosa e, a tratti, forse, prevedibile, ma che scava con molta capacità nel carattere dei personaggi e motiva bene le situazioni. Un ottimo debutto anche come direttore di attori (Amy Ryanm Netthew Broderick) compreso un ruolo ritagliato per sé.

DR.T.AND THE WOMAN di R. Altman: una sola parola: senile, nell'accezione peggiore ! Ma posso aggiungerne altre: maschilista, banale, noioso, stilisticamente ineccepibile e totalmente inutile e vuote vi basta ?

BROTHER di Takeshi Kitano: premetto di non amare questo regista, con la sola eccezione del recente "L'estate di Kikujiro" che i kiteniani ovviamente detestano, trovo che sia un esercizio formale sul nulla, pretenzioso e vano oltre a fare la solita apologia della violenza gratuita.

ROOZI KEH ZAN SHODAM (il giorno in cui sono diventata donna) di Marziyeh Meshkini. Opera prima della lodevole durata di 78', esce dalla factory Makhmalbaf e parla, fra le altre, di tre donne: la prima, quella del titolo, è una bimba di nove anni che per il compleanno riceve in regalo, dalla madre, uno chador e si rende conto che la sua vita è cambiata, e per sempre, da un giorno all'altro; la seconda è una giovane donna che decide, costi quel che costi, e il prezzo è molto alto, di partecipare a una corsa ciclistica che marito, capovillaggio, padre, anziani del clan vorrebbero arrestare, fino a che due nerboruti cavalieri la indurranno con molta decisione ad abbandonare la terza figura è quella di una vecchia che, ricevuta un'eredità, decide di comperarsi tutto ciò che ha desiderato durante una vita di stenti e si fa accompagnare al bazaar (ch'è in realtà un centro commerciale modernissimo) e si farà poi portare tutti gli oggetti sulla spiaggia di fronte alla nave con la quale dovrà partire, e desidererà vederli sballati, così che sulla sabbia avrà una sua "sperimentale" casa a cielo aperto dove riceverà, nel suo bellissimo salotto in pelle rossa, due ragazze stanche, reduci da una corsa ciclistica le quali, prendendo il te le racconteranno come la giovane della storia precedente sia riuscita a trovare un'altra bicicletta, ed abbia poi vinto la gara.

Ma l'ora di partire è vicina e su zattere di fortuna, vedremo galleggiare il sogno della vecchia seduta sul letto, e su altrettanti galleggianti, ogni mobile ed elettrodomestico acquistato. Sulla riva, la bimba della prima storia, con la madre, assistono a questa partenza surreale. Forse un po' troppo ricercato dal punto di vista formale, ma indubbiamente forte nell'assunto.

THE MAN WHO CRIED di Sally Potter che fa pasticci, spreca occasioni e attori in un film di rara superficialità che ha belle scene teatrali prese a prestito da Illuminata di Turturro (qui simpaticamente di maniera). Uno spreco particolare è rappresentato da Harry D.Stanton che riesce, nonostante tutto a essere, come sempre, bravissimo; Cate Blanchett ricalca (bene) la Karen Bleck del Giorno della Locusta; Johnny Depp non ha neppure lo spazio per recitare, come non lo ha la protagonista, Christina Ricci. Se esistesse una patente di regia, penso che in questo caso sarebbe da ritirare definitivamente !

KRAPP'S LAST TAPE di Atom Egoyan: un magnifico breve film (58') rigorosamente rispettoso della didascalia beckettiana e che riesce al contempo inventivo; strepitoso il protagonista (vedi foto).

DOLCE di Alexander Sokurov: rigorosissimo esercizio formale in B/N a macchina fissa su dolore e follia.

NOITES di Claudia Tamaz: analizza situazioni di disagio sociale fra giovanissimi tra droga e malattia con indubbio e lodevole rigore formale molto portoghese, ma con un certo sapore di déja-vu.

Di BEFORE NIGHT FALL parlo più diffusamente sotto.

POSSIBLE WORLDS di Robert Lepage è una vicenda, affrontata con algida eleganza, e che ricorda da vicino il vecchio "je t'aime, je t'aime" di Alain Resnais e altre storie su spazio, tempo, memoria, realtà ed illusione, anche molto meno abili in cui l'icona Tilda Swinton è ripresa in un assoluto nitore fotografico e splendore scenografico.

LIMA di Stephens Frears si salva grazie al piccolo Anthony Borrows (tutti gli attori sono bravi) ma è un film costosamente falso, vecchio e prevedibile.

CHRISTUS (1916) di Giulio (cesare) Antamoro è una roboante agiografia restaurata e con musica dal vivo che mi interessava giusto per il gusto dell'archeologia del cinema, ma in quegli anni veniva girato ben altro!

SUD SIDE STORI di Roberta Torre è come Tano da Morire, ma peggio, dato ch'è praticamente uguale, ovvero una minima variazione sul tema, con la medesima formula di cui non si comprende l'utilità; per fortuna le ragazze africane sono brave, belle e simpatiche.

FREEDOM di Sharunta Bartas mi ha affascinato per la carica drammatica delle situazioni poco o punto chiare e i rapporti misteriosi e violenti fra i personaggi sperduti in mezzo a una natura ostilesecondo alcuni il suo cinema è sempre uguale, non avendo riscontri non posso che aspettare l'occasione di visionare altre sue cose.

Di DAYEREH e O FANTASMA parlo più diffusamente a parte.

Alla prossima mostra, o forse prima se l'ottimo Barbera ci farà un'altra bella sorpresa fuori stagione , come quella della magnifica retrospettiva della primavera scorsa, sul cinema balcanico (La meticcia di fuoco).

Emilio Campanella


Before night falls di Julian Schnabel

Julian Schnabel, artista figurativo si produce i film grazie alle opere che vende e per la seconda volta arriva alla Mostra di Venezia (dopo Basquiat) e oltre a presentare un film piuttosto interessante si porta via due premi: il Gran Premio della Giuria e la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile al protagonista Javier Bardem che l'ha più che meritata.

Ben lungi dall'essere un'opera perfetta, Before night fall, si direbbe un tentativo abbastanza sincero di raccontare la storia del dissidente cubano Reynaldo Arenas, con un certo distacco e di costruirne una "biografia poetica" non scevra da prese di posizione, però, molto decise quando si tratta di denunziare un regime che ancor oggi degli omosessuali farebbe polpette (non peggio di altri che, al di là delle apparenze, lo fanno appena possono).

Vediamo un bimbo poverissimo, poi un giovane, brillante studente, un letterato che inizia ad avere dei riconoscimenti e che nel contempo scopre e vive intensamente il suo amore per gli uomini e non resiste ad alcuna tentazione; intanto c'è la rivoluzione con tutta l'euforia di quei momenti, le situazioni ambigue: la scena notturna in cui il gruppo di ragazzi, per lo più nudi, viene sorpreso dai militari, uno dei quali sfida/viene sfidato da Reynaldo in un confronto dialettico all'ultimobacio, poiché quando sembra ormai chiaro che finirà in un pestaggio e il nostro si fa avanti per baciarlo, l'altro con uno sguardo durissimo risponde a quel bacio nella maniera più appassionatasogni ? forse, come quando, precipitata la situazione, il protagonista si ritrova in un carcere allucinante (anche chiuso a lungo in una specie di armadio claustrofobico) riesce a far uscire dalla prigione un suo romanzo, grazie alla collaborazione e alle capacità del travestito Bon Bon, un inedito Johnny Depp che ricopre anche il ruolo di un ufficiale crudele e deduttivo che nell'immaginario del prigioniero si palpa interrogandolo con un'ambigua torrida seduttività che riporta immediatamente a Genet sogni ? sicuro, come quelli del francese che vedeva corone di rose bianche al posto delle catene dei suoi compagni di sventure.

Bardem dimostra una sensibilità non comune nel costruire il suo personaggio, trovandogli delle morbidezze e delle fragilità pur nel suo comportamento e aspetto virili.

Il film si conclude con una parte più sintetica ambientata negli U.S.A. dopo l'agognata fuoriuscita, mostrando l'aspetto molto cupo della sua vita di apolide fino alla malattia e alla sua graduale estromissione dalla società sino alla morte sulla quale il regista, per sua stessa ammissione, come per gli altri episodi, lavora di fantasia.

Un film non completamente equilibrato nella struttura, ma molto intenso, fotografato con colori saturi per la parte cubana, con luci, invece, più fredde in quella americana.

Di rilievo Sean Penn e fra gli altri Jerzy Skolumowski e Hector Babenco. A voler dire, forse una decina di minuti in meno non sarebbero male.

Emilio Campanella.


Dayereh (il cerchio) di Jafer Panahi

Dei due film presentati alla Mostra (l'altro è Roozi keh zan shodem ­ Il giorno in cui sono diventata donna di Marziuyeh Meshkini) non so quale sia il più bello ma so quanto dolore per la condizione della donna l'uno e l'altro denuncino.

Confesso che pur trattandosi di un film ben lungi dall'essere perfetto, ne sono rimasto colpito e commosso e ho esultato dentro di me quando ha ricevuto il massimo riconoscimento.

Anche quest'anno sembravano sul filo di lana un'opera cinese e una iraniana, poi contrariamente alla scorsa edizione quest'ultima l'ha spuntata mentre Platform di Jia Zhangke è stato messo nel più oscuro dimenticatoio.

Struttura ciclica, come dal titolo, una forma ormai molto collaudata e seguita in questi ultimi anni, quella di concatenare un personaggio all'altro, ci mostra il durissimo destino di alcune donne uscite dal carcere (alcune, capiremo dopo, fuggite) e detenute per ragioni a noi ignote, ma ad occhio e croce, per motivi con tutta probabilità ben poco comprensibili dal nostro punto di vista; si scontrano con un sistema maschilista durissimo che impedisce loro qualsiasi possibilità di movimento; ho quasi l'impressione che le donne greche del V secolo a.C. fossero un poco meno oppresseed è tutto dire ! Le disavventure sono molte: dalla nascita di una bambina, considerata la più totale disgrazia, a un rientro in famiglia a rischio di linciaggio da parte dei fratelli chiamati dal padre, al fallito tentativo di aborto impossibile a causa della (ovvia) mancanza di approvazione dei parenti e del padre del nascituro, giustiziato nel frattempo, all'impossibilità anche solo di comperare il biglietto per un autobus autostradale.

E pian piano il cerchio si chiude comprendendo ulteriori disperazioni come quella della povera madre che tenta di "abbandonare" la sua bambina davanti a un hotel internazionale nella speranze che venga "raccolta" da qualcuno che le offra una vita migliore. Poiché la sua è veramente grama, e potrebbe diventarlo ancor più quando al terzo tentativo di quello, accetta di salire sull'auto di un uomo (che là equivale a darla via !) che si rivela poi oltreché un grigio barbuto bellissimo come tutti i maschi del film ­ vedi i militari, come da foto di scena - un commissario di polizia che l'ha praticamente già arrestata !! Per sua fortuna poco più avanti altre forze dell'ordine hanno fermato un'auto con una coppia "equivoca": un uomo con una prostituta; e quello a chiedere perdono, a dire che non l'ha mai fatto, che ha famiglia, e che non ci ricascherà mai più, e che è colpa di lei fino a riuscire ad andarsene, mentre grazie alla distrazione generale, la povera madre scompare dietro un angolo di strada mentre, ovviamente, la donna pubblica (?!) rimarrà lì, bella coraggiosa, con la ciocca di capelli che esce dal foulard, per la quale verrà aspramente rimproverata, e il trucco degli occhi, e il rossetto e la voglia di fumare continuamente repressa dagli altri una donna come tante, qui da noi !

E sono gli occhi di questo bel viso un po' neorealistico a guardare la città dal furgone cellulare, e poi a incontrare, in una cella, con un bel pianosequenza finale gli sguardi di molte delle donne le cui storie abbiamo incrociato via via durante il film.

Film fatto di 'poco', con attori, per la maggioranza presi dalla strada, come si diceva una volta, costruito con scene girate, apparentemente, senza ricercatezza formale, e però con un chiaro scopo di denuncia.

Il regista, peraltro un bellissimo quarantenne, al suo terzo film, dopo il palloncino bianco e Lo Specchio, può ben figurare accanto ai maestri della cinematografia del suo paese.

Emilio Campanella


O Fantasma di Joso Pedro Rodriguez

Credo di averne sentito parlare male al 95 per cento, forse più, anche se, secondo me, è un film che può rivelare qualche piega di interesse e una sua, probabilmente involontaria, tragica ironia di fondo che permea i 90' di proiezione.

La costruzione è a modo suo "classica" e ciclica, partendo, infatti, da un episodio per tornare a quello stesso, in sottofinale, attraverso un lungo flashback durante il quale il giovane regista (34enne) fa un involontario dei desideri/feticci/ossessioni sessuali nei quali il suo protagonista (e lui stesso, pare, dalle interviste) è imprigionato. Vero è che se fin dalla prima immagine abbiamo una scopata in primo piano fra un personaggio in lattice e un giovanotto, non si capisce quanto, dissenziente, tutta la vicenda è costellata di episodi un po' da addetti al lavori, ma sarebbe ora che anche la nostra sessualità avesse il suo spazio, visto che noi ci sciroppiamo quella etero da decenni !

Fatto sta che alla prima proiezione per la stampa le fughe e i commenti strabiliati sono stati molti (divertente anche la sala, quindi).

In due parole: Sergio, operatore ecologico si muove nel suo mondo, ovviamente, per lo più notturno e ha una strano rapporto triangolare con una bellissima collega e con l'amante di lei (mozzafiato) ben poco chiaro; a parte ciò non si fa mancare ­sessualmente- nulla, ma citando "Niente baci sulla bocca", infatti si va dal bellissimo episodio del poliziotto ammanettato e masturbato in macchina (lo rincontrerà varie volte) alla scopata contro un cancello, alla fellatio in un cesso (senza nessunissimo velo) alle avventure in terrazza con un bonazzo più che appetitoso, fino a un'insana passione per un motociclista che neppure lo vede e questo lo porterà alla perdizione trasformandolo nel personaggio notturno del titolo (ma non era già un fantasma tra lavoro 'nell'ombra' e profonda solitudine esistenziale ?), mostro inguainato in latex nero (non certo in lurex, come ha scritto una signora su non so più quale testata !) che lo rapirà per poi abbandonarlo, appena resosi conto dell'impossibilità di esserne corrisposto (banale, però, come le prevedibili mutande trovate nella sua spazzatura ed erette a inevitabile feticcio) ciò che lo porterà a perdersi in mezzo a montagne di rifiuti diventando uno dei tanti mostri che hanno la loro origine nella letteratura gotica, nei 'cattivi' del cinema degli albori fino ai personaggi della MARVEL e oltre.

Emilio Campanella




... e dintorni


Beuys e Kiarostami alla Fondazione Bevilacqua La Masa

La recente, giovanile, gestione della Fondazione Bevilacqua La Masa, ha molto movimentato la vita di questa storica istituzione veneziana; basti pensare che solo il bellissimo spazio in Piazza San Marco si è arricchito di due sale liberate spostando altrove un archivio, mentre è stata aperta al pubblico la sede di Palazzo Tito a S. Barnaba, così da avere due esposizioni in contemporanea, sempre, talvolta MOLTO, interessanti, come quest'estate che ha ospitato sotto le Procuratie "sei stanze per Beuys" una mostra omaggio a un artista scomparso troppo presto, e il cui 'impegno' su vari fronti, continua attraverso oggetti, materiali, documentazioni, fotografie di performances, video e testimonianze di installazioni, a toccare corde profonde e a suscitare discussioni ed emozioni, come a irritare altri, con le sue nette prese di posizione.

A Palazzo Tito, invece, in concomitanza con la Mostra del Cinema, una magnifica scelta di fotografie di Abbas Kiarostami ch'è tutto un percorso estetico e spirituale attraverso immagini come fotogrammi fermati, inconfondibili per chi ami il suo lavoro cinematografico.

Paesaggi concentrativi, spazi e orizzonti che evocano silenzi e suoni come di vento. Molto spesso alberi solitari su colline, crinali con luci contrastate, lontani, piccoli animali (un uccellino o un cane nella neve), strade deserte in mezzo ai campi - strisce d'asfalto nella desolazione - , rarissime e lontane le presenze umane, a ben guardare rumorose, come i due uomini in lontananza in sella a una motoretta: lo spernacchiare del motore in mezzo alla più totale e sperduta solitudine della natura.

Emilio Campanella

 

 

 

 

 


 


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