ORSI ITALIANI MAGAZINE


Diario di una recluta (prima parte: il viaggio)

Un racconto di Ste

 

Il fischio del treno, che stava entrando in stazione, mi fece sobbalzare l'anima, sperduta nel cuore della tenebra di una mattinata buia e nebbiosa di gennaio e la luce, dagli scompartimenti interni delle carrozze rischiaro' di lampi il marciapiede del secondo binario. Vidi attorno a me altri giovani con lo zaino in spalla, infagottati nei piumini e nei cappotti imbottiti che saltellavano alternativamente da un piede all'altro per scaldarsi, si fumavano forse la loro prima sigaretta della mattinata, cercavano di comporre sulla tastiera dei cellulari l'ultimo messaggio da uomini liberi, diretto alla ragazza o all'amico del cuore.

Qualcuno passeggiava semplicemente, nervosamente, cercando di ripensare a tutto cio' che aveva preso con se o aveva dimenticato di portare, altri perfetti sconosciuti parlottavano fra di loro, come se si conoscessero da anni, qualcun altro stava gia' adocchiando i numerosi posti liberi da occupare.

Alle cinque della mattina, in un inusuale, irritante, perfetto orario, il treno freno' rumorosamente e noi ci accingemmo a salire. Una energica spinta mi fece quasi affondare il viso tra le due belle natiche rotonde del giovane uomo che mi precedeva. Montava sugli scalini del treno divaricando le gambe, arrancando con forza. Non mi dispiacque affatto questo incontro ravvicinato, anche se avrei preferito scontrarmi piu' con il suo davanti che con il suo didietro. Mi sarebbe comunque piaciuto vedere e toccare i muscoli delle sue cosce mentre si tendevano e si contraevano nello sforzo che stava compiendo. Purtroppo i jeans che indossava mi impedirono di dipanare la mia curiosita'. Osservandolo meglio, seduto dall'altra parte del corridoio, sul sedile di fronte al mio, con quei bei capelli a spazzola ingellati e appuntiti, le labbra carnose, in movimento per una gomma da masticare alla menta fra i denti, gli occhialini scuri calcati sulla testa, pensai che fosse troppo giovane per i miei gusti, anche se ad un bel culetto imberbe, ad un pisello tosto, non ho mai detto di no. Un paio di sere prima mi ero fatto fottere da un bel signore sui cinquanta, conosciuto in discoteca e che mi aveva pagato anche bene. Un momento: non prendetemi per una 'di quelle'. Di solito non mi faccio pagare, ma l'uomo, atletico e vigoroso e piuttosto ben fornito anche in mezzo alle gambe, mi disse che ero stato la piu' eccitante puttana che si era trombato negli ultimi mesi e mi sgancio' un bel bigliettone verde da 100. Mi ero impegnato, lo ammetto. Dopo averlo spompinato un po', per farglielo diventare bello duro e lubrificato, mi feci scopare a smorzacandela e mentre i nostri addominali strisciavano gli uni sugli altri, attorcigliandoci i peli a vicenda, gli leccavo i capezzoli che andavo a stanare sul petto corvino e bello sodo. Volle assaggiare la mia sborra ursina spompinandomi per dieci lunghissimi minuti e poi restai a casa sua fino alla mattina dopo, dormendo abbracciato a lui, assaporando il profumo del suo corpo. Ero felice e soddisfatto e l'idea di vivere per un anno a stretto e intimo contatto con tanti altri maschi, mi rendeva impaziente ed euforico. Quella mattina pero' ero preoccupato. Non per le storie che avevo sentito raccontare da entrambe i miei fratelli piu' grandi, cioe' delle sevizie che le giovani reclute erano costrette a subire nei primi mesi di naja: cera di candela lasciata gocciolare sulla cappella e sui capezzoli, penetrazione con il manico della scopa e da tutte gli altri atti comunemente ed erroneamente definiti 'nonnismo'. No, ero preoccupato forse dei pestaggi, di cui temevo essere la vittima prescelta. Sicuramente in un ambiente come quello militare che fa della mascolinita' il valore principale, tanto da dirsi che 'un uomo non puo' definirsi tale se non ha fatto il soldato', un frocio come me, orgoglioso di non nascondersi, anche se non mi sono mai vestito da donna ne' ho mai sbattuto in faccia alla gente la mia natura, puo' essere l'oggetto accentratore di tutte le paure, i sospetti, il disgusto, l'odio che sono alla base della violenza. Forse il mio aspetto ursino che, oltre la stazza, si palesava nell'abbondante peluria rossa che spuntava dalla camicia, avrebbe disatteso l'archetipo del culattone come lo si disegna nelle caserme: effeminato, vocino da evirato, con i mignoli alzati, glabro e con movenze femminili. Quale coraggioso temerario, vedendomi caricare sui campi da rugby o faticare in palestra, avrebbe scommesso un centesimo sulla mia omosessualita'? Forse sarei stato fortunato in quell'anno che stava per cominciare, forse avrei incontrato altri finocchi come me con i quali divertirmi un po' o sui quali si sarebbero concentrate le attenzioni dei piu' violenti. Io dall'alto del mio metro e ottantacinque e dei miei 103 kg di muscoli sarei stato visto come uno di quelli da lasciare stare, forse uno di quelli che non cercavano guai ma che sarebbe stato pronto a portarne per difendere i piu' deboli. Infatti la mia bonta' d'animo unita alla mia ricerca quotidiana del contatto e dello scontro fisico con maschioni come me, mi aveva prima portato a frequentare le palestre di lotta greco-romana fin dai tempi del liceo e poi i campi da gioco, per il solo piacere di misurare il mio corpo con quello di altri uomini. Non fui mai attaccabrighe, ma non mi sottrassi mai a nessuna sfida, specie quelle che avessero comportato scontri tra uomini, armati solo di voglia di divertirsi. Nulla nel mio fisico mi ha mai preoccupato o intimorito, ho sempre portato con orgoglio il mio pelo rosso fin dai diciassette anni e anche se non possiedo una spada da cavallo, il mio amico qua sotto era ed e' ben proporzionato, ben utilizzato e sempre ben coccolato, in mancanza d'altri, da me stesso.

Ero deliziosamente impegnato a pensare agli affari miei (o ai cazzi miei e soprattutto altrui!!!), quando dal fondo del vagone comincio' ad avanzare ondeggiando un ragazzone che poteva avere la mia eta'. Aveva un bel testone rasato, un pizzetto appena accennato che mimetizzava egregiamente il doppio mento. Indossava una giacca a vento che lo faceva somigliare ad una mongolfiera. La cerniera era aperta e il suo maglione di lana rosso vivo distraeva la mia attenzione dal volto morbido ma severo e la concentrava sulla pancia rotonda e prominente. Dall'orlo inferiore del maglione spuntava un lembo della camicia scozzese che indossava. Non era alto, forse 1,70, ma era molto ben fatto. Se fosse stato coperto di peli sarebbe stato il mio tipo ideale. Lo fissai da quando entro' fino a quando mi passo' accanto per accedere al vagone successivo. Guardava a destra e sinistra, come se cercasse qualcuno che non trovo'. Mi passo' accanto. Anche il suo odore mi piaceva. Puzzava di maschio, o piu' precisamente aveva addosso un misto di leggero sudore e amaretto. Il mio uccello stava gia' dando segni di interesse, ma lui passo' troppo in fretta, senza degnarmi di uno sguardo.

Il treno correva velocemente verso sud. Era ora di dare un'occhiatina in giro. Mi alzai in piedi per togliermi la giacca e intanto osservai cio' che potevo. Nella fila di posti accanto alla mia, verso la coda, erano seduti due ragazzi. Uno leggeva un libro. Ecco, pensai, un noiosissimo finto intellettuale che conosce vita, morte e miracoli dei piu' grandi scrittori della nostra letteratura ma che se dovesse esprimere una opinione personale direbbe solo un sacco di cazzate o sciorinerebbe a memoria le opinioni di qualche critico. L'altro, quello che era rivolto con il viso verso di me, sembrava che di libri non ne avesse mai letti in vita sua. Capelli rasati, una shirt nera e sanguinolenta, con teschio e croci celtiche sotto un giubbotto in pelle e borchie. Jeans neri e catenelle, anfibi ai piedi. Un gran bel pezzo di ragazzo, sui venti-ventidue al massimo. I suoi occhi verdi mi fissarono intensamente, tanto che perfino io non riuscii a sostenerne lo sguardo. Appesi la giacca al gancio e mi rimisi a sedere. Ripensai alla sua corporatura massiccia, a quelle gambe aperte fra le quali affondare il viso e placare la mia sete, il piede sul sedile a sfidare l'autorita' dei controllori, mentre l'altro ginocchio ondeggiava e lui ci tamburellava sopra con le dita. Aveva un walkmen e anche dalla mia distanza si capiva che razza di musica stesse ascoltando. Un bel barbaro cazzuto. Mi sarebbe piaciuto provocarlo un po'. Approssimandoci a Piacenza, ripensai agli anni della mia infanzia, prima che il lavoro di mio padre costringesse l'intera famiglia ad emigrare nella metropoli. Ero molto stanco, forse mi assopii per qualche minuto perche' mi ridestai appena il treno freno'.

A Piacenza salirono altri ragazzi. Quello doveva essere il mio scaglione, il dodicesimo '94. I piacentini erano piu' chiacchieroni, fra di loro probabilmente si conoscevano e il vagone comincio' a ravvivarsi. Scherzavano, ridevano, canticchiavano canzoni da caserma, forse imparate dagli amici congedati.

Ad un certo momento, mentre ascoltavo le chiacchiere di due ragazzi, mi corse l'occhio lungo il corridoio fino ad una spalla ed un braccio nerboruti, coperti da un maglione di lana verde. Il braccio apparteneva ad un maschione dal petto molto ampio, dall'addome piatto e con due gambe massicce, ben aperte, vestite di calzoni in velluto chiaro. Fra le gambe aveva un bozzo che definire enorme e' limitativo. O ce l'aveva in tiro ed era una erezione incontenibile o doveva avere sotto un manico e due palle sproporzionati. Sollevai lo sguardo al suo viso e sotto quei capelli a spazzola riconobbi Gianni, il mio vecchio compagno, l'ultimo cioe' l'unico amico che abbracciai prima di lasciare la scuola e sulla cui spalla, all'epoca molto differente da oggi, riversai calde lacrime di dolore.

Ero emozionato e indeciso. Si ricordera' ancora di me? Ero fortemente tentato di alzarmi e andare da lui, salutarlo, abbracciarlo, ammirare il fisico che si era costruito in tutti questi anni. Non sapevo dove guardare. Mi attirava il suo pacco. Mi sembrava di percepire l'odore di quel cespuglio riccio, l'aroma del suo attrezzo. Cominciavo a detestare le ragazze che lo avevano avuto, ad invidiare il piacere che avevano provato a succhiarlo, a prenderlo fra le gambe, a farsi toccare da quelle mani forti e ossute, a lisciare i loro polpacci su quella schiena e quelle natiche muscolose mentre guaivano di piacere. Lo guardavo e non vedevo piu' il timido e remissivo ragazzino con cui giocavo, con il quale sfogliavo i giornaletti e ci si toccava insieme davanti a quelle fotografie. Che buffo. Pensando al passato mi ricordai del fatto che i giornaletti li sfogliavo per vedere i maschioni in divisa da poliziotto o vestiti da pompiere o da manovale, non per quelle sgualdrinelle con le tette al vento che si facevano sbattere da quei cazzi enormi e sempre pronti all'uso. Che cosa avrei potuto dirgli? Magari non mi avrebbe nemmeno riconosciuto. Mentre ero assorto in questi pensieri, lui mi guardo', mi riconobbe immediatamente e sollevo' la sua forma massiccia raggiungendomi sorridente.

Io non ebbi la forza di dire nulla mentre quel pacco sporgente si avvicinava a me. Il suo bacino ondeggiava deliziosamente, si metteva di profilo per riuscire a passare nel corridoio e cosi' facendo mi dava l'occasione di ammirarlo da ogni angolatura. Credetti di morire. Mi alzai in piedi allargando le braccia. Lui fece la stessa cosa e un istante dopo le nostre braccia cinsero due orsi massicci e muscolosi, le nostre mani picchiarono violentemente su schiene che avrebbero trainato il treno stesso. Il suo volto velato di uno strato di barbaccia dura sfioro' ripetutamente il mio collo, mentre gli occhi gli si inumidirono.

-Non posso crederci!!!! Ste. Sei tu!!!! come stai?-

-Gianni!!! Quanto tempo!!!! Io sto bene e tu?-

-Vieni anche tu a C.?-

-Eeehhh!!!! Mi tocca!!!-

Ci sedemmo di fronte. E fu come se ci fossimo lasciati il giorno prima. Parlammo delle nostre occupazioni, dell'impresa di costruzioni del padre che si era spaccato la schiena tutta la vita, lo aveva fatto diventare geometra e impiegato presso di se e desiderava per lui un futuro da ingegnere. Purtroppo la voglia di studiare non l'ebbe mai e lascio' dopo quattro anni, dopo avere dato quattro o cinque esami con il minimo dei voti. Io gli parlai di me, della mia laurea in Economia fresca fresca, del lavoro in banca che ero stato costretto a rifiutare per partire a fare il soldato, della mia passione per il rugby.

-E la figa?- Mi chiese.

-Sono rimasto a quelle che guardavamo sui giornaletti da bambini.- In realta' avevo anche scopato con qualche ragazza, ma il tutto si era limitato ad una sporadica novita', per quanto piacevole.

-Cosa??!!! Non dirmi che sei vergine a 25 anni!!!-

-No, vergine non lo sono piu' da parecchio.-

-Scusa non ho capito. Non sarai mica...- E lascio' la frase a meta' solleticandosi il lobo dell'orecchio.

-Frocio?- chiesi sorridendo.

Il giovane di fianco a noi smise di masticare la gomma e si volto' dalla nostra parte, cercando di dissimulare la sua attenzione alla mia risposta.

Gianni resto' muto e con la bocca aperta, in attesa che io mi spiegassi.

-Si, lo sono, mi piacciono gli uomini, ci vado a letto e mi piace un sacco.-

Gianni era rimasto a bocca aperta, il giovane sorrise e si volto' dall'altra parte fingendo interesse alla campagna parmense che emergeva sonnacchiosa nella luce dell'alba.

-Ma vai a cagare!!!! Mi stai pigliando per il culo!!!!- Ma lo disse con poca convinzione.

-Mi dispiace Gianni, non volevo imbarazzarti, ma e' la verita'.-

-Ah! Mi dispiace.- Disse quasi sottovoce, visibilmente imbarazzato.

-E perche'? A me non dispiace, io sono felice cosi'.-

-E da quando lo sei diventato?-

-Credo di esserci nato, poi ne ho preso coscienza.-

-Non mi sei mai sembrato frocio. E anche adesso non lo sembri.-

-Forse perche' la giarrettiera l'ho lasciata a casa insieme alla parrucca platinata e i tacchi a spillo.-

Gianni si chiuse in un silenzio imbarazzato e imbarazzante, guardo' fuori dalla finestra per qualche secondo.

-Beh, io adesso torno a sedermi con gli amici laggiu'. Ci ribecchiamo dopo magari.-

Annuii senza proferire parola e senza guardarlo tornare al suo posto.

Per tutto il viaggio non lo rividi seduto al suo posto, si era spostato lontano dal mio sguardo. Lo capii. Avevo gia' visto un comportamento simile, capii l'imbarazzo che provava. Forse si sara' sentito oggetto della mia libidine. Si sara' vergognato di essersi masturbato insieme a me, di avere fatto la doccia con un frocio ai tempi della scuola.

Sarei falso a negare di averlo desiderato poco prima, a negare di desiderarlo ancora nonostante il suo disprezzo muto ma assordante.

Durante il percorso all'ora di pranzo sgranocchiai svogliatamente un panino. Gianni era l'unico amico che avevo incontrato e adesso cominciavo a temere che sarebbe diventato il mio peggior nemico. Si sarebbe sentito tradito, ingannato, usato. Forse la sua delusione ed il suo sconcerto si sarebbero arrestati allo stadio di freddo distacco, di impietoso disinteresse. Forse non sarebbero diventati odio e rancore.

Anche Bologna e Firenze diedero il loro contributo di maschioni alla causa. Ci fu un toscano in particolare che attiro' la mia morbosa attenzione. Si sedette accanto a me, insieme al suo amico.

I toscani hanno la prerogativa di farmi eccitare solo a sentirli parlare. Una sabato ci scontrammo con la squadra della citta' di P., molto forti a rugby. Fra di loro c,era un attaccante di cui non ricordo il nome, forse perche' mai ce lo scambiammo, ma di cui ricordo ogni espressione, ogni parola, il colore intenso dei suoi occhi turchini ed il profumo altrettanto intenso del suo corpo sudato. I suoi ricci castani che parevano scolpiti da Michelangelo erano bagnati, schiacciati sulla bellissima testa dall'elmetto di cuoio, gocciolanti sulle spalle. Durante uno scontro, una mia violenta ginocchiata al ventre lo fece piegare in due. Lui fini' in infermeria, io in panchina fra le maledizioni e gli insulti meritatissimi, lo ammetto, del pubblico. Il Mister mi garanti' una severa punizione e mi spedi' negli spogliatoi. Io volevo vederlo, volevo essere con lui, volevo lui e questa insperata coincidenza me ne diede l'opportunita'. Mi recai in infermeria. Lui si stava sistemando il sospensorio, il suo unico indumento e io vedevo le sue bellissime natiche umidicce e muscolose, incorniciate dai tiranti della conchiglia che aveva sul davanti.

-Sono venuto a vedere come stai.- Lui si volto' di scatto e aggrotto' le sopraciglia.

Dio, che bello che era!!! Aveva un torace enorme, muscoli definiti e due bei capezzolini turgidi. Un tatuaggio selvaggio gli decorava il bicipite e la sua pelle imperlata di sudore aveva il colore del bronzo lucido. La sua schiena era un fascio di muscoli, gambe bellissime e due cosce degne di un wrestler.

-Ma che cazzo ti e' saltato in mente, coglione!!- Mi aggredi' improvvisamente avvicinandosi a me a piedi nudi.

-Hai ragione, scusami, non l'ho fatto apposta, mi dispiace.- Cercai di scusarmi mentre tenevo gli occhi bassi. In realta' tenevo gli occhi bassi per guardarlo meglio da vicino, per spiare con attenzione quel petto muscoloso che si gonfiava con il respiro. Quanto avrei voluto baciarlo. Le sue labbra carnose erano a pochi centimetri dal mio viso e mentre mi soffiava addosso gocce di saliva e di sudore, io restavo a guardarlo negli occhi.

-Che cazzo sei venuto a fare qui?- Mi chiese ritornando a sedersi sul lettino.

-Te l'ho detto. Volevo sapere come stavi e volevo scusarmi.-

-Mi hai fatto male. E delle tue scuse non so che farmene!!-

-Credimi, non sono un violento.- Non sopportavo la sua durezza. Avevo sbagliato. Mi stavo scusando con lui. Nessuno si scuso' mai con me le numerose volte che mi fecero finire in infermeria. Volevo che avesse una buona impressione di me, volevo essergli amico.

Fece schioccare la lingua, scrollo' la testa tenendola bassa e prese l'asciugamano steso sulla seggiola davanti a lui. Comincio' ad asciugarsi il sudore. La forza che imprimeva al movimento gli faceva arrossire la pelle del petto e delle braccia.

-Non torni in campo?-

-Mi hanno buttato fuori. Posso restare qui finche' non ti senti meglio?-

-Perche' ti interessa tanto come mi sento?-

-Perche' sto male all'idea di essermi comportato cosi'.-

Mi avvicinai a lui.

-Dammi una mano, dai!!- E allungo' il suo braccio verso la seggiola dove erano appoggiate le scarpe e i calzettoni.

-Aspetta, faccio io.- Afferrai la sua caviglia ed appoggiai la pianta del suo piede sul mio petto. Lui resto' a guardarmi mentre srotolavo e rivoltavo i suoi calzettoni per infilarglieli ai piedi. Le calze erano ancora molto umide, avvertivo la lieve fragranza della sua pelle accaldata e quando sfiorai il suo polpaccio ne apprezzai la soda muscolatura.

-Aspetta, cazzo!! Cosi' mi fai venire un crampo, e' meglio se ti inginocchi e le calze me le infili da sotto.-

-Si, va bene, come vuoi.- Mi inginocchiai ai piedi del lettino, davanti a lui, mentre lui scese dal lettino e rimase in piedi a gambe leggermente divaricate, come un colosso di Rodi.

-No, dai, stavo scherzando, lascia stare, faccio da solo!!!- E lo vidi sorridere per la prima volta, mentre prendeva in giro la mia assurda sottomissione.

-Allora non ce l'hai con me?- E mi rialzai in piedi di fronte a lui.

-Siamo avversari, ma giochiamo allo stesso gioco. Queste cose succedono, volevo capire se mi pigliavi per il culo o se eri sincero e lo sei stato. Non capita spesso. Anzi non capita mai!!- Continuo' a guardarmi sorridente, con le mani ai fianchi e due occhi dolcissimi.

Fu allora che afferrai le sue guance e lo baciai in bocca, incurante delle sue possibili violente reazioni. Resto' con i denti serrati per quei pochi secondi e con le mani ai fianchi.

-Era ora che ti decidevi.-

Il mio desiderio era fortissimo. Ripresi a baciarlo mentre le sue mani esploravano le mie natiche sotto i calzoncini. Mi sfilo' la maglietta palpeggiandomi il petto e si libero' del sospensorio in un attimo.

-Avanti, fammi vedere come chiedi scusa.- E appoggiandomi le mani sulle spalle mi fece inginocchiare davanti al suo randello puntato verso di me.

Alzai gli occhi verso i suoi. Sorrisi, gli afferrai le palle con la sinistra e la verga con la destra. Lo scappellai e cominciai a lavorarlo con la lingua. Gli solleticai il frenulo in tensione e cercai di penetragli l'uretra con la punta della lingua. Teneva le mani dietro la schiena ed il bacino in avanti, alzava il viso al cielo sospirando e chiudendo gli occhi.

-Mmmmm, non l'avrei mai detto che fossi stato cosi' bravo.- Miagolo'.

-Ti prego non fermarti.-

Senza parlare cominciai ad ospitarlo dentro la mia bocca. Il calore intenso del mio cavo orale lo avvolgeva interamente. Era piuttosto grosso, faticavo a riceverlo per piu' di qualche centimetro e fuori ne rimanevano almeno una decina a dividere il mio naso dalla foresta del suo pube, tuttavia riuscivo ad assaporarne l'aroma di sudore. Cominciai a succhiare delicatamente ed a infilare le mie dita nel solco delle natiche che si contraevano e rilassavano ritmicamente schiacciandomi con forza le dita. Palpavo i suoi addominali e le sue gambe robuste.

-Adesso mi piacerebbe fotterti.-

Non mi feci ripetere la proposta, mi alzai in piedi e mi tolsi i pantaloncini ed il sospensorio.

-Dai scopami!!- Lo pregai. E sollevai la gamba sinistra sul lettino, offrendo al mio uomo tutto il mio corpo.

Mi penetro' con molta delicatezza. Il suo membro scivolo' in me facendomi gemere di piacere. Sentivo il suo pube contro di me. Era entrato per tutta la sua lunghezza e comincio' a muoversi avanti e indietro facendo di me la sua sgualdrina.

Avvertii la forza della sua eiaculazione che cominciava a sgocciolarmi sulla gamba mentre lui sembrava voler ripetere la sborrata. Si fermo' solo quando, afferratomi il cazzo in tiro, comincio' a masturbarmi fino a quando schizzai tutto sul pavimento.

-Allora devo pensare che mi hai perdonato per la ginocchiata che ti ho dato?- Gli chiesi scioccamente, con il respiro che mi mancava.

Lui rise ansimando lungamente e senza rispondermi usci' dal mio corpo, si infilo' nuovamente il sospensorio, i pantaloncini e la maglietta sudati e sporchi.

-Aiutami ad allacciarmi le scarpe.- Io lo feci e restai nudo nello stanzino mentre lui usciva per ritornare in campo e segnare tre punti.

Bei ricordi. Cominciai a pensare che se la caserma avesse avuto una squadra, io ne avrei fatto parte. Non mi sarei potuto sottrarre a questo impegno ed inoltre sarei rimasto in allenamento per tutto l'anno.

Avevamo ormai lasciato Roma. Il sole a quell'ora era alla sua massima altezza sull'orizzonte e il treno che sfrecciava verso Napoli sembrava andargli incontro.

 

(continua...)