ORSI ITALIANI MAGAZINE



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Il discepolo pompeiano

Racconto di Gaius Lucius Valerius (Van Dick)


Il mio nome e' Gaio Lucio Valerio, sono nato esattamente due anni prima della nomina a dittatore di Gaio Giulio Cesare, pertanto ho diciotto anni.

Vivo nella suburb di Pompei in una splendida dimora patrizia donata a mio padre Marco Valerio dal suo avo prima che questi discendesse agli inferi.

Gli impegni politici e militari del mio genitore lo tengono quasi sempre lontano da casa (attualmente e' in Egitto condottiero delle truppe ausiliarie delle cohortes), si e' sempre occupato poco della mia educazione preferendo affidarla a Tito Anneo Flacco poeta, filosofo e mio precettore ormai da due anni.

Trascorro l’intera giornata in compagnia del mio mentore, uomo dall’aspetto burbero e dalla stazza massiccia, ma per me nutre un grande affetto e lo manifesta con tantissime attenzioni che mi gratificano e mi lusingano.

Infondo sono un discepolo bravo e ubbidiente, ma quando commetto un errore, anche il piu' irrilevante, devo essere punito come e' giusto che faccia un buon maestro.

Confesso che la punizione mi suscita una certa sensazione di piacere, per cui il piu' delle volte, fingendo, mi rendo colpevole affinche' lui possa infliggermi il meritato castigo.

Non appena il suo sguardo e' rivolto allo scudiscio poggiato sui libri, gia' so qual e' il mio dovere: tolgo la tunica; non sempre porto il subligaculo, ma se lo indosso, so che vuole essere lui a levarmelo.

A questo punto il mio corpo nudo si appoggia contro la parete affrescata di rosso in segno di sottomissione. Fremo dal desiderio, lo scudiscio sfiora la mia schiena e le mie natiche; l’istante di attesa dei colpi diventa un’eternita'.

Finalmente arrivano una, due, tre, quattro frustate e quelli che lui crede siano urla di dolore, per me sono gemiti di goduria.

Si ferma solo quando ai miei piedi si forma un lago di piscio misto a sperma testimone del mio piacere. Dopodiche' intinge delle bende di lino nell’impluvio e teneramente mi tampona le ferite.

Le prime ore del mattino sono dedicate all’attivita' ginnica che va fatta rigorosamente nudo anche durante i rigidi inverni.

Tito Anneo sostiene che il fisico vada temprato ed ha ragione poiche' in questi due anni di duro allenamento il mio corpo ha subito sensibili trasformazioni: da efebico e delicato fanciullo sono diventato un giovane uomo con spalle larghe, braccia muscolose, cosce e culo torniti; inoltre una morbida peluria bionda ricopre il mio torace.

Durante la corsa, le flessioni e il sollevamento pesi, gli occhi del mio maestro sono ininterrottamente puntati su di me e alla fine degli esercizi, quando sono ormai stremato e senza fiato, mi terge il sudore soffermandosi particolarmente sul culo e sui peli del pube.

Durante le ore che seguono il mezzogiorno il nostro interesse e' rivolto alla lettura. Ho imparato ad apprezzare Plauto ed Euripide, Socrate e Platone, Pitagora e Talete.

Quando leggiamo Catullo, Saffo e soprattutto Meleargo di Gradara, il maestro m’insegna l’arte di amare: mentre volto la pagina del libro mi prende la mano e la porta tra le sue cosce, attraverso la toga sento un gran cazzo che avverto crescere a vista d’occhio.

La mia avidita' mi fa spostare la sua veste, ora impugno quel grosso palo granitico che farebbe arrossire anche Priapo.

Ormai entrambi siamo nudi e lui mi appare in tutta la sua bellezza e virilita': un corpo maschio interamente ricoperto di peli colore argento e' steso sul triclinio e mette in bella mostra, in segno di trofeo, il suo fallo eretto a cui non so resistere.

Mi metto in ginocchio e comincio a succhiarlo voracemente; le sue mani prendono la mia testa costringendomi a ingoiarlo tutto.

E’ giunto il momento di possedermi: mi metto carponi e con un colpo secco entra dentro di me; il dolore e' lancinante, ma poco per volta il mio buco si allarga modellandosi alla forma della sua verga.

La violenza dei colpi contrasta con la delicatezza della sua lingua e della sua barba che mi sfiorano la schiena e il collo.

Quando, ormai, sono all’apice del piacere la mia mente fantastica: dietro di me non c’e' piu' Tito Anneo, ma Atteone o il dio Pan che squarciano il mio corpo.

Solo quando e' all’acme della goduria toglie il cazzo dal mio culo per riempirmi nuovamente la bocca.

Bevo un caldo nettare piu' dolce dell’ambrosia.

GAIUS LUCIUS VALERIUS (Van Dick)


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