Esodo, Magnolia & Intrecci d'amore

Recensioni varie di Emilio Campanella


ESODO al Teatro dell'Arte di Milano

E' sempre difficile iniziare a scrivere un pezzo su di uno spettacolo di Pippo Delbono, perché anche dopo qualche giorno le sensazioni e le immagini continuano a muoversi nella memoria.

Come ormai si sa, il suo lavoro non è facile da definire; si potrebbe dire teatro-danza, nonostante il termine sia ormai logorato, ma si va molto oltre, poiché per quanto abbia una struttura, come sempre, volutamente frammentaria e a "pezzi chiusi" e l'apparente discontinuità nel succedersi degli episodi, questo spettacolo, che rielabora molti dei materiali 'grezzi' di HER BIJIT, suggestiva ed emozionante creazione in apertura dell'ultima Biennale Teatro; ambientata negli spazi in monumentale abbandono dell'Arsenale veneziano, fa un discorso molto forte e coraggioso (ancora una volta) intorno all'oppressione e al provocato dolore dell'uomo sull'uomo.

Per una volta, e ce lo dice subito il regista-demiurgo che, come sempre, accompagna e commenta l'azione, c'è una scenografia (che vedremo ad apertura di sipario, questa volta, ovviamente, chiuso), e sono macerie e rovine irriconoscibili fra cui si agita l'umanità più varia e fra le cui mura sbrecciate vengono evocati i più orribili atti di violenza, salvo, poi, far da sfondo, talvolta, a immagini apparentemente più festose di gruppi di turisti incuriositi o di scioccanti improbabilissimi scatenati numeri di 'musical' che vedono al centro ancora una volta l'inesauribile Gustavo Frigerio 'drag' con piume e perle, sgambettante (benissimo) su tacchi stratosferici, a rischio, tra un mattone e un sasso, di frantumarsi le eroiche caviglie!

La compagnia è più o meno la stessa, ma con nuovi elementi e movimentare la varia umanità che la compone, ra professionisti e gente qualunque che evoca tragedie personali (e universali) con una forza e un'incisività decisamente artaudiane, poiché sono la vita e le sofferenze che vengono raccontate dai loro protagonisti.

Ma i momenti di maggior forza dello spettacolo sono ancora una volta quelli che vedono al centro Bobò e Gianluca Ballaré (nella foto): il primo a rifare il Grande Dittatore di Chaplin, he con parole incomprensibili enuncia il famoso discorso, e il secondo che si agita e urla (volutamente) senza voce, semisvestito da militare (elmetto e shorts) correndo in mezzo alle rovine. Immagini inquietanti e forti, dunque, come un trio inequivocabilmente di ispirazione dittatoriale sudamericana che si avanza, e siamo fra Beckett, Pinter e Brecht, in un primo momento, e poi evocazioni di delirio di inaudita violenza.

Un bellissimo, intensissimo ragazzo libanese, urla il dolore per Beirut distrutta; in una scena d'insieme, donne a gruppi vengono trucidate,; un bellissimo nordafricano con una gamba offesa (da un'esplosione ?) trascina i suoi passi, parla, poi, come un funambolo, si aggira per la scena muovendosi sulle braccia.

In chiusura, pacificato, Nelson si addormenta vegliato da due angeli: Bobò e Gianluca, naturalmente, le note della canzone di Solveig dal Peer Gynt, accompagnano e cullano questo sonno definitivo, una candela, come in un cimitero per bambini, tremula, si spegne, le ultime note di musica. BUIO.

 

Emilio Campanella


MAGNOLIA

Nel bene e nel male bisogna parlarne, poiché, al di là dell'Orso d'oro, e ciò ci riguarda direttamente, c'è in questo film pieno di eccessi, il bell'orso Louis che con la sua faccia da buono un po' scemotto (fa il poliziotto, ma speriamo che cambi presto mestiere) è a dir poco commovente.

Tutto parte da una struttura alla 'Short cuts' per così dire, che è ormai uno stile narrativo molto seguito; tutte le vicende ruotano intorno alla televisione il cui morente tycoon (Jason Robards) è assistito da un altro timidissimo orso (già visto in HAPPYNESS) e dalla più giovane moglie (J. Moore che ha una belissima scena infarmacia quando, disperata, vomita tutto il dolore e il risentimento addosso ai due gestori che l'hanno accusata orribilmente di organizzarsi festini a base di stupefacenti destinati invece ad alleviare le sofferenze del malato !). Il figlio di questi (T.Cruise, bravo, questa volta !) ha creato una specie di setta per 'ipermachos', salvo poi sgretolarsi (un po' prevedibilmente, peraltro) di fronte a una bellissima, determinata, onesta intervistatrice nera. Un entertainer viene a sapere di essere condannato dal cancro, e l'odio che la figlia cocainomane nutre nei suoi confronti, non è forse così ingiustificatotanto che la moglie e madre lo abbandona per raggiungere la poveretta e avere, immaginiamo, una spiegazione chiarificatrice.

Ci sono anche bambini prodigio da quiz enciclopedici (parenti stretti di quelli di Salinger) un adulto che ha avuto lo stesso passato, ma ora è una nullità, e starebbe per combinarne una grossa se, durante l'apocalittica pioggia finale, il 'nostro' Louis non lo riconducesse sulla retta via.

Le vicende sono più complesse e sfaccettate di così, e talvolta c'è troppa musica assordante, però è proprio questo fatto che fa incontrare il nostro poliziotto angelo con quella sciamannata di Claudia strafattissimna di coca, e allora ? coup de foudre ! Lui non se ne andrebbe più, mentre lei, ovviamente, sta sulle spine; lui le chiede un caffè, lei glielo fa, poi si assenta in bagno per tirare, e lui lo fa ingurgitare al lavello, ma la scintilla è scoccata; si danno appuntamento, si reincontranosubito dopo essersi fatto cadere il manganello giù dalle scale (un bel segnale analitico) lui perderà anche la pistola (altro segnale) ed è chiaro come questo Louis sia un agnello, e non un lupo, e perciò tanto inadatto al suo mestiere e pronto a essere sacrificato alla prima occasione, anche sedi poliziotti così ce ne vorrebbero di più: il mondo andrebbe sicuramente meglio!

Si arriva in fondo alle tre ore senza stanchezza, ma con la testa piena e con ilo bisogno di mettere ordine in tutto questo affastellarsi di storie. E' interessante osservare come ci siano dei veri capitoli tematici in cui episodi simili accadono ai differenti personaggi. La cornice del film narra storie legate alla casualità, e didascalie talvolta rendono edotti intorno alle condizioni climatiche in mutamento sino al diluvio che comincia a 2/3 del film e che, nel finale diverrà realmente spaventoso poi la "pioggia" cesserà e sulle immagini delle devastazioni e degli incidenti la voce fuori campo riprenderà il discorso dell'inizio, le sovrimpressioni ci informeranno intorno alle previsioni metereologiche.

 

Emilio Campanella


INTRECCI D'AMORE

Il 18 e 19 marzo è andato in scena, al teatro della Murata di Mestre, "Intrecci d'amore", l'ultimo spettacolo della regista e coreografa Matlde Tudori, da quest'anno, direttrice artistica del 'Teatro per Marte', storica struttura che affonda le sue radici nell'epoca eroica corrispondente a quella delle cantine romane, ma storica perché la sua minuscola dimensione di teatro da camera (un po' come i café-théatre parigini) è costruita a ridosso di un glorioso e magnifico frammento delle ura medioevali della città.

Lo spettacolo ha concluso una stagione/rasssegna di teatro di ricerca, come si diceva una volta, ma ancora, forse, un po' si può dire, incentrata tutta sull'opera di Shakespeare. E' infatti anche questa una 'riscrittura' della "Dodicesima notte". Giusto pochissimo tempo fa Franco Quadri osservava, e un poco lamentava, come si sia invasi da ogni sorta di 'd'après' del BARDO; le ragioni sono molte, non ultimo, cumnque, il fatto, da parte di ogni regista di desiderare di sentirlo un poco più suo. Gli esiti sono svariati. Qui abbiamo la fortuna di incontrare un'operazione colta che "prosciuga" la commedia grazie alla ricostruzione della vicenda attraverso la forma dei dialoghi filosofici. I personaggi sono ridotti a tre coppie che si fronteggiano dialetticamente ma, appunto, anche con 'intrecci'.

Uno sfondamento spaziale sulla sinistra dello spettatore amplia la piccola scena 'ingombra' di rami d'albero sospesi, rocce vere e finte, cumuli di grandi foglie che nascondono sorprese, e quasi uno studiolo/arsenale delle apparizioni è acceso da due grandi specchi opposti che si rimandano la luce di un candelabro a piantana; e qui sta l'altro riferimento colto e chiarissimo al mondo dei sonetti, alla poesia barocca con i suoi temi dell'immagine illusoria e caduca della bellezza, della finzione, del sogno e della realtà, e di converso alla pittura post caravaggesca, dei fiamminghi, di G. de La Tour e altri.

Interessante è notare come Orsino (Stefano Raccuglia) e Olivia (Cristina Papaccio) siano i più maturi, mentre Viola/Cesario (Raffaella Maluta) e Sebastiano (Claudio Foglin) sono i giovani, per cui, come naturalmente, s'instaura un contrasto generazionale fra la fresca immatura irruenza dei secondi contro la più posata interpretazione, riflessiva da una parte, dura e autoritaria, dall'altra, dei primi. La terza coppia, bassa, è quella formata da Malvolio (Paolo Sivori) dall'invadente divertentissimo 'birignao', e dal "fool" (Federico Vazzola) che puntualmente lo irride e 'punisce' e calibaneggia con notevole dominio del corpo e buon uso della voce. Un ragazzo che, se continua così, farà strada.

Riferisco dell'anteprima quando, come si sa, lo spettacolo appena andato in scena ha, come dire, finito di iniziare il suo percorso creativo, per cui sicuramente le inevitabili acerbità e i piccoli scompensi si assorbiranno. Belle le luci. Unico appunto la scelta musicale che non condivido pienamente, ma ognuno ha le sue visioni, o meglio, i suoi ascolti sull'argomento.

Emilio Campanella



SWAN LAKE

di Matthew Bourns

 

Ferrara e Modena: due piazze, quattro date per il Lago dei Cigni con molti spunti 'gai' reduce dai trionfi di tutto il mondo; noi lo vediamo quasi per ultimi, ma il video era stato mostrato più volte dalla RAI ed era nei programmi del Centro Festival a Palazzo Reale di Milano, lo scorso dicembre, in occasione del Festival dei Teatri d'Europa.

Vero è che dal vivo è tutto differente, infatti lo spettacolo emoziona fortemente, e per l'orchestra che esegue mentre il balletto si svolge (la direzione è di Brett Morris e l'orchestra quella locale) e per il pubblico molto coinvolto e con un'alta percentuale gay, ma non solo, prima, durante e dopo la rappresentazione, e per la coerenza drammaturgica del regista/coreografo che ha operato una trasformazione sull'originale ottocentesco rispettando integralmente la partitura ed esaltandone le aulità e le atmosfere, le tensioni e i languori.

C'è un principe edipico (come già in Mats Ek) che dopo un incubo (durante l'ouverture) agitato da un cigno forte, seduttivo e minaccioso che noi vediamo incombere sull'alta cimasa coronata del suo lettone, si sveglia sconvolto stringendo il suo cigno di stoffa (chacun a ses pelouches !) e si trova preso nella spirale dei doveri di corte. Quando scappa anche dall'orribile fidanzata impostagli dalla madre, si ritrova in un localaccio frequentato malissimo anche dalla suddetta e dal cerimoniere di corte (che somiglia a Filippo di Edimburgo giovane) con parrucca alla Andy Warhol; fa guai e ne viene cacciato. Si ritrova in un giardino notturno (solitario, anche se forse, in altri momenti) scrive un biglietto. va verso un laghetto per farla finita, ma un bellissimo cigno glielo impedisce e il sogno incomincia, è l'atto bianco e pian piano tutto il corpo di ballo irrompe sulla scena, e sono tutti giovanotti molto virili con bragoni piumati e un accenno di trucco sul volto a suggerire gli uccelli che rappresentano, e il corpo appena un po' imbiancato. E' il grande amore, ovviamente, quello sognato, desiderato, vagheggiato, e quindi gran pas de deux, ma anche tutti gli episodi corrispondenti alla tradizione, compreso il pas de quatres dei cignetti che qui sembra un esilarantissimo convegno di tutti i pennuti dei cartoni animati !

Ma aldilà di ciò, niente svenevolezze, questi animali sono forti e anche molto minacciosi. Svanisce il sogno, torna la realtà e una vecchina beckettiana che da' becchime agli uccelli coglie la pazzia (?) del principe che danza ormai solo.

Nell'atto successivo, un gran ballo di corte dove si sfoggiano abiti stupendi e si fa a gara con l'elegantissima seduttiva e libertina regina (l'ottima Isabel Mortimer) a danzare con il cigno nero (GASP!) convenuto vestito di tutto punto con pantaloni di palle e aria da macho/tombeur de femmes che danza con e seduce tutte e tutti, salvo essere riconosciuto del principe (Tom Ward) che danza un tango travolgente con lui (Nijinski e Valentino ?) e ne viene picchiato come fanno i bravi finocchi velati quando si sentono scoperti ! Tenterà anche la seduzione della regina, ma questo, il figlio non potrà sopportarlo, lui che non era riuscito a possederla, in una scena molto tesa, e la situazione volgerà in tragedia, e chi ne farà le spese sarà la tenera, sciocca fidanzata mancata.

Ultimo atto, asilo psichiatrico, come la torre di Londra delle tragedie shakespeariane. Medici, infermiere, terapie (lobotomia ?) e poi la "cameretta" principesca il cui lettone viene invaso da cigni feroci e minacciosi: finale tragico, il cigno bianco in uno struggente pas de deux si sacrificherà inutilmente; tutti gli uccelli svaniranno, all'ingresso della regina l'ultimo rantolo del principe che muore fra le sue braccia. Cala rapidamente la tela!

Un po' come Balocchi e Profumi come dire, Corona e profumi !

Questo l'assunto tragico, ma lo spettacolo è costellato di gags come il cane di corte a rotelle o i paparazzi onnipresenti e una certa sapiente aria da musica molto divertente che alterna tensione drammatica e divertimento, citazioni colte e baracconate.

E se il regista è abile e attento a confezionare uno spettacolo per tutti, il coreografo è altrettanto attento a cogliere, citare, condurre un'operazione rischiosa, ma estremamente riuscita, con omaggi qua e là al mondo della danza (lo spettacolino che cita il ballettone romantico è una chicca) e del cinema; non a caso la compagnia si chiama ADVENTURES IN MOTION PICTURES, e erte stupende mises della regina ricordano quelle indimenticabili di Tilada Swinton nell'Edoardo II di Jarman.

 

Emilio Campanella


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