ORSI ITALIANI MAGAZINE


Prima domenica di agosto

Un racconto di Ste

 

L'aria frizzantina delle 5 che entra dalla portafinestra della camera da letto mi sveglia e il sole comincia a colorare l'orizzonte a est, verso il centro. Vado sul terrazzo di casa, completamente nudo. Mi sento parte dello spettacolo che vedo, sento la citta' come una parte del mio corpo. I vicini se ne sono gia' andati per le ferie e le strade sono ancora deserte. Dal mio attico di S. Siro vedo il profilo turrito dello stadio Meazza e piu' in fondo una citta' immersa in un'atmosfera plumbea che si sta lentamente ridestando. Ecco-, penso un'altra noiosa domenica d'estate in citta'.-

Da poche ore ho chiuso la gioielleria, svuotato la vetrina ed inserito l'allarme. Ora non vedo l'ora di buttarmi nella mia avventura nelle terre del grande nord. Mi sono sempre piaciuti i nordici, sono belli, aitanti, mi fanno un sangue caldo e voglioso. -Perche' intanto non godermi la citta' d,'agosto in bicicletta?-. E' un'ottima idea, percio' mi preparo una colazione molto calorica a base di marmellata, miele e pane imburrato e alle 8 in punto inforco la mia mountain bike in direzione ovest.

Indosso un paio di sandali di pelle, pagati quattro soldi al mercatino di Senigallia, pantaloncini molto corti e aderenti da bagno, senza intimo e una canotta nera. Il sole mi riscalda la schiena e le spalle. Il mio torace da canoista si gonfia lentamente inspirando l'aria incredibilmente pulita e fresca. Ha piovuto durante la notte e gli schizzi delle pozzanghere tagliate dalle ruote della bici mi arrivano sulle cosce e sui polpacci pelosi. I muscoli delle braccia si muovono sotto l'epidermide e sotto lo sforzo dell'esercizio fisico.

Poche auto percorrono il grande viale verso la tangenziale ovest flagellandomi con folate di vento che fanno traballare la mia corsa. Forse avrei dovuto aspettare ancora qualche ora. Cosi' poco vestito rischio di raffreddarmi.

In fondo a via Novara, dove la citta' non e' ancora arrivata, a pochi metri dall'imbocco della tangenziale ovest un idiota patentato, quasi lo avesse fatto apposta, attraversa una grossa pozzanghera sollevando una ondata gigantesca che mi annaffia completamente. L'acqua e' gelida e lancio un grido a denti stretti maledicendo la sua stupidita'. Devo assolutamente strizzarmi gli indumenti e imbocco un viottolo sterrato che vedo sbucare tra i cespugli. A circa 100 metri dallo stradone sorge un villaggio di baracche in lamiera e compensato. Un paio di carcasse bruciate di automobili arredano lo spiazzo fangoso o polveroso, secondo la stagione, cumuli di spazzatura, frigoriferi, lavatrici e vecchi computer hanno preso il posto degli alberi e dei fiori.

Mi guardo attorno: nessuno. Appoggio la bicicletta ad una delle baracche e mi tolgo la canotta strizzandola con energia. Ancora un'occhiata intorno e mi sfilo i pantaloncini rimanendo completamente nudo in mezzo alla campagna. Un'altra strizzata. In quel momento sento un trambusto e dei passi dietro di me. Mi giro di scatto. Dietro quella distesa di rottami cominciano a spuntare gli occupanti delle baracche: ci sono due magrebini forse tunisini, due negri con la pelle molto scura nigeriani o senegalesi. In un momento mi circondano, sono adombrati, sono determinati. Un tunisino mi strappa i pantaloncini dalle mani, uno dei nigeriani mi afferra da dietro mettendomi un braccio attorno al collo e mi mostra un taglierino che mi punta diritto allo stomaco. La lama arrugginita percorre ripetutamente la mia epidermide tra l'ombelico e lo sterno.

-ok, ok, ho 50 euro nella tasca della bici, prendete pure quello che volete!!!-

Non dicono una parola, mentre tengo le mani in alto mi spingono nella prima delle baracche. Entriamo per primi io e il nero che mi sta addosso. Sotto quella camicia lercia e puzzolente deve avere il torace di un bisonte, sento le mie scapole strusciare contro una parete di roccia. Con la mano sta armeggiando alla patta dei suoi pantaloni mentre gli altri tre cominciano a spogliarsi davanti ai miei occhi. Ora e' tutto chiaro, non vogliono i 50 euro, vogliono possedermi ed io sotto la minaccia di quel taglierino che puo' sventrarmi il torace, non ho la forza di reagire. Non posso trattenere l'interesse che provo per quella situazione inusuale. Non e' la prima volta che scopo con un uomo, ho cominciato a quindici anni, ne' e' la prima volta che scopo con un nero, ma e' la prima volta che vengo minacciato con un coltello e stuprato.

Cosa mi succedera'? Intanto insieme all'interesse cresce anche il mio randello. Sono ben dotato e si vede. Gli sguardi di quegli uomini si abbassano ai miei genitali ed ai loro, per confrontarli. In mezzo alla baracca c'e' un tavolo da giardino di plastica. Mi butta su quello restandomi incollato alla schiena. Il tavolo ci regge a malapena. L'uomo dietro di me, sopra di me e' un armadio di muscoli e nervi. Si piazza fra le mie gambe costringendomi ad allargarle con un dolorosissimo calcio negli stinchi. Mi blocca le braccia dietro la schiena e un altro di quelli mi lega i polsi e i gomiti con una corda. Io non dico una parola, tutto si svolge nel piu' assoluto silenzio a parte i sospiri e i gemiti del toro che mi sta montando ed i miei, soffocati dalla sua grossa mano nera. Un tizzone caldo e umido si avvicina al mio buco, si appoggia, una mano mi stringe il collo e mi costringe a tenere la testa appoggiata al tavolo, l'altra mano mi afferra una natica dilatando la pelle del mio orifizio. E' l'ora. Il fuoco mi sale da dietro fino al cervello, cerco di gridare ma non riesco, cerco di implorare, ma e' inutile.

Deve avere una nerchia poderosa, il dolore e' lancinante ed e' reso ancora piu' insopportabile dal continuo andirivieni del mandingo dentro di me. Dentro e fuori, dentro e fuori come una macchina potente, dilatandomi il buco e l'intestino. I suoi colpi violentissimi e profondi fanno ondeggiare il tavolino avanti e indietro, avanti e indietro e lentamente il dolore diventa piacere, un piacere con l'odore del sangue che percepisco attorno a me. C'e' molto interesse negli altri che cominciano a segarsi l'uccello distribuiti al tavolo come commensali attorno al porcello e ognuno pretende la sua parte. Quello di fronte a me, un ometto rinsecchito, sdentato malgrado la giovane eta', con i capezzoli pelosi e un costato in vista, ma con tanta energia nella sua ragguardevole verga, mi afferra la nuca e mi caccia il suo cazzo in bocca. Ora i miei lamenti sono davvero soffocati, ma il dolore diminuisce sempre piu' mentre il negro continua a fottermi afferrandomi ora i fianchi ora le braccia ormai immobilizzate e doloranti per il formicolio che mi ha preso. Ancora pochi, lenti, energici colpi e mi sento inondato dal suo caldo liquido che defluisce in continuazione e che sento colarmi anche sulle cosce quando il negro, sfinito dopo una quindicina di minuti di monta, esce dal mio corpo e cede il posto ad un altro.

Il secondo che mi scopa e' il suo compare nigeriano. Il mio buco sanguinante e' ormai insensibile, ma avverto la consistenza legnosa e le dimensioni del suo membro che, piu' contenute del precedente, offrono ugualmente tanto piacere. Entra in me con un gemito di godimento soffocato. Ricomincia il trotto che diviene quasi subito galoppo sfrenato, il tunisino intanto e' arrivato all'apice del suo piacere e anche del mio che da qualche minuto succhio avidamente da quel pene olivastro e puzzolente finche' ottengo quello che bramo. Mi gusto la bianca crema del magrebino che sembra soddisfatto di se e anche io lo sono, ma dopo di lui ce n'e' un altro ancora.

Questo e' un giovincello, avra' vent'anni. Mi pare di capire che sia felice di non essere lui per la prima volta l'oggetto delle attenzioni dei suoi tre 'amici', ma non sa cosa fare. Mentre il nigeriano accelera le pompate nel mio culo, io guardo il ragazzo con la bocca semiaperta, impastata di sperma, anelante le sue grazie, ma egli, dopo un primo impulso, con quel batacchio, vergine di bocche e di culi, desiste lasciandomi ansimare dal piacere con la testa appoggiata al tavolo. Anche il nigeriano termina il suo lavoro, sento rivoli di sperma impiastricciarmi i peli delle gambe e dei polpacci e non ho la forza di sollevarmi.

Rimango quindi piegato a novanta sul tavolino, con le gambe muscolose sempre ben divaricate che mi reggono a fatica. Il tunisino che ho sbocchinato spinge il giovane a fare l'uomo, insistendo rumorosamente nella sua lingua. Io resto a guardarli mentre i due nigeriani si rivestono dei loro stracci e uno dei due si prende la mia canotta, un po, strettina a dire il vero, malgrado io abbia un torace di 131 centimetri. Finalmente anche il giovane si decide: mi fa alzare e mi fa mettere in ginocchio davanti a lui. Io eseguo divaricando bene le gambe. Le mie ginocchia affondano nel fango del pavimento e il mio pisello scappellato punta voglioso davanti a me. Probabilmente il ragazzo sta ripetendo le mosse che e' costretto a subire dai tre quando non ci sono a disposizione troie del mio calibro. Mi afferra il viso e mi avvicina alla bocca il suo bastone del comando. Io apro la bocca per prenderlo e lui, prima titubante, dopo l'ennesimo richiamo del suo compare, con una rabbia ed un vigore meravigliosi me lo infila in bocca scopandomi con forza.

Mi eiacula in gola dopo pochi minuti con gli applausi del compare che gli suggerisce di farmi sdraiare di schiena sul tavolo. Eseguiamo diligentemente ed ecco che il tunisino piu' anziano si mette fra le mie gambe sollevandomi le caviglie sulle sue spalle magre. Mi afferra le chiappe allargandole ed entra in un colpo solo ridendo della mia smorfia per il bruciore delle ferite che si stanno riaprendo. Digrigna le gengive sdentate e, implacabile, mi penetra e mi ripenetra. Mi scopa per alcuni minuti mentre il giovane assiste come un'ostetrica al parto. Lo sento sborrarmi dentro, poi mi passa al giovane che termina il lavoro iniziato in bocca e finalmente puo' dire di essere un maschio vero.

La potenza dei suoi lombi mi eccita, il mio cazzo riprende nuova vita e io rimango sul tavolo con le gambe penzoloni ben alllargate, le braccia legate dietro la schiena e un'asta di bandiera scappellata che mi arriva all'ombelico per 22 centimetri dura e poderosa con una grossa fragola violacea dalla quale comincia a fuoriuscire un liquido densissimo, filante e trasparente che invita al piacere. Ho voglia di segarmi l'uccello, sto scoppiando dal desiderio di sborrare, non mi importa che mi spompini qualcuno, ma che mi liberino almeno le mani. Le mie preghiere vengono esaudite. Uno dei nigeriani rientrato per dare un'occhiata, mi agguanta l'uccello, me lo sega con forza sorridendo. Mi fa male alla cappella. Io cerco di sollevare il bacino, contraendo i miei addominali ben definiti, per aumentare la mia eccitazione, gonfio il petto per mostrare i miei capezzoli turgidi che divengono preda del tunisino piu' anziano. Me li pizzica con le dita e me li palpa con il palmo delle mani. Sto per venire e lancio un urlo nel momento in cui la sborra comincia a schizzare verso l'alto ricadendomi sul petto. Ora sono esausto e cerco di rilassarmi. Il nigeriano si allontana da me, io lo seguo con lo sguardo mentre il tunisino comincia a leccare lo sperma schizzatogli sulle mani e sul mio petto. Mi accorgo che siamo rimasti soli in quella baracca. Lui afferra il taglierino, recide le corde che mi bloccano le braccia e io gli afferro le natiche per spompinarlo ancora un po'. Lui esce dalla baracca tutto nudo, con il cazzo ancora duro e gocciolante. Io resto ancora qualche istante, deluso. Poi esco e mi guardo attorno. Nessuno. La mia bicicletta e' ancora dove l'avevo lasciata, sul manubrio ci sono i miei pantaloncini e la canotta che il negro mi ha restituito. Mi rivesto, sono appiccicoso, mi duole troppo il culo per sedermi sul sellino e torno a piedi, con la bici al mio fianco, verso casa.

Un automobilista con l'auto carica di bagagli e famigliari al seguito accosta e mi chiede: -sta bene? Ha le gambe ferite?- In effetti del sangue coagulato e dello sperma mi incrostano l'interno coscia e un polpaccio.

-Sto bene grazie, non sono mai stato meglio.

Ste