ORSI ITALIANI MAGAZINE


Color del rame

Un racconto di Lupus

pizzet_one@yahoo.it


A quanto pare successe durante gli ultimi anni della Grande Guerra del quindici-diciotto, ma io non lo avrei mai saputo se non avessi rovistato in quella soffitta polverosa dove gli zii avevano accumulato tante cose.

Ora che anche la zia se n'era andata, nel frugare mi si risvegliavano ricordi dolci e dolorosi a un tempo, di quando bambino passavo lunghi mesi d'estate in quella casa, ma anche piu' recenti, legati alla maturita' e ad un legame d'affetto che non si era interrotto mai con quelli che io avevo sempre considerato i miei secondi genitori. Una delle mie figlie, ormai maggiorenne, portava addirittura il nome della zia. E nel momento in cui la nostra famiglia aveva deciso di vendere quella casa io non riuscivo a smettere di aggirarmi fra quelle vecchie foto, i giocattoli come li facevano una volta, i libri della scuola dei miei cugini Tra le altre cose c'erano casse piene di biancheria ricamata a mano che il tempo aveva macchiato di giallo qua e la', ma piu' spesso ancora perfettamente utilizzabile.

E fu un caso se urtando una pila di bauli feci cadere la pesante cassa piena di lenzuola che era stata messa imprudentemente sopra a delle casse vuote.

Un tremendo rumore di legno che si spacca segui' alla caduta, ma a finir male fu soprattutto un grande quadro che era stato addossato alla parete. Il cofano ci era finito sopra e ne aveva spezzato in due la cornice, squarciandone anche la tela senza rimedio.

Bene, il quaderno, di piccole dimensioni e ingiallito dal tempo, era li', nascosto fra il dipinto - che per anni avevo visto nello studio dello zio - e lo strato di pesante canapa che ne proteggeva il retro dalla polvere.

Assieme al quaderno trovai delle mostrine che mi parvero da ufficiale di un qualche esercito (ma non di quello italiano), piu' una ciocca di capelli di un bel color rame scuro cui, curiosamente, erano stati mischiati altri capelli di colore diverso, di un colore molto simile a quello dei miei stessi capelli quando ancora non erano sale e pepe.

Cominciai a sfogliare il cimelio appena ritrovato e, vinto dall'emozione, lessi sul frontespizio il nome dello zio, deceduto ormai da anni.

Era un diario, ma ancora non capivo pero' perche' lo avesse nascosto in quel modo. Poi, leggendo ancora, capii, mano a mano che il racconto dei suoi vent'anni si fondeva con i racconti dell'orrore della guerra, della vita di trincea, la paura dei gas, le mitragliatrici mai esauste e la gioventu' che si frange contro alla banalita' del male, puro, insensato e grondante di sangue.

Mi sentivo indiscreto a leggere quelle righe; mi dicevo pero' che lo zio avrebbe distrutto il quaderno se avesse voluto impedire che qualcuno lo leggesse mai. Era toccato a me ritrovarlo, per cui proseguii.

Fu cosi' che nelle ultime pagine trovai il racconto di una missione nel cuore delle linee nemiche. 'Un suicidio', diceva il diario, una perlustrazione che avrebbe potuto durare giorni e giorni.

Lo zio non lesinava critiche al capo pattuglia, 'un esaltato in cerca di gloria e martirio', diceva. Questo lo metteva in agitazione, perche' capiva di essere davvero in pericolo. Ma non poteva dire no, sarebbe stato fucilato. Per cui si rassegno' a partire con lo sparuto gruppo di esploratori durante la notte.

Il racconto si interrompeva e poi riprendeva bruscamente. Si capiva che nel mezzo c'era stato uno scontro: la pattuglia aveva osato troppo, si era resa conto che non si poteva tornare indietro e mentre cercava di trovare un varco aveva incontrato un piccolo contingente nemico. Vistisi scoperti gli italiani avevano comunque potuto approfittare del fattore sorpresa. Ma le cose non dovevano essere comunque andate benissimo, perche' ora lo zio si diceva disperato, unico superstite in pieno territorio nemico con un prigioniero al seguito, un ufficiale austriaco ferito malamente ad un braccio, anche lui unico sopravvissuto del suo gruppo, che lo zio non era stato capace di uccidere a sangue freddo. Si dava dell'idiota per questo.

Lo aveva trascinato dentro ad una grotta, parecchio lontano dal posto dello scontro, dopo aver essersi sbarazzato di tutti i corpi - amici e nemici - buttandoli giu' da un burrone, dentro ad un torrente che li avrebbe portati lontano. In questo modo sarebbe stato molto piu' difficile, si diceva lo zio, determinare se qualcuno dei soldati infiltrati si fosse salvato.

In in quel momento quella dovette sembrargli la cosa meno sbagliata da fare, per cui si dette da fare per guadagnare tempo e sfuggire all'accerchiamento nemico che di sicuro avrebbe seguito allo scontro.

Intanto bisognava affrontare la situazione. Per un po' di giorni avrebbe potuto mangiare; si era portato via tutte le razioni dei compagni e pure quelle che aveva trovato sui corpi dei nemici uccisi. E l'acqua non sarebbe stata un problema perche' c'erano delle pozze vicino al nascondiglio. Ma come fare con il prigioniero?

Ora, anche a seguito della marcia forzata, era febbricitante. Lo zio, disperato, aveva pure provato a puntargli la pistola alla testa mentre quello tremava in preda al dolore. Ma poi, un attimo prima che il grilletto scattasse a seguito di un qualche comando automatico del cervello, l'ufficiale nemico aveva aperto gli occhi: grigi e profondi, pieni di dolore e di una disperata rassegnazione che in un attimo aveva svuotato la mano dello zio. Ora ne era sicuro: non lo avrebbe ucciso, non lo avrebbe potuto uccidere mai.

I due si erano guardati bene in faccia per la prima volta, l'ufficiale invasore prossimo ai quarant'anni e il ragazzino italiano di vent'anni. Entrambi costretti alla guerra.

Poi lo zio aveva preso delicatamente in braccio del ferito e gli aveva sfilato la giacca. La ferita era bruttina, o cosi' gli era sembrato. Lui l'aveva disinfettata e aveva visto che in effetti il proiettile era uscito e l'osso non era spezzato. Allora aveva tamponato il sangue e applicato delle bende rudimentali che poi aveva fissato al braccio con le cinghie di uno zaino. E nel frattempo l'ufficiale, semisvenuto per il dolore, aveva smesso di fargli paura.

Era un uomo, tutto qui. Un uomo vestito con una divisa di colore diverso, ma pur sempre un uomo.

Lo zio annottava stupito che gli sembrava persino bello quell'austriaco, molto bello, e questo non sapeva spiegarselo, perche' non gli era mai successo di avere pensieri di quel tipo.

Ma l'uomo di fronte a lui aveva un viso armonioso, virile ed elegante ad un tempo, e baffi ben curati, malgrado la barba di un paio di giorni ormai; e aveva un corpo forte, ben fatto e proporzionato e occhi grigi, cosi' profondi che, a volerlo fare, si sarebbero potuti leggere come un libro, mentre i pensieri ci correvano dentro veloci come nuvole

Una volta finita la medicazione, il ragazzo aveva preso la mano dell'uomo fra le sue mani e gli aveva chiesto 'perche'?'.

E l'altro, seppure con un forte accento straniero, l'aveva sorpreso parlando in italiano, cosi' come gli era stata formulata la domanda. 'Non lo so', aveva detto, e poi non aveva aggiunto altro. Ma lo zio era rimasto comunque senza fiato.

Si era ritratto verso un angolo della piccola cava che fungeva da nascondiglio e si era messo a fissare l'ufficiale nemico che aveva richiuso gli occhi e giaceva ancora tremante a pochi metri da lui.

Dopo un po' si era riavvicinato all'austriaco e gli aveva porto dell'acqua e qualche galletta. Gli aveva dato qualcosa per la febbre e li', mentre il buio cadeva definitivamente, avevano consumato il loro primo pasto insieme.

'La notte era troppo fredda', diceva il diario, 'e lui tremava ancora. Per questo mi sono avvicinato tanto a lui. Non potevo di certo accendere un fuoco! Pero' con il calore del corpo e usando la stessa coperta potevamo difenderci dal freddo. E cosi' e' stato. Non potevo immaginare che cosi' da vicino sarei stato quasi costretto ad abbracciarlo per poterci scaldare meglio. Ho sentito il suo corpo rilassarsi E il suo odore, il profumo della sua pelle misto al sudore della stanchezza! Avrei dovuto provare disgusto, e invece no. Per un attimo mi son sentito meno solo, ma Ma che stavo dicendo?!?

Non troppe ore prima quell'uomo e i suoi soldati avevano riempito di piombo i miei compagni!

Si', ma anche noi avremmo fatto lo stesso con lui, no? Era tutto cosi' confuso La sua voce, cosi' profonda e calma ... E ... perche' provavo quel senso di ... turbamento a stargli vicino?

Intanto lui si era assopito e sembrava tremare di meno. Cosi' io gli appoggiai il viso sulla spalla sana. E mi parve che per un attimo la guerra fosse finita'.

 

All'alba il ragazzo si sveglio' di soprassalto. Aveva tenuto la testa appoggiata all'ufficiale nemico per tutta la notte. Il suo petto, forte e spazioso, era stato il suo cuscino. Ma lui era gia' sveglio, chissa' da quanto, e lo stava osservando. Non aveva spostato la testa del ragazzo italiano, l'aveva lasciato dormire su di se', ma ora aveva la sua pistola. Gli aveva passato il braccio attorno alla nuca e con la mano sana gliela stava puntando alla testa. Era cambiato tutto: e il carceriere si era mutato in prigioniero.

'Mi levai di scatto', recitava il diario. 'Lui mi permise di allontanarmi un poco, ma senza smettere di guardarmi e continuando a puntarmi addosso la pistola. Capivo di essere perduto. Ora mi avrebbe sparato, oppure mi avrebbe strattonato, come avevo fatto io con lui, e mi avrebbe fatto marciare fino ad arrivare dai suoi. Mi avrebbero torturato per conoscere le nostre posizioni e poi mi avrebbero fucilato'.

Ma non successe nulla. L'ufficiale abbasso' lentamente l'arma e nei sui occhi, che per un lungo minuto erano sembrati essere di ghiaccio, ripresero a correre i pensieri simili alle nuvole.

Fu un attimo e il soldato italiano si riavvicino' al soldato nemico. Gli prese la mano fra le mani, ne accarezzo' il dorso e sussurro' 'danke', grazie nella lingua del nemico. Poi gli riappoggio' la testa sul petto e si mise a piangere, finalmente libero di essere ragazzo, finalmente capace di farlo.

L'altro passo' la mano fra i capelli del giovane. Solo un attimo prima aveva impugnato la pistola, ma ora no, non la impugnava piu'. Il ragazzo dai capelli scuri alzo' di poco la testa e avvicino' il viso a quello dell'uomo dai baffi color del rame. La distanza che separava le loro labbra smise di esistere e i due si baciarono a lungo, per ore ed ore, accarezzandosi, scoprendosi a vicenda. Il ragazzo dai capelli scuri poteva muoversi piu' liberamente dell'ufficiale, che soffriva per via della ferita al braccio. Cosi' fu il primo a spogliare l'altro e poco alla volta conobbe il sapore della pelle dell'uomo dai baffi di rame. Ne assaggio' il sudore e si inebrio' del suo profumo. E mentre - per farne vibrare la pelle -tuffava la lingua dentro al morbido il pelo che ne ricopriva il ventre e le gambe, il ragazzo si scopri' a pregare di non stare sognando, e chiese a Dio che piuttosto il cuore cessasse di battere in quel momento ma che la sua bocca non si staccasse mai dal ventre dell'uomo coi baffi.

E intanto anche il suo corpo era ormai nudo, e l'altro gli riservava le stesse tenerezze che lui gli aveva donato.

Prendendo l'iniziativa, l'uomo coi baffi color del rame comincio' a baciare il ragazzo fra le gambe, e incurante del fatto che entrambi non si lavassero da giorni ormai, con lentezza estenuante fece scivolare il sesso del giovane fra le sue labbra, succhiandolo dolcemente; anche il ragazzo - che imparava in fretta - fece lo stesso a lui. Non ci volle molto: il ragazzo senti' qualcosa dentro di se' che montava e lo riempiva completamente! Si accorse che di li' a poco sarebbe esploso, e cosi' fu, senza neppure rendersi conto che solo il grosso membro virile che aveva conficcato in gola gli impediva di urlare come un ossesso. E travolto da quell'onda il ragazzo penso' che sarebbe andato in pezzi se l'uomo dai baffi di rame non avesse continuato a tenerlo stretto cosi' forte, con l'unico braccio che poteva muovere. E mentre ancora la sua anima combatteva per riversarsi fuori da lui dentro alla gola dell'amato, il ragazzo senti' che il membro dell'uomo dai baffi di rame si gonfiava ed esplodeva come un attimo prima il suo, inondandogli la gola e la bocca del suo dolcissimo amore.

Passo' del tempo, nessuno dei due avrebbe potuto dire quanto. Poi si ricomposero, un po' imbarazzati, e si rimisero in una posizione che permettesse loro di potersi guardare ancora vicendevolmente negli occhi.

'Devi andare via', disse l'uomo con i baffi. 'Se stai qui ti troveranno e ti fucileranno'.

Il ragazzo non poteva dire nulla. Che lo uccidessero pure. Non voleva tornare in trincea a vedere il fango intriso di sangue.

'Devi andare via', disse ancora l'uomo con i baffi. La sua voce era ferma e profonda. Il ragazzo capi' che non avrebbe potuto opporsi a quell'uomo neppure volendolo.

L'ufficiale austriaco spiego' al nemico che cosa fare per poter evitare le pattuglie dei suoi. Gli indico' la direzione e disse che forse c'era ancora tempo per poter andare via.

E il ragazzo lo bacio' ancora, e l'uomo si perse ancora fra le braccia del giovane. E il giovane sfilo' gli stivali dell'uomo con i baffi color del rame e si arrese a lui baciandogli i piedi dolcemente, a lungo e con tanto amore quale non avrebbe mai immaginato di poter contenere.

Poi, in lacrime, si scambiarono una ciocca di capelli e l'ufficiale gli diede una delle sue mostrine. 'Klaus', gli disse, 'vienimi a cercare a quest'indirizzo quando questo inferno sara' finito. Non puo' e non deve durare. Vienimi a cercare'.

E il ragazzo fuggi' via, ubriaco della bocca dell'uomo con i baffi. Riusci' a tornare dai suoi e cadde in preda ad una febbre che lo tenne incosciente per giorni.

 

Il racconto si fermava qui.

Ora io sapevo perche' lo zio aveva viaggiato per anni ed anni fra l'Austria e l'Italia, anche dopo sposato. Aveva un socio in affari... un certo Klaus. Ma evidentemente non sapevamo tutto. Ne' avremmo comunque dovuto o potuto sapere tutto. La persona che amavamo e stimavamo sarebbe forse stata diversa se noi avessimo saputo?

No, non era cosa che potesse riguardare nessuno di noi.

Ma allora perche' lo zio non aveva distrutto il diario?

La risposta me la diedi da solo qualche anno piu' tardi, mentre un collega omosessuale in ufficio ci mostrava le foto del suo recente viaggio a San Francisco.

Ce n'era una bizzarra: era una lapide.

Diceva: 'Mi hanno dato una medaglia perche' ho ucciso un uomo. Mi hanno congedato con disonore perche' ne ho amato uno'.

Tornato a casa unii una ciocca dei miei capelli brizzolati al mazzetto dei capelli bruni e a quelli color del rame. 'Cosi' che l'uomo abbracci finalmente l'uomo', pensai.

E cosi' sia.

Siate benedetti.

Lupus


WWW.ORSIITALIANI.COM