Da Picasso a Jarmush

Recensioni varie di Emilio Campanella


ORSI PICASSIANI

Ebbene sì, cioè non proprioora mi spiego.

Sabato 19 febbraio sono intervenuto (in ottima compagnia) alla presentazione per la stampa, svoltasi nella Sala degli Scudi del Castello Estense di Ferrara, della mostra "PICASSO scolpire e dipingere LA CERAMICA" organizzata da Ferrara Arte e aperta sino al 21 maggio di quest'anno a Palazzo dei Diamanti della stessa città.

Se è vero che l'opera del grande spagnolo non ha assolutamente nulla a che fare con gli orsi, se non molto raramente in certi disegni erotici, è altrettanto vero che l'interesse suscitato fra gli orsi intervenuti per l'occasione fosse molto forte, e notare, parlo di orsi 'gai'.

Ergo, gli orsi amano Picasso !

Già io, di mio, ero in compagnia di un bellissimo esemplare riminese, ma le coppie non erano poche, e di qualità tutt'altro che trascurabile !

La mostra presentata molto agilmente dalla curatrice, Marilyn McCully (la medesima delle esposizioni di New York e Londra) offre una scelta molto ampia di oggetti, per la maggior parte inediti, che danno la misura dell'inventiva, se ancora una volta occorresse ribadirlo, e della capacità di gioco dell'artista, nel confrontarsi con forme per lui inusuali; quindi le brocche, i vasi, i piatti diventano realmente qualche cosa di differente pur restando oggetti d'uso quotidiano, ed è proprio un'avventura creativa che si percepisce fisicamente come ancora fosse nel suo farsi quando con pochi tratti trasforma un brocca in ritratto ! Talvolta bastano due linee sinuose su di un piatto bianco per rendere il busto di un fauno sorridente (uno dei temi più frequenti). Invece le piccole bottiglie si trasformano in figure femminili di grande effetto che ci riportano a modelli anche cicladici, sì, perché è sempre presente la tradizione antico mediterranea in molti dei pezzi con cui vengono reinventate, tra l'altro, ceramiche a figure rosse e nere; talvolta, addirittura "cocci" dipinti come frammenti di scavo in un godibilissimo gioco di rimandi.

Gli animali hanno uno spazio molto ampio, e sono spesso uccelli creati su forme di vasi a becco, e sappiamo quanto amasse le colombe, oppure capre, presenti in tutta la sua opera o ancora, ovviamente i tori in tuttotondo (una bellissima testa) o in scene di tauromachia rese in campo lungo su piatti ovali di portata con effetti fi luce/ombra come la visione di un'intera arena gremita con al centro gli attori del dramma.

'Classicissime' figure di flautisti accosciati, e poi nature morte dipinte, incise, ad altorilievo; una magnifica mano posata su di una tovaglia e poi piatti-ritratto: tristi, ilari, arcigni, un po' folli e la lista sarebbe lunghissima, per cui vi propongo una mia scelta personale: per esempio un fauno femmina di rara simpatia; un piccolo malinconico fauno seduto (eh, sì, un altro !) una testa e busto di fauno (ancora !!!) su mattonella, un po' ursino, a dir la verità; un piatto astratto rosso e nero; un divertentissimo insetto; ancora una testa di fauno (l'ultimo, giuro !) come una sfera incisa con pochi tratti; una testa di donna resa sul fondo di una pentola; un vaso intitolato "Bikini" color terra, tronco conico, e poi panciuto verso il basso, due segni incisi al centro, due fasce di giallo sagomate, in alto e in basso, ed ecco il busto di una donna abbronzata ! Concludo con un divertentissimo Priapo "totemico" di un'ingegnosità sorprendente.

Dopo tutto ciò l'invito a pranzo in un buon ristorante di Piazza Ariostea, con tanti orsi gomito a gomito.

Emilio Campanella



LE POLIGRAPHE di Robert Lepage

Risulta strano come un regista attento e sensibile come Robert Lepage continui, negli spettacoli con attori italiani, ad affidarsi a interpreti così mal scelti, e mi limito a questo ! Confesso di essere partito con un buon entusiasmo al ricordo del bel film omonimo che lo stesso aveva tratto da questa sua pièce, e visto qualche anno fa alla Mostra del Cinema di Venezia. Tanto quello era intrigante, sospeso, misterioso e aveva un affascinante e voluto sapore teatrale ed elegante, quanto questa risulta man mano che la vicenda ci viene raccontata, attraverso ventidue scene definite con proiezioni che indicano luogo e ambiente spazio-temporale cinematografico tipici delle sceneggiature, diviene sempre meno interessante dando l'impressione di girare su se stessa. Gli episodi risultano un po' ripetitivi anche per un impianto scenico fisso e per la schematicità della 'sceneggiatura'; di volta in volta qualche elemento differenzia gli ambienti ma con una tendenziale ripetitività di una vicenda sempre meno interessante anche perché ancora ci sono delle coazioni a ripetere in certe scene, e veramente non se ne può più di questo modo di far teatro: speravamo di essercene liberati, e invece no. Certo che l'imperizia degli attori di cui parlavo sopra, in primis Stefania Rocca dalla voce gradevolissima che dobbiamo sopportare anche in una "interpretazione" che vorrebbe forse essere straniata, del monologo di Amleto (la ragazza della storia vorrebbe fare l'attrice) il peggiore della mia lunga memoria di spettatore; peraltro è molto difficile per una pessima interprete rendere una cattiva attrice, e neppure il fisico la salva perché ci vorrebbe ben altro per certe scene di nudo. Meglio in questo i due uomini di buona prestanza e che specialmente per Nestor Saied (che non è italiano, ma che ha oltre al resto un accento pesantissimo) si muovono molto armoniosamente nelle scene di sola gestualità, che sono le migliori. Se si trattasse di uno spettacolo solo 'danzato' sarebbe sicuramente di maggior impatto; ci sono non poche belle immagini forti, anche se, pur conoscendo l'immaginario erotico del regista, non sempre siamo d'accordo sul suo modo di proporcelo/imporcelo. Non c'interessa molto che François (Giorgio Pasotti) sia frocio e maschilista e che ce lo faccia capire sino alla noia, mentre ci manca molto la presenza del 'poligrafo' del titolo che, alla fine di tutto, sorta di macchina della verità per gli interrogatori, determina tutta la vicenda.

Emilio Campanella


DUE MOSTRE VENEZIANE

E' divertente pensare che entrando nella biblioteca delle ormai lontana terza avventura di Indiana Jones, ci si possa trovare in mezzo a capolavori di oreficeria e di arte sacra ! In effetti nella chiesa di S.Barnaba, sul campo omonimo è allestita la mostra "I tesori della fede" manifestazione dovuta al Giubileo; se il titolo è vago e presuntuoso, l'occasione è comunque interessante, infatti; ancora una volta, i pezzi riuniti ed esposti meritano una visita più che attenta, e per la suggestione del luogo e per la cura dell'allestimento, con alcune delle opere sistemate ai piedi degli altari con le pale a fare da sfondo in un attento gioco di riferimenti.

Le arti applicate sono un tripudio di ori, argenti, pietre preziose e semipreziose a racchiudere frammenti attribuiti ai santi più svariati, dai più noti dello star-system paradisiaco, ai più oscuri, e magari, per questo, anche più simpatici.

Autentiche meraviglie sono: un Artophorion a forma di tempietto, bizantino, del XII secolo dal tesoro di S.Marco ; una legatura di Evangilario del XIII, dalla biblioteca Marciana, con sostituzioni del XIV, un vero capolavoro visto e stravisto a tutte le mostre del settore e di cui non ci stancheremo mai di ammirare le piccole figure intere o a mezzobusto a smalto di santi e le pietre incastonate; un reliquiario a portella di manifattura boema del XV secolo con aggiunte dal XVI al XVII; una Pace raffigurante la Pietà fra S.Rocco e S.Sebastiano, veneziana, fra il 1518 e il 1520; un sontuoso busto reliquiario in legno scolpito e parzialmente rivestito in lamina d'argento e d'argento dorato; diversamente una ampia scelta di cartaglorie settecentesche di notevolissima qualità.

Ci sono alcune notevoli opere scultoree fra cui scelgo un interessantissimo angelo annunciante attribuito a Marco Romano (ante 1331), una Pietà lignea policroma di scultore veneziano della seconda metà del sec. XV, un busto del Salvatore di Lorenzo Bregno (1510-1515) la cui bellezza del volto e la dolcezza dello sguardo si ricordano a lungo; concludo con un gruppo marmoreo di Giovanni Maria Morlaiter; l'apparizione di Gesù Bambino a S.Antonio da Padiova (1729/30) in cui il contrasto fra le poco dissimulate durezze del santo e la morbida paffuta spontaneità del bimbo che con cipiglio indica la pagina di un libro aperto la dice lunga su di un "messaggio d'amore" come in questi giorni, mi sembra venga intitolato da un'opera a fascicoli distribuita da un settimanale a grande tiratura. Un messaggio d'amore così frainteso dalla Chiesa; sono di queste settimane i discutibili pentimenticosì incompleti, e non voglio aggiungere altrovedremo che cosa ci porterà il prossimo luglio!

Poco lontano, sempre nello stesso sestiere, tra l'Accademia e la Salute, la Peggy Guggenheim Collection, Venice, ha organizzato una delle sue magnifiche mostre, questa volta dedicata a quelle che vengono definite "Amazzoni dell'Avanguardia" che, bisogna dirlo, non hanno proprio nulla da invidiare ai loro compagni di strada dell'allora area sovietica, nei percorsi che toccano e nelle loro ricerche formali, siano esse cubiste, suprematiste o altro. Si tratta di sei signore: Alexandra Exter di cui ricordo la Venezia reinventata dell'illustrazione; Natalija Goncarova dalle tele forti come le quattro dedicate agli Evangelisti, o la mietitura; Ljubov Popola con alcuni esempi cubisti fra i più belli dell'epoca ed alcune composizioni cromaticamente spazialmente perfette; Olga Rozanova di cui ricordo "Fascia verde" del '17; Varvara Stepanova legata al futurismo e della quale sono esposte alcune tele di dinamicità elettrizzante; ed ultimo, me per il mero ordine alfabetico, Nadezna Udalcova, anche lei fra cubismo e suprematismo.

Con l'occasione, come sempre, un bel giro in questo museo discreto ed elegante, SEMPRE così ben frequentatoa buoni intenditori

Una mostra, comunque, veramente da non perdere e che dice molto di più e molto meglio di quella dedicata allo "Spiritualmente Russo" di Palazzo Forti a Verona e chiusa a Gennaio. Per questa avete tempo fino al 28 maggio 2000.

Emilio Campanella


SE AVETE BISOGNO DI PRETESTI ...

Se avete bisogno di pretesti per recarvi a Padova, eccovene uno in più: la bella mostra "Dal medioevo a Canova" Sculture dei musei civici di Padova dal Trecento all'Ottocento agli Eremitani sino al 16 luglio 2000.

E' già da qualche anno una consuetudine delle strutture mussali di questa città quella di 'organizzare' i propri tesori creando percorsi ragionati così da stimolare il pubblico in varia maniera.

Questa volta è la scultura che la fa da protagonista con un iter che parte appunto, dal '300 con esempi di marmi, e terracotta con tracce di policromie, alcune di bottega di Donatello, per arrivare già ben oltre, e i frammenti magnifici di un Compianto sul Cristo morto di Guido Mazzoni della medesima forza di quello di Bologna; tre grandi figure a grandezza naturale in terracotta attribuite ad Agostino e Giovanni De'Fundulis; in una sala successiva ci sono due Madonne piangenti, una testa di Madonna di Andrea Brioso e una Madonna con bambino di artista padovano della medesima epoca e tutte in terracotta policroma; una bella testa/ritratto in marmo, di Michelangelo, di scultore toscano. C'è un'intera parete di medaglioni marmorei con profili in bassorilievo (76 per l'esattezza !) di Giovanni Bonazza e aiuti. Alcune opere di ispirazione mitologica di Francesco Bartos e altre di Orazio Marinali fra cui una potente testa mozza di Oloferne che sicuramente A.Wildt conosceva molto bene; fra le curiosità di vario 'genere' appunto alcuni bozzetti e piccoli gruppi in terracotta di contadini vari (Jean Pierre Varion) e un interessante 'contadinello filosofo' in gesso e legno di Pietro Danieletti, e ormai l'800 è alle porte.

Tutto è "immerso" nel percorso abituale di quel bel muso che snoda le sue collezioni su vari piani di due chiostri e che si trova fra l'omonima chiesa amorosamente ricostruite dopo gli immensi bombardamenti e la Cappella degli Scrovegni. Orsi ? Questa volta no, ma a Padova non mancano locali MOLTO confortevoli dove se ne possono trovare di ottima qualità.

Emilio Campanella



GHOST DOG di Jim Jarmush

E' uno stranissimo film, questo, che vede trionfante protagonista, l'orso nero Forest Whitaker che interpreta un killer solitario parente stretto di quel "Samurai" melvilliano allora algidamente interpretato da Alain Delon in un'opera sospesa e altrettanto affascinante. Qui il riferimento/omaggio è chiaro, ma ci sono maggiori spunti di divertimento tipici del mondo bislacco del regista. Ghost Dog, come veniamo a sapere attraverso un flashback, è salvato in gioventù, da morte certa, da un mafioso al quale si sente debitore, e che più tardi eleggerà a 'padrone' nell'accezione dell'antico codice samuraico (legge abitualmente lo HAGAKURE, scritto nel 1716 dal samurai Yamamoto Tsunatomo 1659/1719 di cui appaiono in sovrimpressione o come certi cartelli passi a commento degli episodi), coltiva, infatti, le arti marziali e il suo rifugio sui tetti è popolato di oggetti devozionali tipicamente estremo orientali, salvo poi affidarsi alle più avanzate tecnologie, e, però delegando, per le comunicazioni, un piccione viaggiatore, che rappresenta con il suo volo, a guida dello stormo che abita con lui o in solitario la magnifica ripresa dall'alto iniziale e alcune delle più belle piano-sequenze, ma certo anche l'ansito di libertà e il rapporto di attrazione verso il cielo del protagonista nella sua pulsione di morte.

Ad un certo punto, ovviamente, accade un incidente e la figlia del boss assiste all'assassinio del suo amante decretato dalla 'famiglia'; venendosi a sapere che l'esecutore è nero, la situazione precipita poiché il razzismo degli italiani vuole vendicare il povero morto ammazzatouno degli spunti di divertimento è proprio questo, infatti l'imbarazzo di dover raccontare che il killer è di colore davanti al consesso è veramente esilarante, salvo poi la gustosa notazione di un altro che ama il 'rap' (la colonna sonora è magnifica). Conviene ricordare che la involontaria 'femme fatale' legge Rashomon (Akutagawa è uno dei più sottili e ironici autori nipponici a cavallo tra otto e novecento) e lo presta al nero. A questo punto la macelleria ha inizio e i morti non si contano, sino a una resa dei conti finale dichiarata dai protagonisti, molto simile a un duello western, tra l'altro suona mezzogiorno, salvo il nero, presentarsi disarmato del suo "signore".

Ci sono notazioni e temi di grande gusto: i mafiosi vedono abitualmente cartoni animati classici dove, come sempre, tutti se ne fanno di tutti i colori; la comunità nera è popolata di personaggi affettuosamente tratteggiati come Raymond (Isaach De Bankolé) saggio gelataio haitiano amico dell'orso nero: l'uno parla solo americano, l'altro solo francese ma si dicono le stesse cose e il "feeling" è assoluto. Da lontano assistiamo a un tentativo di aggressione, il vendicatore sta per intervenire, ma poi si rende conto che non occorreInterverrà, invece dopo l'uccisione di un povero orso (nero e vero) da parte di due bracconieri che non faranno molta strada, e sull'ursinità di fondo del film e dell'esaltazione della vita solitaria conviene aggiungere che è proprio Raymond a mostrare un libro sugli orsi alla giovanissima Perline (Camille Winbush dal faccino molto intelligente) la quale gira per il quartiere con i libri che ama di più nella sua valigetta da bambina, che conterrà, prima che torni avventurosamente alla primitiva proprietaria anche Rashomon, e dove troverà posto, in sottofinale, anche lo Hagakure, dono d'addio di G.D. Come si nota i temi sono tanti in un film sfaccettato che strizza l'occhio in tutte le direzioni, con una abilità che non sorprende e che può anche disturbare: un mio amico orso/cinéphile è fuggito indignato definendolo, a metà, :intollerabile ! 'chacun à son gout' straussianamente citando. Io sono rimasto colpito anche se , forse, qualche minuto di troppo ci può essere, ma la maestria dei movimenti di macchina e l'introspettiva melanconia che emana da ogni espressione e da ogni movimento di W., che si conferma interprete sensibilissimo, aggiungono merito a questo film dalle molte qualità.

Emilio Campanella


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