ORSI ITALIANI MAGAZINE


La Vendemmia (Terza parte)

Un racconto di Ste

All'ora del pranzo.

All'ingresso del bagno trovai un paio di sandali in pelle visibilmente usati, l'impronta piu' scura della pelle ammaccata dai piedi del proprietario confermava le dimensioni ragguardevoli dell'arto. La tentazione fu di annusare quel nido di aromi. Ne sollevai una ed inspirai lentamente. Nulla. Un grosso asciugamano da albergo lasciato a terra impregnato di acqua era servito come tappetino per i miei orsetti ed era cosparso di peli di cazzo. Un sapone striato di scuro, usato da poco era stato abbandonato dentro la doccia sul pavimento ed era quanto mi serviva per detergermi il corpo e per cominciare a liberare la mente dalle pulsioni da sgualdrina che non si erano ancora sopite del tutto. Avevo lasciato i vestiti di sotto ad asciugare e la coperta di lana era ancora abbandonata sul sofa', dove venne gettata.

Faceva freddo, mi sfioravo i capezzoli intirizziti solleticandomi la fantasia. Il buco del culo, costretto ad un lavoro nuovo e pesante, mi bruciava ancora. Toccandomi di dietro ritrovai la punta delle dita macchiate di sangue. Mi faceva male anche il cazzo, ed anelavo soltanto ad una doccia calda che avrebbe risolto anche questi problemi.

Lasciai la porta aperta. Nulla di cio' che potevano vedere i curiosi mi avrebbe imbarazzato. Avevo ripetutamente assaggiato la crema dei loro testicoli attingendola direttamente dalla fonte, avevano usato il mio corpo in ogni modo che la fantasia o la crudelta' umane potessero concepire. Mi avevano pisciato addosso ed io mi ero masturbato davanti a loro abbandonandomi totalmente a loro e mostrandomi in tutta la mia nudita' fisica e morale. Avevano imparato di me in poche ore cose che io nemmeno avevo ben chiare. Giurai di non nascondere piu' nulla di me, di essere me stesso. Forse tornati alla civilta' mi avrebbero additato al mondo per quella puttana che mi sono scoperto e che mi hanno scoperto essere, per quel pederasta succhiaminchie, frocio che forse ho sempre saputo di essere. Loro mi avevano usato, loro erano ancora i maschi, io ero la femminuccia, la signorinella che lo prende cosi' come glielo vogliono dare, la schiava che ubbidisce e non ha amor proprio.

Lasciai scorrere l'acqua per qualche secondo ed entrai lasciando che l'acqua mi accarezzasse il viso, il collo, che si spartisse tra il petto, la schiena, le natiche e le mie poderose gambe. Il mio petto ricciuto ne tratteneva molta e fu una gioia per me cominciare ad insaponarmi da li. L'aroma di limone del sapone allontanava quell'odore acre che mi portavo addosso. Diedi una bella insaponata alla testa, al pube, alle gambe. La sborra che i miei orsi mi avevano spruzzato addosso si era rappresa come un albume d'uovo e mi appiccicava i peli. Dovetti sciacquare e ripetere prima di essere finalmente lindo. Rimasi ad aspettare che l'acqua defluisse di dosso, quindi uscii. Raccolsi quell'unico asciugamano che mi lasciarono e quando ebbi finito di usarlo infilai quei sandali di almeno due misure piu' grandi dei miei piedi, ammorbiditi da anni di uso.

Ciabattai nudo e infreddolito fino al pianerottolo e scesi le scale.

Entrai in cucina che tutti stavano gia' mangiando e vidi che nessun posto era stato preparato per me. Quattro sedie, quattro corpi nudi, maschi fasci muscolari che riempivano la stanza.

- 'Ecco la nostra troietta con il buco del culo sfondato' esordi' Franco.

Gian si volto', si lecco' le dita e disse ridendo : 'Qui soldato, a quattro zampe, a raccogliere gli avanzi che ti lanciamo' e seguito' a mangiare.

- 'Strozzati e crepa!' gli dissi.

Lui si fermo', tutti si guardarono in faccia, guardarono me e guardarono lui. La sedia emise un irritante stridio, trascinata come fu sul pavimento da quella montagna di grasso e muscoli. Si alzo', mi afferro' per la collottola con la sua mano e mi sferro' un pugno nello stomaco con tutta la forza che aveva.

Mi piegai addosso a lui, mettendogli le braccia al collo e appoggiando la faccia al suo petto irsuto. Il dolore fortissimo mi fece tossire ripetutamente e mentre tossivo strisciavo il volto fra i capezzoli, poi sullo stomaco, l'ombelico e infine il cazzo che ricominciava di nuovo a prendere consistenza. Afferrai le natiche e mi inginocchiai ai suoi piedi nudi. Mi butto' in terra con un calcio e mi premette il piede sulla guancia. Io restai in quella posizione gemendo.

- 'Lascialo gorilla' disse Ermanno, 'dai torna a mangiare e lascialo perdere'.

- 'Lascialo perdere un paio di palle!!!, sto frocio deve imparare chi e' che comanda!! Hai capito?' e premette il suo piede ancora di piu'.

- 'Mi e' venuta una idea' disse Piero. 'Portiamolo di sopra'.

- 'Dove? In camera da letto?' chiese Ermanno.

- 'Macche' camera da letto, su in soffitta, ho in mente un giochetto per insegnargli la lezione a sto stronzo'.

- 'Cosa volete ancora da me?' piagnucolai. Ma quella montagna di uomo mi prese per il collo e mi trascino' bestemmiando di sopra. Piero ci segui' e, arrivati al primo pianerottolo, vidi arrivare anche Ermanno e Franco che stava ancora masticando il suo boccone e si fregava le mani dicendo a Ermanno: 'Cosa avra' in mente?'.

- 'Non lo so, ma non voglio perdermi lo spettacolo'.

Se non amate il sadismo, se credete che si possa godere solo con la dolcezza e la complicita', non andate oltre, vi rovinereste l'appetito.

La soffitta era un unico ambiente con una altezza abitabile e tante travi di legno alle quali erano attaccati ganci e chiodi. Piero e Gian mi spinsero dentro. Caddi in avanti e i due mi furono addosso, mi afferrarono i polsi e mi legarono due corde che fecero passare in due ganci fissati ad una trave del tetto ad un paio di metri di altezza e distanti fra loro almeno un metro. Tirarono le corde e mi issarono sollevandomi da terra di qualche centimetro, dopo di che fissarono le corde e io rimasi appeso come un porco al macello. Non riuscivo a toccare terra con la punta dei piedi e per evitare che le corde mi chiudessero le vene dei polsi afferrai i due ganci con le mani e feci forza sulle braccia e sulla schiena.

Mi legarono due corde alle caviglie fissandole ai muri. In questo modo non potevo avvicinare tra loro i piedi per meno di 60 centimetri.

- 'Ora che cosa facciamo al nostro bel soldatino'.

- 'Guarda' disse Gian. E comparve davanti a me con un bel paio di giberne militari che a mo' di bretelle gli schiacciavano i peli delle spalle e del torace. Si incrociavano dietro la schiena mettendo in evidenza i muscoli dorsali ed erano fissate in vita da un cinturone torchiato. Il tutto conferiva alla bestia un'aria militaresca, sensualissima, a me molto famigliare.

Da una delle tasche estrasse una piccola spazzola con setole di plastica molto rigide, mi cinse la vita con il braccio sinistro tirandomi a se' e comincio' a spazzolarmi il capezzolo sinistro. Il freddo e l'umidita' di quella soffitta avevano reso i miei capezzoli duri e gonfi di sangue. La prima passata basto' a farmi sospirare dal dolore e lui eccitato dalla mia sofferenza continuo', ridendo e sbavando, a martoriarmi i capezzoli. La mano che mi afferrava da dietro scese lentamente fra le natiche, ne segui' il solco ed arrivo' al buco del culo. Comincio' a massaggiarmelo mentre mi succhiava e mordicchiava con forza l'altro capezzolo. Mi infilo' un dito nel culo e mi fece con il dito. Ripose la spazzolina nella tasca e mi afferro' il pene ormai gonfio e dolorante.

-'Tieni', disse a Piero, 'lavoratelo tu un po,' e Piero mi afferro' la mazza cominciando a sfregarmela con le mani.

Gian passo' dietro, si appoggio' alla mia schiena proiettandomi in avanti verso Piero e regalando il mio corpo a quel bastardo torturatore.

Mi passo' le braccia sui fianchi e mi afferro' i capezzoli con le dita. Mentre Piero abusava del mio cazzo, Gian comincio' a muovere le dita alla base dei miei capezzoli e comincio' a strizzarli con cattiveria, afferrandoli e tirandoli in avanti.

Poi passava una mano sul mio petto fulvo e scendeva giu' ad accarezzarmi il pube mentre Piero aveva cominciato a spompinarmi afferrandomi i coglioni. Ansimavo di piacere e per assatanare ancora di piu' i miei orsi, mettevo in mostra tutta la mia muscolatura sollevandomi con le braccia alla trave a cui ero incatenato. Ad un tratto Franco scosto' Piero e prese a succhiarmelo come una pompa. Mordeva e succhiava. Gli venni in faccia ed egli si lecco' le labbra senza deglutire. Poi mi si avvicino', mi afferro' la testa e mi sputo' in bocca il mio stesso seme. Ingoiai i nostri umori.

Gian da dietro le spalle continuava a giocare con i miei capezzoli e con il mio randello, finche' Ermanno comparve dinnanzi a me con un cavo elettrico in mano. Lo svolse come un flagello e disse a Gian 'Levati da li che cominciamo il divertimento'. Gian mi afferro' i pettorali con le mani, mi schiaccio' i testicoli e mi diede una leccata sulla schiena, giu' fino alle natiche e dopo avermi dato un morso si sposto' davanti a me come avevano fatto gli altri. La mia ennesima erezione eccito' il mio pubblico.

Franco porto' tre sedie e si sedettero mentre Ermanno continuava a farmi ballare davanti il suo scudiscio. Era in erezione, ben scappellato.

- 'Cosa volete farmi?' dissi implorando.

- 'Adesso lo vedrai'. Indietreggio' di un passo e comincio' a frustarmi. Il cavetto compiva un mezzo giro e schioccava a volte sul capezzolo, a volte appena sotto rigandomi l'epidermide di strisce violacee. Mi sforzavo di non urlare digrignando i denti in una smorfia di dolore. Volevo dimostrare loro come un soldato, un uomo, affronta la tortura. Continuo' per almeno mezz'ora che mi parve una eternita'. Ad ogni colpo corrispondeva un sospiro finche', constatata la difficolta' nel farmi urlare, ormai esausto passo' il testimone a Franco che non vedeva l'ora di possedermi. Mi venne dietro, mi allargo' le natiche e comincio' a scoparmi palpeggiandomi il petto e il batacchio. Le sue mani ruvide sulle ferite mi tormentavano ed eccitavano contemporaneamente.

- 'Vedi, come ti trattiamo? Il bastone e la carota. Questo e' il bastone' e mi penetro' con maggiore vigore spingendo e spingendo. Io cercavo di allontanarmi da quella nerchia dura e vigorosa facendo forza sulle braccia, ma egli mi afferrava le spalle e mi schiacciava verso di lui. Quando mi venne dentro il suo stantuffo rovente mi rovescio' una calda eiaculazione. Se ne torno' a sedere e fu il turno di Piero. Afferro' con violenza i miei capezzoli sanguinanti pizzicandoli e ridendo insieme agli altri. Il suo randello si era indurito e me lo fece sentire all'imbocco del culo ma non me lo diede malgrado facessi di tutto far sporgere il sedere dalla mia scomoda posizione. Si inginocchio' dietro di me e comincio' a succhiarmi i polpacci e le cosce mordendole e poi leccando la sborra di Franco che mi colava copiosamente sulle gambe. Giro' davanti e fece la stessa cosa afferrandomi le natiche e mordendomi le gambe. Poi si alzo' mi bacio' e succhio' i capezzoli e mi diede una palpata al sedere. Mi afferro' le palle avvicinando la sua bocca alla mia e buttando fuori la lingua, mi giro' di dietro e allora soddisfo' la mia voglia di cazzo e la sua voglia di un buco di troia. Mi fotte' con violenza estraendo e infilando il suo cazzo nel mio buco decine di volte ed ogni volta erano guaiti di cagna. Venne subito dopo dentro di me, poi mi lascio' soddisfatto. Gian se lo stava menando dicendo a Piero: 'Allora hai finito? Quando tocca a me?' . appena Piero fu fuori un nuovo atroce dolore mi fece gridare. Gian fu dentro in un unico dolorosissimo istante. Fece tagliare le corde che legavano le mie caviglie e mi afferro' sotto le ginocchia sollevandomi le gambe e facendomi saltare mentre mi possedeva. Non so quanto continuo', forse dieci minuti,...dieci interminabili minuti con quella verga nel culo. Stavolta memorizzai la lezione e decisi che non mi sarei piu' ribellato.