ORSI ITALIANI MAGAZINE


Il vicino di casa

Un racconto di Kuma

 

IL VICINO DI CASA (basato su una storia in parte vera)

Conoscevo Alessandra sin dai tempi del liceo in quanto frequentavamo la stessa scuola ma lei è di un paio d'anni più giovane di me e stava pure in un'altra sezione. Non eravamo quindi propriamente amici e ci si salutava perché entrambi, ma non eravamo gli unici, quasi tutte le mattine arrivavamo a scuola in ritardo con lo stesso autobus. Noi due salivamo alla medesima fermata ma durante il percorso si aggiungevano altri compagni di diverse classi, per cui alla fine si era formato uno strano gruppetto alquanto affiatato, accomunato dal non riuscire quasi mai a uscire di casa per tempo e disperazione di bidelli e vicepreside. I miei professori si erano rassegnati ad aspettare a considerarmi assente durante l'appello della prima ora giacché prima o poi, ansimante, facevo sempre il mio ingresso in aula.

Per quanto abitassimo nello stesso quartiere poco tempo dopo la mia maturità persi quasi del tutto di vista Alessandra, a causa dell'inizio della vita universitaria e del fatto di vivere in una grande città. Stranamente ogni tanto ci capitava di rivederci per caso nelle situazioni più impensate, nel vagone di una metropolitana o all'uscita da un cinema, e nei pochi minuti a disposizione ricordavamo i bei tempi andati e ci si aggiornava rapidamente delle svolte che le nostre vite avevano preso nel frattempo. Sono sicuro che Alessandra un pensierino su di me lo aveva fatto più volte ma io imperturbabile resistetti sempre, e quando un giorno mi disse che si era sposata stupidamente tirai un sospiro di sollievo. Al di là di tutto ero francamente contento per lei che mi sembrava felice e serena.

Una sera ricevetti una telefonata a casa: "Ciao Stefano, sono Alessandra ti ricordi di me? Sono tornata ad abitare in zona, proprio accanto a casa tua. Ti va di vederci per bere qualcosa?". I sentimenti più contrastanti mi sorpresero all'improvviso, perché pur facendomi piacere risentirla non è che avessi così tante cose da raccontarle o da volerle dire di me. Mi feci coraggio avendo intuito che non me ne sarei liberato facilmente e decisi di cavarmi il dente in fretta. Ci incontrammo due giorni dopo e per fortuna parlò quasi sempre lei, del suo lavoro, dei suoi gatti, della vita fuori città fatta fino ad allora che non le andava più, motivo per cui era arrivata in avanscoperta a cercare una casa da acquistare.

Tutto rientrò nella quotidiana normalità fino a che un giorno un'altra sua telefonata fu una vera tegola in testa. "Sai ho trovato una casa da comprare: è nel tuo stesso palazzo, al sesto piano! Mi trasferisco lì con mio marito Francesco fra qualche mese". Il solo pensiero del suo trasloco era un incubo ma potevo fare solo buon viso a cattiva sorte perché non avevo nessun mezzo per impedire la sciagura.

Il tempo trascorse senza grandi novità, tranne che per la conferma dell'avvenuto rogito, fino a che all'avvicinarsi delle vacanze di Pasqua la chiamai per farle gli auguri. La trovai decisamente turbata e all'improvviso lei mi disse: "Guarda che nel citofono non troverai il mio cognome" ­ ohibò ci sarà solo quello del marito, in fondo sono sposati, non c'è niente di strano pensai tra me e me ­ "Io e Francesco ci stiamo separando e in quell'appartamento andrà a vivere solo lui". Rimanere di stucco e non sapere più che pesci pigliare fu la prima istantanea reazione, dopodiché un impacciato e un po' stupito "Ah!" uscì dalla mia bocca. "Non ho voglia di parlartene adesso, scusami" riprese lei, ed io che non potevo considerarmi così in intimità da osare chiedere di più le dissi solo che non c'era problema e che restavo a sua disposizione.

Era una bella giornata di sole di fine maggio quando nell'atrio per la prima volta incontrai Francesco davanti all'ascensore. Alto 1.85, capelli corti neri ben tagliati, occhi verdi, pizzetto curato, occhiali che gli davano un'aria un po' da intellettuale, molto molto ben piantato su due piedi taglia 46. Un eccitantissimo orso dallo sguardo un po' languido, proprio quelli che piacciono tanto a me.

Vincendo la mia proverbiale timidezza gli chiesi se per caso lui era, eehhmm, l'ex marito di Alessandra. "Tu devi essere Stefano, Alessandra mi ha parlato molto di te". Rotto il ghiaccio arrivò l'ascensore e salimmo insieme fino al mio piano. Prima di lasciarlo, sorprendendo me stesso, gli dissi: "Se ti serve qualcosa chiamami pure" "Non mancherò" mi rispose lui lanciandomi un sorriso cordiale, e bastò quello perché finito di chiudere la porta a chiave io fossi già cotto perso di lui.

Il problema a quel punto era di studiare una strategia di avvicinamento plausibile e non compromettente, ma più mi sforzavo a pensarla e meno soluzioni trovavo. Finché passate tre settimane mi decisi di fare il grande passo e con la scusa, da fumetto, che mi mancava dello zucchero andai a suonare alla sua porta una calda domenica pomeriggio di inizio estate.

Francesco aprì e mi fece accomodare in casa per niente disturbato da quella visita improvvisa. Mi accolse in pantaloncini beige e canottiera blu scuro che metteva in risalto due grandi braccia pelose, un petto ampio ed una pancia promettente. Ai piedi dei sandali a fascia molto eleganti. "Ciao, che piacere rivederti. Stavo leggendo qualcosa in terrazza. Vuoi bere qualcosa di fresco?"

Ringraziandolo entrai e lo seguii per un giro dell'appartamento. Il suo dorso muscoloso mi faceva pensare ad una tavola da surf su cui cavalcare le onde. Aveva arredato le stanze con armonia e buon gusto e nella camera da letto molto luminosa regnava un bellissimo lettone matrimoniale in leggero disordine.

Non pensavo che nel nostro palazzo ci fossero alloggi con balconi così grandi e il suo tra l'altro appariva molto nascosto dall'intrusione di sguardi esterni. Ammirai sinceramente come si era sistemato e come battuta commentai che da lui si poteva prendere anche il sole nudi. "Ma certo io l'ho già fatto e non ci sono stati problemi. Se ti va perché non ti spogli e rimani a tenermi compagnia?". Rimasi basito ma riuscii a rispondergli "Vado a casa a prendere un telo e la crema solare e torno". "D'accordo ti lascio la porta aperta e nel frattempo ti verso del té freddo". Più che di una bevanda fredda avevo bisogno di una doccia fredda perché dentro ai jeans sentivo iniziare un'erezione incontrollabile e se mi fossi svestito subito non so che figura ci avrei fatto.

A casa mi calmai un attimo e mi cambiai rapidamente. Giunto al piano di sopra mi diressi nuovamente verso il terrazzo dove Francesco aveva già steso due materassini per terra. Si era messo completamente nudo e adesso si stiracchiava dandomi le spalle.

Aveva due belle gambe sode e villose e un sedere glabro con dei glutei morbidi. Era già leggermente abbronzato su tutto il corpo, lo notai solo allora, ma i pensieri si interruppero quando voltò il viso e mi guardò da dietro i suoi occhiali con uno sguardo dolce. "Dai togliti i vestiti e stenditi che ti massaggio con la crema solare". Mi denudai davanti a lui senza provare la benché minima vergogna, come se avessimo già acquisito un'intimità che dovevamo ancora, lo speravo ardentemente, scoprire. Il mio cazzo iniziava ad andare leggermente in tiro ma non a tal punto da creare eventuali problemi. Mi stesi sul mio asciugamano e lui si mise a cavalcioni sulla mia schiena e iniziò a ungermi e a palparmi con le sue dita robuste. Il suo peso su di me, l'odore della sua pelle che giungeva alle mie narici, l'atmosfera che si era creata, la rilassatezza di una domenica tranquilla mi fecero venire un lieve capogiro. Quando senza che quasi me ne rendessi conto mi girò a pancia in su il mio pene era turgido e la punta iniziava a gocciolare il liquido del mio godimento. "Ehi, e questo cos'è?" esclamò ma prima che io potessi ribattere aveva preso il mio uccello in bocca e lo iniziava a succhiare con lenta voluttà. Dopo passò a leccarmi i testicoli, l'interno delle cosce, dietro le ginocchia. Io ansimavo e cercavo la sua testa con le mani per carezzargli i capelli e attirare le sue labbra alle mie.

Alzai il busto e lo chiamai piano, lui sollevò la testa ed io lo abbracciai avvicinandolo a me. Iniziammo a baciarci, aveva labbra morbide e ogni volta che la mia lingua sentiva la sua avevo un sussulto. "Andiamo sul letto staremo più comodi" decise prendendomi per mano, e così accompagnato vidi il suo bel pene circonciso che emergeva eretto da una folta peluria scura che avvolgeva il suo pube.

Inaspettatamente lui si stese sulla pancia così io mi arrampicai sulla sua schiena iniziando a mordicchiargli le spalle e la base della testa. Gli feci allargare un po' le gambe e tirai verso dietro il suo uccello che iniziava a bagnare le lenzuola. Sentivo che si stava eccitando come un toro e ad ogni carezza alla sua pelle facevo combinare una carezza alla sua asta che mi adocchiava da sotto in su con i coglioni in vista.

Mi avvicinai al suo ano e lo feci mettere a carponi. Con la lingua iniziai a leccargli lo sfintere, prima piano e poi sempre più dentro. Lo sentivo godere ma il vero oggetto del mio desiderio erano i suoi piedi. Mi sedetti al bordo del letto e iniziai a lavorare le sue ciclopiche piante con le dita, premendo i punti che so essere più sensibili per poi lavorare le dita una ad una, ed infine iniziai a succhiargli avidamente prima un alluce e poi l'altro. Il suo sguardo tra l'ammaliato e l'abbandonato mi avvampò e allungandomi sul suo corpo mi persi sui suoi capezzoli fiorenti.

Poi stesi sul fianco, mescolando le nostre salive prendemmo a masturbarci vicendevolmente con mite veemenza. Desideravo sborrare addosso a quell'addome oltre ogni cosa e non appena sentii un fiotto caldo coprire la mia pelle tutto il mio seme, fino ad allora trattenuto a fatica, si liberò in un orgasmo copioso. I pochi attimi di stupenda confusione che seguirono furono colorati da Francesco che mi sussurrò in un orecchio mentre mi scompigliava i capelli: "Voglio che tu mi svergini". "D'accordo" gli ribattei ma il tono della mia voce era così serio che guardandoci all'improvviso negli occhi scoppiamo a ridere come due bambini. Ci sarebbe stato tempo per fare quello ed altro ancora, poiché confidavo che il nostro rapporto di buon vicinato sarebbe continuato a lungo.

 

Kuma

 


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